Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10477 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 21/04/2021), n.10477

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24748/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.r.l., in fallimento, in persona del curatore pro tempore

(OMISSIS);

– intimata –

Avverso la sentenza n. 287 della Commissione tributaria regionale

della Calabria, Sez. 2, depositata il 24/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/01/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In seguito a P.V.C. redatto dalla Guardia di Finanza di Cosenza con riguardo alle annualità dal 1/1/1994 al 26/2/1999, l’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Cosenza notificò alla società (OMISSIS) s.r.l. un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 1996, con il quale riprese a tassazione, ai fini:) (va e imposte dirette, gli importi dovuti a maggiori costi non deducibili perchè non inerenti, a maggiori ricavi non contabilizzati relativi a una fattura e a rimanenze di materiale acquistato fuori sede, oltre alpe somme risultate essere transitate, in entrata e uscita, nei conti correnti bancari intestati all’amministratore unico e rappresentante legale della società, rimaste prive di giustificazione. Impugnato il predetto atto dalla contribuente, la C.T.P. di Cosenza accolse il ricorso con sentenza n. 152/02/09, depositata il 5/06/2009, che fu confermata dalla C.T.R. della Calabria, adita dall’Agenzia delle Entrate, con la sentenza oggi impugnata.

2. Avverso questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi, illustrati anche con memoria. La contribuente è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. reso una decisione fondata su una motivazione apodittica e meramente apparente, in quanto priva di giustificazioni in merito alla legittimità di un atto impositivo motivato per relationem e alla idoneità degli elementi presuntivi in esso contenuti a far insorgere, in capo al contribuente, l’onere di fornire la prova contraria, priva di riferimenti sulle ragioni della asserita necessità di verificare i contenuti del P.V.C., ancorchè richiamato e riprodotto nell’avviso di accertamento, ed erronea nella parte in cui stigmatizza la mancata produzione di questo documento, benchè contenuto nel fascicolo processuale.

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 e L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto determinante la produzione del P.V.C., benchè per costante giurisprudenza sia legittima la motivazione redatta per relationem, soprattutto quando, come nella specie, l’atto richiamato sia descritto nei suoi elementi essenziali, idonei a dar conto, senza necessità di una sua allegazione, della ricostruzione operata dall’Ufficio.

3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. affermato che sia onere dell’Ufficio fornire al prova della fondatezza della pretesa impositiva, identificata oltretutto nel P.V.C., benchè, con riguardo ai costi non deducibili e non contabilizzati, l’onere di dimostrare l’esistenza e l’inerenza dei costi, ricada sul contribuente.

4. Il primo motivo è fondato.

Va innanzitutto premesso che l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass., Sez. 6-5, 27/10/2017, n. 25557; Cass., Sez. 6-3, 20/02/2014, n. 4036).

Pertanto, nonostante la ricorrente abbia contraddittoriamente richiamato nell’intitolazione del motivo la violazione e falsa applicazione di norme di legge, per poi fare riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, riguardante la nullità della sentenza o del procedimento, deve escludersi l’inammissibilità della censura, essendo essa chiaramente riferita, nella parte argomentativi, alla lamentata nullità della sentenza per difetto di motivazione.

Orbene, si osserva a questo riguardo come la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha reso non deducibile, quale vizio di legittimità, il semplice difetto di sufficienza della motivazione, non abbia certo sottratto i provvedimenti giudiziari all’obbligo di motivazione previsto in generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 la cui violazione è configurabile quando la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero sia del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile), concretandosi, in tal caso, una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (vedi Cass. Sez. 6, 25/9/2018, n. 22598, Cass. Sez. L., 25/10/2018, n. 27112, Cass. Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).

Si è, in particolare, affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito non indichi, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non proceda ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. da ultimo Cass. Sez. 6, 7/4/2017, n. 9105, Cass. Sez. L., 5/8/2019, n. 20921, Cass. Sez. 5, 6/6/2012, n. 9113, Cass. Sez. 1, 27/1/2006, n. 1756), o quando non espliciti il quadro probatorio (vedi Cass. Sez. L., 14/2/2020, n. 3819), essendo egli tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta (cfr. Cass. Sez. 3, 30/5/2019, n. 14762) e non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarne il contenuto con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. Sez. 6-5, 23/5/2019, M 13977, Cass. Sez. U., 3/11/2016, n. 22232), sicchè è viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva (Cass. Sez. 3, 30/5/2019, n. 14762, cit.) o quella che non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass., sez. 1, 30/06/2020, n. 13248).

4.1 Nella specie, a fronte di specifici motivi di appello con i quali l’Ufficio, censurando l’operato dei giudici di primo grado, aveva delimitato il thema decidendum alle due sole questioni della legittimità di un atto impositivo motivato per relationem (e, nella specie, del rapporto tra P.V.C. e avviso di accertamento) e dell’onere della prova gravante sul contribuente con riguardo alle contestazioni relative all’omessa contabilizzazione di ricavi riportati in fattura, all’indeducibilità dei costi e alla mancata giustificazione di riscontrate movimentazioni bancarie ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, la C.T.R. ha risolto le questioni con una motivazione meramente apparente, in quanto priva di qualsiasi analisi delle declinazioni del riparto dell’onere della prova a seconda delle specifiche contestazioni mosse dall’Ufficio al contribuente e inspiegabilmente concentrata sull’asserita (e contestata) omessa produzione del P.V.C. senza indicarne i motivi e senza in alcun modo esaminare i contenuti dell’avviso di accertamento e la sua idoneità in sè a fondare la pretesa impositiva. Si legge infatti nella sentenza che: “le censure mosse dall’Ufficio alla sentenza impugnata risultano ingiustificate. Il primo giudice ha pronunciato la propria valutazione sulla base delle richieste delle parti. Il contribuente, con il proprio ricorso, ha denunciato l’inconsistenza probatoria e l’erroneo contenuto del PVC dei militari. Era onere dell’ufficio sottoporre detto documento alla valutazione del collegio giudicante. Il riferimento all’art. 2697 c.c. risulta inappropriato perchè la C.T.P. era stata chiamata anche a valutare la correttezza dell’acquisizione delle prove da parte dei militari. Si osserva, infine, che detto verbale, di cui tanto si discute, non viene esibito dall’Ufficio neanche in appello”.

Stante l’obiettiva incomprensibilità delle argomentazioni contenute nella sentenza e soprattutto l’assenza di una disamina logico-giuridica delle questioni poste all’attenzione del giudicante, deve ritenersi che il provvedimento impugnato sia affetto dalla lamentata nullità.

5. Dall’accoglimento del primo motivo, deriva l’assorbimento degli altri due.

6. In conclusione, accolto il primo motivo e dichiarati assorbiti gli altri, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla C.T.R. della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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