Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10474 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 21/04/2021), n.10474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24647/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GRUMO NEVANO, in persona del Sindaco, rappresentato e

difeso dall’avv. Giuseppe Romano del Foro di Nola ed elettivamente

domiciliato in Roma, via Orazio, n. 31, presso Eurispess – studio

avv. Angelo Caliendo;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 210/47/2013 della Commissione tributaria

regionale della Campania, depositata il 07/10/2013 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/01/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Comune di Grumo Nevano impugnò davanti alla Commissione provinciale di Napoli la cartella di pagamento, preceduta da iscrizione a ruolo, emessa dall’Agenzia delle Entrate ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54-bis e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, con la quale erano stati accertati omessi o carenti versamenti Irap e Iva relativi all’anno di imposta 2004, dovuti, per un versi, al tardivo versamento dell’Iva e, per altro verso, all’esposizione, nella dichiarazione dei redditi integrativa presentata il 28/10/2006, di un creduto Irap che era stato disconosciuto dall’Ufficio in quanto il relativo importo non risultava effettivamente versato.

La C.T.P., preso atto che nel corso del giudizio l’Ufficio aveva emesso uno sgravio parziale in relazione al contestato carente versamento Iva e che il contribuente aveva prodotto copia del ravvedimento operoso effettuato con versamento del 5/01/2005, accolse il ricorso con sentenza n. 590 del 26/5/2010, che fu confermata, con la sentenza oggi impugnata, dalla C.T.R. della Campania adita dall’Agenzia delle Entrate, sul presupposto che il recupero del credito Irap, da parte dell’Ufficio, fosse avvenuto senza tener conto del fatto che questo era stato esposto con la dichiarazione integrativa trasmessa il 28/:10/2006 in sostituzione di quella trasmessa il 18/10/2005 e che il mancato riconoscimento del credito, in quanto non documentato, avrebbe dovuto indurre l’Ufficio a notificare avviso di accertamento, contenente i motivi del suo operato, e non un semplice avviso bonario.

2. Avverso questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Il contribuente si è difeso con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 bis e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. affermato che l’Ufficio avrebbe dovuto notificare avviso di accertamento, indicando le ragioni del mancato riconoscimento del credito, in luogo di un semplice avviso bonario. Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, invece, la fattispecie rientra tra le ipotesi eccezionali e tassative contemplate dal ridetto art. 36-bis (e riferibili a errori materiali e di calcolo immediatamente rilevabili o manifestamente evidenti ovvero a vizi di forma nella compilazione o a indicazioni contraddittorie, se intrinseci alla dichiarazione stessa), in quanto riferita all’inserimento, in dichiarazione, di un’eccedenza nel versamento dell’Irap relativa al 2004 presso il conto tesoreria, di cui non si aveva riscontro neppure documentale, sicchè la liquidazione era avvenuta su base esclusivamente cartolare della dichiarazione presentata. Infine, si è evidenziato come, in caso di verificata diversità rispetto alla dichiarazione, la comunicazione al contribuente si rende necessaria soltanto in caso di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione stessa, in quanto funzionale all’esigenzà non già di garantire il contraddittorio e il diritto di difesa, bensì di evitare la reiterazione di errori e di agevolare la regolarizzazione di aspetti formali, senza contare che la norma che la contempla non prevede alcuna sanzione in termini di nullità in caso di sua omissione.

2. Il motivo è inammissibile.

Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass., Sez. 5, 18/04/2017, n. 9752; Cass., Sez. 1, 27/07/2017, n. 18641; Cass., Sez. 3, 06/07/2020, n. 13880, che riconduce l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, piuttosto che per carenza di interesse).

Orbene, come anche evidenziato dal contribuente nel controricorso, la C.T.R. ha fondato la decisione sulla base di due elementi: per un verso, dopo avere evidenziato che erano state trasmesse telematicamente due dichiarazioni, una in data 18/10/2005 e l’altra, integrativa, in data 28/10/2006, ha affermato che quella posteriore, nel sostituire la precedente, aveva legittimato “il credito IRAP in quest’ultima indicato”, censurando l’operato del Comune che, invece, non ne aveva tenuto conto e aveva “proceduto al recupero dello stesso credito prima con avviso bonario e poi con cartella di pagamento, anche in presenza di istanza di autotutela”; per altro verso, ha sostenuto che il Comune, avendo giustificato il suo operato in ragione del mancato riconoscimento del credito esposto in dichiarazione “per carenza di documentazione”, avrebbe “dovuto procedere a notificare un avviso di accertamento, indicando e precisando i motivi del mancato riconoscimento del credito e non un semplice avviso bonario”.

Le due questioni, idonee entrambe a fondare la decisione, operano sinergicamente, in quanto l’adempimento del corretto iter procedimentale seguito, a valle, in sede di contestazione della violazione tributaria non può non implicare, a monte, la fondatezza della pretesa impositiva alla cui conoscenza, da parte del contribuente, esso è funzionalmente correlato, con la conseguenza che l’accertamento, in via definitiva, della legittimità del credito esposto in dichiarazione, il cui disconoscimento ha dato luogo all’emissione della cartella e che ne costituisce il fondamento, come nella specie, riflette necessariamente i suoi effetti sulla rilevanza delle modalità con le quali questo deve essere comunicato al suo destinatario, rendendole ininfluenti, soprattutto perchè dettate a garanzia del contribuente, ormai soddisfatto del riconoscimento sostanziale delle sue ragioni.

Il ricorrente, nonostante ciò, ha impugnato la sentenza soltanto con riferimento alla questione della correttezza dell’iter procedimentale seguito, omettendo del tutto di censurare la acclarata legittimità del credito Irap vantato dal contribuente.

Pertanto l’inammissibilità del ricorso opera sotto il duplice profilo della mancata impugnazione di tutte le ragioni, giuridicamente e logicamente sufficienti a giustificare la decisione adottata, e della sopravvenuta irrilevanza della questione procedurale una volta che, come nella specie, sia rimasta accertata in via definitiva l’infondatezza della pretesa impositiva (rectius la sussistenza del credito esposto in dichiarazione dal contribuente), con conseguente difetto di interesse ad ottenere una pronuncia sull’unica censura proposta, ancorchè fondata nel merito (in tal senso vedi Cass., Sez. 5, 05/11/2020, n. 24747).

3. Per quanto detto, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.

PQM

Dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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