Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10475 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 21/04/2021), n.10475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24687/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

T.T., S.R., quali eredi testamentari di

T.G., rappresentati e difesi dagli avv.ti Giuseppe Carretto,

Paolo Ghiara, Antonio Lerici, Alessandro Leproux e Desideria

Boggetti, elettivamente domiciliati presso lo studio di

quest’ultima, in Roma, via Ariodante Fabretti, n. 8;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 293/2014 della Commissione tributaria

regionale della Liguria, depositata il 06/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/01/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con avviso di accertamento notificato il 4/08/2009, l’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Genova 1, contestò a T.G. una plusvalenza patrimoniale realizzata e non dichiarata per l’anno di imposta 2005 derivante dalla vendita, con atto pubblico del 13/06/2005, alla società Immobiliare San Giorgio di un terreno in Comune di (OMISSIS) interessato da convenzione di lottizzazione stipulata in pari data, il cui valore indicato nell’atto era risultato inferiore rispetto a quello accertato ai fini Ici e divenuto definitivo per adesione da parte della proprietaria. Impugnato l’avviso di accertamento dalla contribuente, la C.T.P. di Genova respinse il ricorso con sentenza n. 174/13/11, che fu impugnata davanti alla C.T.R. della Liguria dalla medesima contribuente. In seguito al decesso di quest’ultima, il giudizio fu proseguito dagli eredi testamentari, T.T. e S.R., e si concluse con la sentenza oggi impugnata, con la quale, accolto l’appello, fu annullato l’avviso di accertamento.

2. Avverso questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. I contribuenti si sono difesi con controricorso, illustrato anche con memoria, proponendo a loro volta ricorso incidentale condizionato che hanno affidato a due motivi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso principale si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 1, lett. a) e art. 68 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. quantificato la plusvalenza relativa alla cessione dell’immobile facendo riferimento al valore definitosi ai fini Ici e avere sostenuto che gravasse sull’Ufficio l’onere di fornire altre prove sull’eventuale occultamento di ricavi, stante la natura di prova semplice della corrispondenza tra il valore accertato ai fini dell’imposta di registro e le imposte dirette e l’impossibilità di addossare sul contribuente un onere probatorio più gravoso rispetto a quello assolto in concreto. Ad avviso della ricorrente, in particolare, il vincolo del valore attribuito ai fini dell’applicazione di un altro tributo, pur non previsto dalle leggi d’imposta, deriva dai principi costituzionali e in particolare da quello di imparzialità, mentre spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando di avere in concreto venduto a un prezzo inferiore.

2. Col primo motivo di ricorso incidentale condizionato, si lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. affermato che il contribuente non avrebbe potuto fornire una prova altrimenti diabolica, oltre a quelle già dedotte in primo grado, in quanto tale affermazione, pur apparendo favorevole al contribuente, avrebbe potuto essere letta nel senso della reiezione degli argomenti e prove documentali addotti a dimostrazione dell’avvenuta vendita a un prezzo inferiore rispetto al valore accertato ai fini Ici (ossia distanza temporale tra preliminare di vendita e contratto definitivo, ritardi nella stipula dovuti a due contenziosi e ai tempi necessari per l’adeguamento alle previsioni attuative del PRG del Comune di (OMISSIS), come variate nelle more della stipula del definitivo, importi dichiarati in atto documentati nel preliminare e negli atti delle due cause, nonchè nella corrispondenza, modifiche amministrative e riduzione degli importi ricevuti dal Comune in relazione alla cessione di porzioni dell’immobile), dei quali non vi era menzione nella motivazione.

3. Col secondo motivo di ricorso incidentale, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 1, n. 4, avendo la C.T.R. reso una “motivazione apparente in merito agli elementi e alle prove fornite dal contribuente a dimostrazione dell’effettività del prezzo percepito, ciò nel caso in cui la sentenza, pur favorevole, si fosse letta viceversa in termini di giudizio di omesso adempimento dell’onere probatorio gravante sullo stesso.

4.1 Il motivo di ricorso principale è infondato.

Va preliminarmente respinto il rilievo sollevato dal contribuente circa l’inammissibilità del ricorso sotto il duplice profilo dell’omessa indicazione delle norme di diritto poste a fondamento dello stesso e del difetto di autosufficienza in relazione all’omessa indicazione degli atti processuali e documenti in esso richiamati, stante l’omessa riproduzione del contenuto essenziale dell’avviso di accertamento impugnato e di quello effettuato ai fini Ici.

Giova invero ricordare innanzitutto come i motivi contenuti nel ricorso introduttivo del giudizio di cassazione, in quanto rimedio a critica vincolata, debbano avere, a pena di inammissibilità, i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. Sez. 6 – 1, 24/02/2020, n. 4905), oltre a contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e a permettere, altresì, la valutazione della fondatezza di tali ragioni (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784).

In particolare, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge (o eventualmente il principio di diritto) di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo (in tal senso, Cass., Sez. U., 28/10/2020, n. 23745; Cass. Sez. 6 – 1, 24/02/2020, n. 4905; Cass., Sez. 3, 28/10/2002, n. 15177; Cass., Sez. 2, 26/01/2004, n. 1317; Cass., Sez. 6 – 5, 15/01/2015, n. 635; Cass. Sez. 3, 11/7/2014, n. 15882, Cass. Sez. 3, 2/4/2014, n. 7692). L’art. 366 c.p.c., n. 6, invece, impone di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo caso, la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777).

Orbene, quanto al primo profilo deve osservarsi come, ai fini dell’assolvimento dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, rilevi la sola espressa indicazione delle norme asseritamente violate o falsamente applicate dal giudice di merito, come accaduto nella specie, ma non anche la correttezza del richiamo ad esse effettuato in ricorso, la quale assume rilevanza soltanto in un momento successivo, quando, incardinato il procedimento, si debba valutare nel merito la fondatezza della pretesa, sicchè deve ritenersi che la ricorrente abbia perfettamente assolto all’onere posto a suo carico dalla norma in esame.

Quanto al secondo profilo, l’Agenzia delle Entrate non soltanto ha precisato, nel corpo della motivazione, quale fosse il contenuto degli atti posti a fondamento della pretesa tributaria, dandone adeguata descrizione (in tal senso, Cass., Sez. 5, 30/04/2020, n. 8425), ma ha altresì chiarito, in premessa, che gli atti via via richiamati erano contenuti nel fascicolo d’ufficio del quale aveva presentato istanza di trasmissione. Ne consegue l’infondatezza della lamentata inammissibilità, siccome fondata su un approccio meramente formalistico, in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (art. 111 Cost., comma 2 e art. 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui.

4.2 Venendo al merito della questione, si osserva innanzitutto come, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. a), siano “redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, nè in relazione alla qualità di lavoratore dipendente”, per quanto qui interessa, “a) le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici”, mentre il successivo art. 68, comma 1, stabilisce che “le plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lett. a) e b), sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo (…)” (comma 1).

Ciò detto, va evidenziato come la C.T.R., nell’attribuire natura di presunzione semplice all’equivalenza, operata dall’Ufficio, tra il valore dell’immobile lottizzato determinato ai fini Ici e quello rilevante ai fini del calcolo della plusvalenza patrimoniale, bisognevole di ulteriore supporto probatorio sull'”eventuale occultamento di ricavi” al fine di farla divenire “grave, precisa e concordante”, abbia tratto spunto, correttamente discostandosene, dal principio, affermato in passato dalla giurisprudenza maggioritaria e richiamato in motivazione, che legittima l’amministrazione finanziaria a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, stante la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con quest’ultimo valore, e che pone a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria, ossia di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore, anche mediante il ricorso ad elementi indiziari (Cass., Sez. 5, 28/10/2005, n. 21055; Cass., Sez. 5, 01/06/2007, n. 12899; Cass., Sez. 5, 02/03/2011, n. 5070; Cass., Sez. 5, 11/11/2011, n. 23608; Cass., Sez. 5, 11/4/2011, n. 8205; Cass.., Sez. 5, 21/02/2007, n. 4057).

Tale orientamento, cui si è contrapposto quello minoritario che, ai fini della quantificazione della plusvalenza conseguita dall’imprenditore commerciale, ha escluso la vincolatività dell’accertamento del valore dei beni effettuato in sede di imposta di registro, essendo i principi della determinazione del valore di un bene che viene trasferito diversi a seconda dell’imposta da applicare (vedi Cass., Sez. 5, 08/08/2005, n. 16700; Cass., Sez. 5, 12/11/2014, n. 24054; Cass., Sez. 1, 28/04/1981, n. 2555), ripercorre invero l’orientamento interpretativo della disciplina anteriore all’introduzione del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 3, a mente del quale “Il testo unico delle imposte sui redditi, artt. 58, 68, 85 e 86, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5,5-bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende, nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del

valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”.

Alla stregua di tale intervento legislativo, questa Corte, mutando il precedente orientamento, ha quindi stabilito che l’Amministrazione non possa ancora procedere a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda soltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale (Cass., Sez. 6-5, 06/06/2016 n. 11543), dovendo invece individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, allegati i quali spetterà a quest’ultimo, con prova contraria, contraddire alle risultanze probatorie offerte dall’Agenzia (Cass. Sez. 5, 8/5/2019, n. 12131; Cass. Sez. 5, 18/4/2018, n. 9513), principio questo ritenuto applicabile anche ai giudizi in corso, stante l’intento interpretativo espresso dal legislatore e il carattere retroattivo costituente elemento connaturale delle leggi interpretative (in tal senso, Cass. Sez. 5, 18/4/2018, n. 9513; Cass. Sez. 5, 17/5/2017, n. 12265; Cass. Sez. 6, 6/6/2016, n. 11543).

Inoltre, superando le considerazioni che avevano in precedenza portato ad affermarne viceversa l’equivalenza, sia in ragione del principio di uguaglianza, con riguardo all’identità di valori sullo stesso bene, sia in ragione del principio di capacità contributiva, con riguardo all’identità di capacità contributiva, sia del dovere di imparzialità, con riguardo alla necessaria uniformità di valutazione del bene colpito da diversi tributi (Cass. Sez. 5, 1/10/2015, n. 19622; Cass. Sez. 5, 21/12/2011, n. 27989; Cass. Sez. 5, 22/3/2002, n. 4117), richiamati dall’Ufficio, si è altresì sostenuto che il riferimento contenuto in tale norma alle sole imposte di registro, ipotecarie e catastali svolga una funzione meramente esemplificativa e volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva (valore) rispetto a quella prevista per l’Irpef (corrispettivo) (in tal senso, Cass., Sez. 5, 02/08/2017, n. 19227; Cass., Sez. 5, 30/10/2018, n. 27614). Tale ultima considerazione consente di estendere la portata del ridetto art. 5, comma 3, anche all”imposta comunale sugli immobili (ICI), tenuto altresì conto delle peculiarità e delle differenze della stessa rispetto all’Irpef, quanto alla soggettività dell’ente impositore, rispondendo alla funzione propria della finanza locale ed alle scelte fiscali autonomamente adottabili, nei limiti di legge statale, da ciascun Comune; alla sua periodicità e ripetitività con ammontare determinato non una tantum, bensì di anno in anno e

con riferimento al primo giorno del periodo di imposta, a fronte della occasionalità della tassazione separata; ed alla sua stessa natura in quanto avente carattere patrimoniale e non legata alla capacità contributiva, come già evidenziato con riguardo alla comparazione della stessa con l’imposta di registro (in tal senso, Cass., Sez. 5, 17/07/2018, n. 18936; Cass., Sez. 5, 28/10/2016, n. 21830; Cass., Sez. 5, 7/10/2016, n. 20172; Cass., Sez. 5, 23/03/2005, n. 6314; Cass., Sez. 5, 5/08/2004, n. 15078).

4.3 Pertanto, essendosi la C.T.R. chiaramente attenuta ai principi da ultimo espressi, allorchè ha affermato che il valore dell’immobile calcolato ai fini Ici non sia sufficiente a fondare il calcolo della plusvalenza ai fini Irpef, dovendo essere supportato da ulteriori elementi da fornirsi a cura dell’Amministrazione, la censura proposta non merita accoglimento.

5. Dal rigetto del motivo di cui al ricorso principale, deriva l’assorbimento dei motivi proposti col ricorso incidentale condizionato.

6. In conclusione, il ricorso principale va rigettato, con assorbimento dei motivi contenuti nel ricorso incidentale condizionato.

Le spese del giudizio, calcolate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente. L’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass., sez. 6-L, 29/1/2016, n. 1778; Cass., sez. 5, 14/5/2020, n. 8914).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, dichiara l’assorbimento dei motivi di ricorso incidentale condizionato. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore del contribuente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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