Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1047 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 03/04/2018, dep. 17/01/2019), n.1047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15047-2016 proposto da:

M.F., D.P.M.G., m.m.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo

studio dell’avvocato LETIZIA TILLI, rappresentati e difesi dagli

avvocati LAURA TETI, SABATINO CIPRIETTI giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

USL/(OMISSIS) LECCE, in persona del Direttore Generale e legale

rappresentante Dott.ssa ME.SI., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FRANCESCO BORGATTI, 25, presso lo studio dell’avvocato

ANTONGIULIO AGOSTINELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALESSANDRO FAVALE giusta procura a margine del controricorso;

I.D., B.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA LAURA MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO

GARDIN, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO TOMMASO DE

MAURO giusta procura a margine del controricorso;

GENERALI ITALIA SPA già INA ASSITALIA SPA, in persona dei suoi

procuratori speciali Sigg.ri C.P. e P.M.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. COLOMBO 440, presso lo

studio dell’avvocato FRANCO TASSONI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SALVATORE CARBONE giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

L.L., LE.LU., FONDIARIA SAI SPA, LU.AN., UGF

ASSICURAZIONI SPA, l.r., PR.MA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 26/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/04/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO che ha concluso per l’accoglimento p.q.r. sul 3

motivo, assorbiti i restanti;

udito l’Avvocato SABATINO CIPRIETTI;

udito l’Avvocato ISABELLA TASSONI per delega non scritta;

udito l’Avvocato ANTONIO TOMMASO DE MAURO;

udito l’Avvocato ALESSANDRO FAVALE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.F., D.P.M.G. (entrambi sia in proprio che quali esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore, M.M., nonchè il primo anche come amministratore di sostegno della figlia Mo.Ma.) e m.m., ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 26/16 del 12 gennaio 2016 della Corte di Appello di Lecce, che accogliendo il gravame esperito da I.D. ed B.A. contro la sentenza n. 322/10 del 10 dicembre 2010 del Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Casarano – ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, anche nei confronti dei predetti I. e B., in relazione al giudizio promosso dagli odierni ricorrenti per conseguire il risarcimento dei danni da responsabilità sanitaria, relativamente alla nascita prematura di Mo.Ma., risultata affetta da paralisi cerebrale infantile.

2. Riferiscono, in punto di fatto, i ricorrenti di aver adito la sezione di Casarano del Tribunale salentino convenendo in giudizio la AUSL LE/(OMISSIS), nonchè tutti i medici – Le.Lu., L.L., Lu.An., I.D., B.A., l.r. e Pr.Ma. che ebbero, a vario titolo, a prestare assistenza alla D.P. e/o alla piccola Mo.Ma., in occasione dell’intervento di parto cesareo, all’esito del quale la gestante diede alla luce la bambina.

Nel corso del giudizio – instaurato dopo che la vicenda era già stata oggetto di un procedimento penale, conclusosi con un provvedimento di archiviazione, per intempestività della querela presentata – si faceva corso all’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, all’esito della quale, secondo la ricostruzione degli odierni ricorrenti, sarebbero emersi in modo inconfutabile i profili di responsabilità dei soggetti convenuti in giudizio.

Deducono, altresì, gli odierni ricorrenti che – sempre nel corso del giudizio di primo grado, e precisamente all’esito del deposito della predetta relazione di consulenza tecnica – la Unipol assicurazioni S.p.a. (oggi U.G.F. Assicurazioni S.p.a.), terza chiamata in manleva dai convenuti AUSL LE/(OMISSIS), Le. e Lu., offriva a parte attrice il pagamento del massimale previsto dalle singole polizze di responsabilità professionale, formulando una proposta transattiva che veniva dagli stessi accettata. Successivamente, anche la società Fondiaria-Sai S.p.a. – terza chiamata in garanzia, per la manleva, da convenuti Pr. e L. – proponeva agli allora attori il pagamento dei massimali di polizza previsti dai rispettivi contratti di assicurazione conclusi dai due sanitari, addivenendosi, così, pure in questo caso, ad un accordo transattivo. Del pari, anche la società Assitalia-Le Assicurazioni di Italia S.p.a. (poi divenuta, medio tempore, INA-Assitalia S.p.a. e, oggi, Generali Italia S.p.a.), chiamata in causa in garanzia dai convenuti I. e l., per essere dalla stessa manlevati, offriva a parte attrice il pagamento del massimale, sebbene limitatamente alla posizione del l., deducendo l’inoperatività della polizza nei confronti della I.. Ne seguiva, quindi, la conclusione – secondo la prospettazione dei fatti contenuta nel presente ricorso – di un accordo transattivo che avrebbe riguardato solo la posizione di uno dei predetti sanitari (il dott. l., appunto), con prosecuzione del giudizio nei confronti dell’altra (ovvero, la dott.ssa I.).

2.1. Ciò premesso, gli odierni ricorrenti riferiscono, dunque, che la causa innanzi al Tribunale salentino proseguiva nei confronti dei dottori B. (contumace in quel grado di giudizio) e I., oltre che dell’Assitalia, quale chiamata in garanzia da quest’ultima.

All’esito dell’istruttoria, l’adito giudicante – previa declaratoria di cessazione della materia del contendere nei confronti di ogni altra diversa parte, con compensazione integrale delle spese di lite tra di esse e parte attrice (salvo quelle di CTU, solidalmente poste a carico dei convenuti tutti e terzi chiamati) – accertava la responsabilità dei predetti due sanitari per i danni cagionati agli allora attori e li condannava al risarcimento (oltre che al pagamento delle spese processuali), rigettando la domanda di manleva della I. per intervenuta prescrizione del diritto ex art. 2952 c.c., comma 2.

2.2. Proposto gravame dalla I. e dal B., lo stesso veniva accolto sulla base del secondo motivo, teso a dimostrare l’estensione a tutti i convenuti della cessazione della materia del contendere a seguito della già ricordate transazioni, sul rilievo che essendo unica la fonte di responsabilità solidale (ovvero, l’operare di tutti i sanitari presso la stessa struttura ospedaliera), una volta transatta la domanda nei confronti della AUSL LE/(OMISSIS), dovesse ritenersi definita ogni altra pretesa risarcitoria.

In particolare, la Corte di Appello leccese rilevava – in primo luogo – che la domanda risarcitoria era “stata avanzata in solido contro tutte le parti (…) in maniera unitaria e senza alcuna ripartizione o specificazione dei diversi profili di responsabilità tra i diversi soggetti”.

In secondo luogo, la sentenza sottolineava che le transazioni firmate “traggono origine e fanno riferimento ad un unico episodio e ad un’unica fonte di responsabilità, per cui la tacitazione nei confronti dell’ente ospedaliero coinvolge necessariamente anche quella dei singoli medici operanti nella stessa struttura, e quindi pure di quelli che non risultano firmatari delle singole transazioni”.

In terzo luogo – e questo è da essa ritenuto “il punto decisivo della questione” – “i termini adottati nelle singole transazioni, tutti peraltro riproducenti la stessa struttura logica e letterale, comportano l’esclusione della residua responsabilità degli altri coobbligati”.

3. Avverso tale decisione – che disponeva anche l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio – hanno proposto ricorso per cassazione i M.- D.P., sulla base di quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo (che si articola in due distinte censure) è dedotta – ai sensi, rispettivamente, dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3) e 4) – “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1304 cod. civ.”, nonchè “violazione del giudicato interno”.

Si lamenta che la declaratoria di cessazione della materia del contendere nei confronti degli appellanti – non firmatari di alcuna transazione – è stata pronunciata “pur non sussistendo la fattispecie liberatoria prevista dalla disposizione dell’art. 1304 cod. civ.”, nonchè senza neppure ritenere “erronea la sentenza di prime cure”, secondo cui “dagli atti di causa non emerge alcun elemento da cui possa evincersi l’intenzione degli altri condebitori rimasti estranei alla transazione di volerne profittare” (intenzione che implicherebbe un’espressa dichiarazione che non ammette equipollenti), donde, appunto, l’ipotizzata violazione di un “giudicato interno” formatosi sul punto, con violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4).

3.2. Con il secondo motivo è dedotta – ai sensi, questa volta, dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3) e 5) – “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1304 e 2055 cod. civ.”, nonchè “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti”.

Si contesta, in particolare, la decisione impugnata laddove afferma che l’azione risarcitoria proposta era unica nei confronti di tutte le parti, senza alcun profilo di ripartizione della responsabilità, così come le transazioni concluse facevano riferimento a quell’unico episodio.

Si nega, per contro, che le transazioni abbiano avuto ad oggetto l’intero debito, sicchè la Corte salentina ha ritenuto che le parti ad esse estranee potessero giovarsene in difetto dei presupposti ex art. 1304 cod. civ. (che esige, appunto, che la transazione riguardi l’intero debito), trattandosi di transazioni separate, e quindi per ciò solo dichiaratamente “pro quota”, come anche confermato dal fatto nelle stesse “era riportata la rinuncia alla domanda proposta nei confronti dei soli medici garantiti dalle compagnie assicurative stipulanti”.

Inoltre, quanto alla transazione con Assitalia, la stessa – neppure riportata “per pezzi” (come, invece, le altre due) – non sarebbe stata neppure esaminata, quantunque diversamente dalle altre non recasse “richiamo di sorta ad altri obbligati o coobbligati”, donde la denuncia anche del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

3.3. Con il terzo motivo è dedotta – ai sensi, nuovamente, dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3) e 5) – “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., nonchè degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ”, oltre che “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti”.

La doglianza investe la sentenza impugnata laddove essa ha interpretato il contenuto dei contratti di transazione nel senso che l’espressa rinuncia ad ogni pretesa, sia in sede civile che penale, nei confronti degli assicurati e di eventuali altri obbligati o coobbligati, valesse anche nei confronti di soggetti diversi da coloro che risultavano assicurati dalle singole compagnie transigenti.

Al riguardo si nota, innanzitutto, che in questo modo la Corte di Appello – in difetto di motivo di gravame con cui gli appellanti avessero lamentato l’erroneità dell’interpretazione data i contratti di transazione – avrebbe violato anche l’art. 112 cod. proc. civ..

Inoltre, la Corte salentina non avrebbe fatto corretta applicazione delle norme in tema di interpretazione del contratto, attribuendo rilevanza prevalente al dato letterale, che i ricorrenti assumono, peraltro, neppure integralmente “letto”, essendosi ignorata la presenza di clausole aggiuntive, attestanti la volontà di intendere la transizione limitata alla quota di ciascun coobbligato, senza dare rilievo, più in generale, al comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione. In particolare, si evidenzia che nella transazione conclusa con la Unipol era stato espressamente stabilito che la rinuncia della domanda operasse solo nei confronti della AUSL LE/(OMISSIS) e dei dottori Le. e Lu., così come in quella con la Fondiaria-Sai si transigeva la lite con i dottori L. e Pr.. Del pari, nell’atto di quietanza dell’Assitalia era stato stabilito, in modo espresso, che “i percipienti, con detto pagamento, dichiarano cessata la materia del contendere (giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Lecce) nei confronti della società solvente e dell’Assicurato (dott. l.)”.

Si tratterebbe, dunque, di elementi che confermerebbero la volontà di transigere la lite con i soggetti firmatari “pro quota”.

Orbene, poichè la Corte di Appello di Lecce non avrebbe esaminato “analiticamente ed integralmente le transazioni e gli atti che regolano il rapporto” corrente tra le parti transigenti, sarebbe incorsa anche nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti.

3.4. Con il quarto motivo è dedotta – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.”.

Sul presupposto che gli appellanti non avessero “censurato con specifico motivo la statuizione del Giudice di prime cure in punto spese” di lite, i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata ha compensato non solo le spese del grado di appello, ma anche quelle del primo giudizio, ivi comprese quelle di CTU, persino nei confronti delle parti non appellanti.

Al riguardo, “a parte la violazione del principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa” (giacchè, in assenza di transazioni intervenute con i dottori B. ed I., costoro restavano totalmente soccombenti), i ricorrenti si dolgono del fatto che il riferimento alla “natura della controversia” e alla “peculiarità delle questioni trattate” – poste alla base della disposta compensazione – costituisse motivazione non idonea a sorreggere la compensazione.

4. La società Generali Italia (già INA-Assitalia) ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendo che venga dichiarata inammissibile o comunque rigettata.

4.1. In particolare, in relazione al primo motivo di ricorso, si premette che non corrisponderebbe a verità l’affermazione secondo cui i dottori I. e B. non avrebbero dichiarato di voler profittare della transazione (all’uopo richiamandosi, per entrambi, le risultanze dell’atto di appello, nonchè, per la prima, anche la memoria di replica resa all’esito del giudizio di primo grado), sottolineando, altresì, che la dichiarazione ex art. 1304 c.c., comma 1, è oggetto di un diritto potestativo esercitabile anche nel corso del processo, non soggetto ad alcun requisito di forma o onere decadenziale.

In ogni caso, si evidenzia l’inammissibilità del motivo, innanzitutto sul rilievo che la “ratio decidendi” della sentenza impugnata prescinderebbe dall’applicazione di tale norma. La Corte di Appello, difatti, avrebbe posto a fondamento del proprio “decisum” due differenti “rationes” (ciascuna delle quali, da sola, sufficiente a sorreggerlo), ovvero, che la struttura sanitaria fosse chiamata a rispondere esclusivamente del debito e della responsabilità altrui (ovvero, dei sanitari), e, altresì, che le transazioni concluse si riferissero al medesimo episodio di causa ed all’unica fonte di responsabilità dedotta in lite, vale a dire la negligente esecuzione della prestazione medica. Così pronunciandosi, il secondo giudice si sarebbe anche uniformato al principio già enunciato da questa Corte e secondo cui, “quando la domanda risarcitoria attinge solo l’operato del medico e non anche i profili strutturali e organizzativi della struttura sanitaria, la transazione tra medico e danneggiato, con conseguente declaratoria di cessata materia del contendere, impedisce la prosecuzione dell’azione nei confronti della struttura sanitaria, perchè questa è convenuta in giudizio solo in ragione del rapporto di lavoro subordinato col professionista, e dunque per fatto altrui, sicchè la transazione raggiunta tra il medico e il danneggiato, escludendo la possibilità di accertare e dichiarare la colpa del primo, fa venir meno la responsabilità della struttura, senza che sia neppure possibile invocare l’art. 1304 cod. civ.” (Cass. Sez. 3, sent. 28 luglio 2015, n. 15860, Rv. 636191-01). Principio, questo, destinato anche ad operare nell’ipotesi inversa – qual è quella in esame – in cui la transazione intervenga con la struttura sanitaria, convenuta in giudizio senza invocare alcun suo profilo di autonoma responsabilità. Sotto questo profilo, dunque, il primo motivo dovrebbe ritenersi inammissibile anche a norma dell’art. 360-bis cod. proc. civ..

4.2. Quanto ai motivi secondo e terzo, anch’essi sarebbero inammissibili sotto plurimi profili.

Innanzitutto, perchè la loro formulazione non rispetterebbe la previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), nonchè perchè essi tenderebbero a sollecitare una non consentita rivalutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di appello.

Inoltre, non coglierebbero l’effettiva “ratio decidendi”, giacchè “in nulla involgono la specifica ed autonoma statuizione secondo cui “la tacitazione della domanda nei confronti dell’ente ospedaliero”” ovvero, la sola transazione intercorsa con la struttura – “coinvolge necessariamente anche quelle dei singoli medici operanti nella stessa struttura”. Non essendo stata tale statuizione specificamente impugnata, ed essendo pertanto passata in giudicato, essa sarebbe idonea “ex se” a sorreggere la decisione della Corte salentina.

Ed ancora, l’inammissibilità dei motivi “de quibus” discenderebbe anche dalla circostanza che il contenuto delle transazioni non potrebbe ritenersi “fatto” il cui omesso esame risulta sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nonchè – per quanto concerne specificamente quella intervenuta con Assitalia pure perchè tale pattuizione non avrebbe mai formato oggetto di discussione tra le parti, presentando, così, ogni questione intorno ad essa (così come intorno all’atto di quietanza rilasciato da detta società) anche quel carattere di “novità” che ne preclude l’esame in sede di legittimità.

Nel merito, in ogni caso, si esclude che il tenore di tali documenti potesse giustificare un’interpretazione diversa da quella proposta dalla Corte territoriale, e ciò alla stregua del principio secondo cui l’utilizzazione di canoni ermeneutici diversi da quello letterale deve ritenersi consentita solo quando il ricorso ad esso riveli l’impossibilità, e non la mera difficoltà, di ricostruire la comune intenzione delle parti.

4.3. Quanto, infine, al quarto motivo di ricorso, si deduce il difetto di interesse dei ricorrenti, non avendo gli stessi titolo a dolersi della compensazione delle spese del giudizio, essendo risultati complessivamente soccombenti all’esito del giudizio.

5. Del pari, hanno resistito con controricorso all’impugnazione la I. ed il B., per chiedere che stessa venga dichiarata inammissibile o comunque rigettata, sulla scorta di argomentazioni pressochè identiche a quelle svolte da Generali Italia.

I controricorrenti, inoltre, evidenziano come l’iniziativa da essi assunta, gravando con appello la sentenza del primo giudice, dimostri l’infondatezza del primo motivo di ricorso laddove ipotizza la presunta violazione di un “giudicato interno”.

In ogni caso, essi ripropongono i motivi di appello dichiarati assorbiti dalla Corte salentina, contestando la decisione del primo giudice sia quanto all’accoglimento dell’eccezione di prescrizione dei diritti nascenti dal contratto di assicurazione per responsabilità professionale stipulato dalla dott.ssa I., sia quanto alla condanna solidale, a carico di essa e del dott. B., nonostante l’espressa rinuncia al vincolo di solidarietà, così come desumibile dagli atti di transazione, sia infine in relazione alla liquidazione del “quantum” risarcitorio.

6. I ricorrenti e la controricorrente Generali Italia hanno presentato memorie ex art. 378 cod. proc. civ., ribadendo le rispettive argomentazioni e difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso va rigettato.

7.1. Il primo motivo non è fondato.

7.1.1. Non sussiste, nel caso di specie, alcuna “violazione di giudicato interno” da parte della Corte territoriale, giacchè ad escluderne la ricorrenza è sufficiente il rilievo che proprio l’iniziativa assunta dai dottori I. e B., con il loro atto di gravame, tendeva al riconoscimento dell’efficacia, pure nei loro confronti, delle transazioni intercorse tra i ricorrenti ed altri soggetti che, al loro pari, rivestivano la posizione di (co)obbligati in solido.

7.2. I motivi secondo e terzo – suscettibili di scrutinio unitario, data la loro connessione – sono, invece, in parte inammissibili ed in parte non fondati.

7.2.1. Sul punto, occorre muovere dalla constatazione che il riconoscimento, operato dalla sentenza impugnata, dell’estensione della transazione anche ai dottori I. e B. si fonda su due argomenti, tra loro convergenti, non idonei pertanto ad integrare altrettante autonome e diverse “rationes decidendi”, come invece reputa la controricorrente Generali Italia.

Non può, quindi, trovare applicazione il principio più volte enunciato da questa Corte e secondo cui, ove “la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza” (da ultimo, tra le tante, Cass. Sez. 1, sent. 27 luglio 2017, n. 18641, Rv. 645076-01).

Infatti, la Corte salentina sottolinea che la domanda risarcitoria era stata “avanzata in solido contro tutte le parti” (ovvero, “la struttura ospedaliera”, da un lato, “e i singoli medici dipendenti della stessa”, dall’altro), ma ciò “in maniera unitaria e senza alcuna ripartizione o specificazione dei diversi profili di responsabilità tra i diversi soggetti”, sicchè le transazioni firmate “traggono origine e fanno riferimento ad un unico episodio e ad un’unica fonte di responsabilità, per cui la tacitazione nei confronti dell’ente ospedaliero coinvolge necessariamente anche quella dei singoli medici operanti nella stessa struttura, e quindi pure di quelli che non risultano firmatari delle singole transazioni”.

Su questo presupposto, dunque, il giudice di appello ha ritenuto che l’accordo transattivo concernesse l’intero debito, rafforzando tale conclusione sul rilievo che “i termini adottati nelle singole transazioni, tutti peraltro riproducenti la stessa struttura logica e letterale”, abbiano comportato “l’esclusione della residua responsabilità degli altri coobbligati”.

7.2.2. Orbene, per contestare la correttezza di tale assunto, gli odierni ricorrenti ipotizzano, innanzitutto, la violazione dell’art. 1304 c.c., comma 1.

Al riguardo, va preliminarmente osservato che, in sede di appello, i dottori I. e B. – come emerge dagli atti di causa (e, particolarmente, dal controricorso di Generali Italia, che ha riprodotto, a pag. 12, il relativo stralcio dell’atto di gravame esperito da costoro) – ebbero espressamente a dichiarare di voler profittare delle transazioni stipulate dagli odierni ricorrenti con altri soggetti, ed esattamente: a) Unipol assicurazioni (oggi U.G.F. Assicurazioni) e i convenuti AUSL LE/(OMISSIS), Le. e Lu., b) Fondiaria-Sai e i convenuti Pr. e L., ed infine c) Assitalia-Le assicurazioni di Italia (poi divenuta, “medio tempore”, INA-Assitalia e, oggi, Generali Italia) e il convenuto l..

Siffatta iniziativa era idonea a comportare l’effetto dell’estensione delle transazioni concluse dagli odierni ricorrenti con altri coobbligati solidali, naturalmente a condizione che le stesse potessero intendersi come aventi ad oggetto l’intero debito in relazione al quale gli odierni ricorrenti avevano azionato la propria pretesa risarcitoria, e ciò in applicazione del principio secondo cui l’art. 1304 c.c., comma 1, “si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, e non la sola quota del debitore con cui è stipulata, poichè è la comunanza dell’oggetto della transazione che comporta, in deroga al principio per cui il contratto produce effetti soltanto tra le parti, la possibilità per il condebitore solidale di avvalersene, pur non avendo partecipato alla sua stipulazione” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 18 giugno 2018, n. 16087, Rv. 649667-01). Nessun dubbio, infatti, può nutrirsi sulla ritualità – o tempestività – sulla loro dichiarazione di volersi avvalere delle transazioni intervenute “inter alios”, e ciò alla stregua del principio secondo cui la “dichiarazione del condebitore di voler profittare della transazione stipulata con il creditore dal condebitore in solido ai sensi dell’art. 1304 c.c., comma 1, non costituisce un’eccezione da far valere nei tempi e nei modi processuali ad essa pertinenti, bensì un diritto potestativo esercitabile anche nel corso del processo, senza requisiti di forma nè limiti di decadenza” (cfr. Cass. Sez. 2, sent. 25 settembre 2014, n. 20250, Rv. 63233301; in senso conforme anche Cass. Sez. 1, ord. n. 16087 del 2018, cit.).

La questione centrale, pertanto, diventa quella di stabilire se la Corte salentina abbia errato, o meno, nel qualificare le suddette transazioni come aventi ad oggetto l’intero debito.

7.2.3. Orbene, nel censurare la conclusione raggiunta dal giudice di appello, il ricorrente deduce, congiuntamente, i vizi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3) e 5).

7.2.3.1. Quanto, tuttavia, al secondo di tali ipotizzati vizi, deve rilevarsi come la censura di “omesso esame” si risolva, in definitiva, nell’asserita mancata valutazione del contenuto (quando non addirittura nel loro inesatto apprezzamento) di clausole contenute bei contratti di transazioni, risolvendosi, così, in un motivo di doglianza che fuoriesce dal paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Difatti, con indirizzo costante, questa Corte ha affermato che “in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame della questione relativa all’interpretazione del contratto non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi” (Cass. Sez. 3, sent. 8 marzo 2017, n. 5795, Rv. 643401-01; in senso conforme Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20718, Rv. 650016-02).

Sotto questo specifico profilo, pertanto, le censure di cui ai motivi secondo e terzo sono inammissibili.

7.2.3.2. Non fondate sono, invece, le censure di “violazione di legge”.

Tale esito si impone, innanzitutto, quanto all’ipotizzata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che peraltro – più correttamente avrebbe dovuto formularsi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) trattandosi di denuncia di un “error in procedendo”.

Difatti, non coglie nel segno la doglianza – articolata, in particolare, con il terzo motivo di ricorso – relativa al fatto che la Corte salentina avrebbe esteso l’efficacia delle transazioni ai dottori I. e B. in difetto di motivo di gravame con cui essi lamentassero l’erroneità dell’interpretazione data i contratti “de quibus”. A prescindere, infatti, dalla constatazione che nella richiesta di applicazione dell’art. 1304 c.c., comma 1, non poteva che ritenersi implicita la verifica che le transazioni suddette avessero comportato la disposizione dell’unitario debito, e non una quota di esso, dirimente è, ai fini del rigetto della censura in esame, la constatazione che “il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante” (così, e proprio con riferimento alla posizione del giudice di appello, Cass. Sez. 3, sent. 19 ottobre 2015, n. 21087, Rv. 637476-01; nello stesso senso, e sempre avuto riguardo ai poteri di qualificazione della domanda spettanti anche al giudice del gravame, Cass. Sez. 1, ord. 31 luglio 2017, n. 19002, Rv. 645079-01).

Inammissibili sono, invece, le censure – anch’esse proposte con il terzo motivo di ricorso – di violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ..

Invero, al netto del rilievo che le stesse si presentano prive di specificità (ciò che di per sè vale a giustificare siffatto esito processuale), nella misura in cui esse sono rivolte all’apprezzamento che la sentenza impugnata ha fatto delle risultanze istruttorie, opera il principio che esclude, in simili casi, la ricorrenza di un vizio di legittimità, “non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).

7.2.3.3. Resta, pertanto, da scrutinare solo la dedotta violazione delle norme sull’interpretazione del contratto (e, di riflesso, degli artt. 1304 e 2055 cod. civ.), dovendosi, in sostanza, verificare – anche sulla scorta di quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “stabilire poi se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido ha avuto ad oggetto l’intero debito o solo la quota del debitore transigente comporta, evidentemente, un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 e segg. cod. civ.” (così, in motivazione Cass. sez. Un., sent. 30 dicembre 2011, n. 30174, Rv. 620065-01) – se la ricostruzione del contenuto delle transazioni “de quibus”, operata dalla Corte salentina, sia immune da vizi.

Sul punto occorre muovere dal rilievo secondo cui “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2017, n. 28319, Rv. 646649-01; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, ord. 10 maggio 2018, n. 11254, Rv. 648602-01).

Ciò premesso, è certamente corretta la premessa dalla quale i ricorrenti sviluppano la censura di violazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., ovvero che la centralità del criterio ermeneutico dell’interpretazione letterale non implica che la disamina del testo del contratto possa prescindere dal ricorso ad altri criteri.

Difatti, secondo questa Corte, “sebbene i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. siano governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da escluderne la concreta operatività quando l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la “comune intenzione delle parti stipulanti”, la necessità di ricostruire quest’ultima senza “limitarsi al senso letterale delle parole”, ma avendo riguardo al “comportamento complessivo” dei contraenti comporta che il dato testuale del contratto, pur rivestendo un rilievo centrale, non sia necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo, giacchè il significato delle dichiarazioni negoziali non è un “prius”, ma l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore” (Cass. Sez. 3, sent. 15 luglio 2016, n. 14432, Rv. 640528-01). Ne consegue che lo stesso principio “in claris non fit interpretatio” – operante, peraltro, quando “la comune intenzione delle parti risulti in modo certo ed immediato dalla dizione letterale del contratto”, secondo un apprezzamento, tuttavia, che deve pur sempre avvenire “attraverso una valutazione di merito che consideri il grado di chiarezza della clausola contrattuale mediante l’impiego articolato dei vari canoni ermeneutici”, in quanto essi risultano “legati da un rapporto di implicazione necessarìa” (Cass. Sez. Lav., sent. 3 giugno 2014, n. 12360, Rv. 631051-01) – “non trova applicazione nel caso in cui il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti” (Cass. Sez. 3, sent. 9 dicembre 2014, n. 25840, Rv. 633421-01).

Ciò detto, dunque, può concludersi che “il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 cod. civ. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici” (Cass. Sez. 5, sent. 28 giugno 2017, n. 16181, Rv. 644669-01), dovendo, in particolare, privilegiarsi – nell’utilizzazione di tali ulteriori criteri, diretti alla “ricerca della reale volontà delle parti” – segnatamente “quello funzionale, che attribuisce rilievo alla “ragione pratica” del contratto, in conformità agli interessi che le parti hanno inteso tutelare mediante la stipulazione negoziale” (Cass. Sez. 3, sent. 22 novembre 2016, n. 23701, Rv. 642983-01).

Si tratta, peraltro, di principi specificamente ribaditi con riferimento al contratto di transazione, in relazione al quale si è affermato che l’oggetto “va identificato non in relazione alle espressioni letterali usate dalle parti, non essendo necessaria una puntuale specificazione delle contrapposte pretese, bensì in relazione all’oggettiva situazione di contrasto che le parti stesse hanno inteso comporre attraverso reciproche concessioni, giacchè la transazione quale strumento negoziale di prevenzione di una lite – è destinata, analogamente alla sentenza, a coprire il dedotto ed il deducibile” (da ultimo, Cass. Sez. 6-1, ord. 9 ottobre 2017, n. 23482, Rv. 64604001).

Siffatti rilievi, tuttavia, non giovano ai ricorrenti, considerato che la sentenza impugnata – nell’interpretare, in particolare, la transazione intercorsa tra costoro e l’assicuratore della struttura sanitaria, oltre che con questa e i dottori Le. e Lu. (transazione, difatti, conclusa dall’assicuratore “in nome e per conto del proprio contraente”) – ha dato rilievo al fatto che i M.- D.P. dichiararono “di rinunciare ad ogni pretesa o azione in qualsiasi sede anche eventualmente già in corso nei confronti della compagnia solvente e di ogni altro obbligato e coobbligato”. A tale ampia rinuncia (riguardante, come detto, “ogni altro obbligato o coobbligato”) corrispondeva, inoltre, il contestuale impegno “a non promuovere azione penale o a rinunziare a quella eventualmente proposta”, soggiungendosi, infine, che ad “avvenuto ricevimento della somma suddetta a completa tacitazione di ogni e qualsiasi diritto per tutti i danni alla persona e/o cose, patrimoniali e non, anche futuri ed indiretti, il presente atto acquisterà veste di ampia e liberatoria quietanza a saldo per qualsiasi titolo derivante dal sinistro in oggetto”. Analogamente, la transazione intervenuta con la società Fondiaria (assicuratrice dei dottori Pr., L. e l.) implicava la rinuncia degli odierni ricorrenti “ad ogni azione in sede civile e in sede penale contro la Fondiaria Sai s.p.a., contro l’assicurato o le persone dal fatto delle quali debba rispondere, nonchè contro eventuali coobbligati”.

Da quanto precede – nonchè dal fatto, del pari valorizzato in sentenza, che in forza di detti accordi gli odierni ricorrenti hanno ricevuto, nel complesso, Euro 1.642.787,80 – emerge, proprio alla stregua del già indicato criterio di interpretazione “funzionale”, che non è implausibile l’opzione ermeneutica data dal giudice di merito, secondo cui l’uso di simili clausole, nonchè l’importo oggetto della stessa, siano da ritenere sintomatici della volontà di disporre dell’intera obbligazione.

Un’ulteriore conferma, del resto, che la transazione ha riguardato l’intero debito è costituito dall’assenza, nel testo contrattale, di formule che implichino l’abbandono, solo noi confronti dei transigenti, della pretesa giudizialmente azionata, elemento ritenuto decisivo da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 17 gennaio 2008, n. 868, non massimata) per escludere che l’accordo transattivo riguardi solo la quota di debito di pertinenza del condebitore transigente.

Nè, d’altra parte, ad inficiare la ricostruzione del contenuto delle transazioni operata dalla Corte salentina, potrebbe assumere rilievo come pure sostengono i ricorrenti – il comportamento successivo alla stipulazione dei contratti “de quibus”, avendo questa Corte ritenuto, proprio con riferimento “ad una transazione intervenuta nel corso di un giudizio di risarcimento del danno”, che “quando l’ambito dell’accordo sia stato individuato sulla base delle pretese dedotte in giudizio, e la comune intenzione delle parti sia stata ricostruita, senza incertezze, in base al testo da esse sottoscritto resta escluso il ricorso al criterio sussidiario del comportamento delle parti successivo all’accordo” (Cass. Sez. 3, sent. 18 aprile 1995, n. 4333, Rv. 49184701).

Tanto basta, dunque, per ritenere non fondata anche la censura in esame, anche alla stregua del principio secondo cui “l’indagine compiuta dal giudice di merito nello stabilire l’oggetto ed i limiti di una transazione, involge un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da una motivazione immune da vizi logici o da errori di diritto” (Cass. Sez. 2, sent. 18 febbraio 1999, n. 1373, Rv. 523350-01).

7.3. Infine, neppure il quarto ed ultimo motivo di ricorso è fondato.

7.3.1. Al riguardo, va preliminarmente disatteso il rilievo dei controricorrenti, teso ad evidenziare l’inammissibilità del motivo per carenza di interesse, giacchè – almeno nella parte in cui il giudice di appello ha disposto la compensazione (persino nei confronti delle parti non appellanti) anche delle spese della CTU, precedentemente poste a carico, invece, di tutti i convenuti e terzi chiamati – la pronuncia da esso adottata costituisce modificazione “in peius”. dell’assetto dato alle spese di lite dal primo giudice.

Nondimeno, il motivo – come detto – non è fondato, alla stregua del principio secondo cui il “giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione” (da ultimo, Cass. Sez. Lav., sent. 1 giugno 2016, n. 11423, Rv. 639931-01).

8. Quanto alle spese del presente giudizio, essendo ad esso applicabile “ratione temporis” – visto che la presente controversia risulta essere stato incardinata, innanzi al primo giudice, con citazione del 5 dicembre 2000 – il testo dell’art. 92 cod. proc. civ anteriore alle diverse modifiche apportatevi dal legislatore (a partire da quelle recate dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), se ne dispone la loro compensazione tra tutte le parti, data l’esistenza di “giusti motivi”, da individuarsi anche nell’alterno esito delle fasi di merito.

9. A carico dei ricorrenti, atteso l’integrale rigetto della proposta impugnazione, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra tutte le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 3 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA