Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10468 del 27/04/2017
Cassazione civile, sez. VI, 27/04/2017, (ud. 10/03/2017, dep.27/04/2017), n. 10468
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6452-2014 proposto da:
C.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 44,
presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CARLUCCIO, rappresentata e
difesa dall’avvocato ADOLFO GIANFREDA, giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) – P.I. (OMISSIS), in persona del suo curatore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE B. BUOZZI 53, presso lo
studio dell’avvocato CLAUDIO RUSSO, rappresentata e difesa
dall’avvocato FABRIZIO PASSARELLI, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 535/2013 del TRIBUNALE di BRINDISI, depositata
il 29/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 10/03/2017 dal Consigliere D.ssa. MAGDA CRISTIANO.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1) La Corte d’appello di Bari ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., il gravame proposto da C.D. contro la sentenza del Tribunale di Brindisi del 29.3.2013 che aveva dichiarato inefficace nei confronti della massa dei creditori del fallimento di C.G., ex art. 2901 c.c. e L. Fall., 66, l’atto con il quale l’imprenditore poi fallito, padre dell’appellante, le aveva venduto un appartamento.
2) A seguito della dichiarazione di inammissibilità, C.D. ha impugnato la sentenza di primo grado con ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui il curatore del Fallimento di C.G. ha resistito con controricorso.
3) Le parti hanno ricevuto tempestiva notifica della proposta di definizione e del decreto di fissazione dell’udienza camerale di cui all’art. 380 bis c.p.c..
4) La ricorrente ha depositato memoria.
5) Con il primo motivo, che denuncia violazione degli artt. 2901 e 2697 c.c., la C. contesta che dal complesso degli elementi istruttori allegati dal Fallimento potesse trarsi la prova presuntiva della sua participatio fraudis.
6) Col secondo deduce violazione dell’art. 116 c.p.c., per l’omessa valutazione delle certificazioni che dimostravano che alla data della vendita a carico del padre non era pendente alcuna procedura esecutiva.
7) I motivi sono entrambi inammissibili.
7.1) Il primo, pur denunciando la violazione degli artt. 2901 e 2697 c.c., è volto in realtà a sottoporre allo scrutinio di questa Corte la motivazione con la quale il tribunale ha ritenuto provata la conoscenza da parte della ricorrente della dolosa preordinazione dell’atto, stipulato al fine di frodare le ragioni dei futuri creditori, e si risolve, pertanto, nella richiesta di un apprezzamento delle risultanze istruttorie difforme da quella operata dal giudice del merito. (Cass. 19 febbraio 2015, n. 3336; Cass. 18 aprile 2011, n. 8827).
7.2) Identiche considerazioni vanno svolte con riguardo al secondo motivo, con il quale si censura l’omessa valutazione di documenti che il tribunale ha evidentemente ritenuto irrilevanti ai fini di una diversa soluzione della controversia, laddove la violazione dell’art. 116 c.p.c. può ricorrere, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), soltanto quando il giudice abbia attribuito un altro e diverso valore (ad cs. valore di prova legale) ad una prova, o ad una risultanza probatoria, che avrebbe dovuto valutare secondo il suo prudente apprezzamento o, quando, viceversa, abbia valutato secondo il suo prudente apprezzamento una prova soggetta ad una specifica regola di valutazione (Cass. 19 giugno 2014, n. 13960).
3) In conclusione, poichè entrambi i motivi prospettano vizi di motivazione, il ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017