Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10468 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. II, 03/06/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 03/06/2020), n.10468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. Carbone Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5079/2015 R.G. proposto da:

D.I.I., rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio Verini, con

domicilio eletto in Roma, Via degli Appennini n. 46, presso l’avv.

Stefano Isidori.

– ricorrente –

contro

G.A.M., rappresentata e difesa dall’avv. Fausto

Corti, con domicilio eletto in Roma, alla Via del Tempio n. 1,

presso l’avv. Angelo Maleddu.

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di L’Aquila n. 800/2013, depositata

in data 13.12.2013, e dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., n.

105/2014, depositata in data 29.7.2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22.11.2019 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso, chiedendo di

dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.A.M. ha evocato in giudizio D.I.I. dinanzi al Tribunale di L’Aquila, chiedendo di dichiarare la risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare, concluso in data del 19.12.2008, per eccessiva onerosità sopravvenuta e di condannare la convenuta alla restituzione di Euro 35.000,00, versati a titolo di acconto sul prezzo.

Ha dedotto che il contratto definitivo doveva esser stipulato in data 15.6.2009 e che, a causa del sisma dell’aprile 2009, l’immobile era stato gravemente danneggiato; che, sempre a causa del sisma, l’attrice non aveva potuto vendere un proprio immobile e non aveva le risorse necessarie per procedere all’acquisto, divenuto eccessivamente oneroso anche rispetto al valore del bene oggetto del preliminare.

La convenuta ha resistito alla domanda, spiegando riconvenzionale per far accertare la legittimità del recesso dal contratto, esercitato all’atto della costituzione in giudizio, con diritto a trattenere la caparra di Euro 35.000,00.

Il tribunale ha accolto la domanda principale ed ha respinto la riconvenzionale, affermando che:

– la L. n. 134 del 2012, art. 67 quater, comma 10, di conversione del D.L. n. 83 del 2012, ha comportato la risoluzione di diritto dei contratti preliminari di vendita o istitutivi di diritti reali di godimento sugli immobili ubicati nei Comuni interessati dal sisma del 2009;

– la norma ha effetti retroattivi ed era applicabile in corso di giudizio, non essendosi il rapporto esaurito.

L’appello proposto dalla D.I. è stato dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c..

Per la cassazione della sentenza di primo grado e dell’ordinanza di inammissibilità, D.I.I. ha proposto ricorso in otto motivi.

G.A.M. ha proposto controricorso e memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 183 c.p.c., art. 1467 c.c. e D.L. n. 83 del 2012, art. 67 quater, comma 10, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza ritenuto che la promissaria acquirente avesse tempestivamente invocato gli effetti della nuova disposizione in tema di risoluzione del preliminare, benchè nel giudizio di primo grado fossero già maturate le preclusioni processuali.

Secondo la ricorrente il D.L. n. 83 del 2012, art. 67 quater, non ha mera portata interpretativa, poichè – a differenza dell’art. 1467 c.c., consente la risoluzione automatica dei preliminari con sentenza di mero accertamento, pur in mancanza del requisito dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza pronunciato la risoluzione del preliminare senza consentire alla ricorrente di contraddire in ordine all’immediata applicabilità della norma sopravvenuta.

Il terzo motivo denuncia la violazione la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza dichiarato la risoluzione, accogliendo una domanda diversa da quella proposta.

Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza dichiarato la risoluzione in applicazione di una norma diversa da quella dedotta a fondamento della domanda, poichè il D.L. n. 83 del 2012, art. 67, a differenza dell’art. 1467 c.c., non contempla la riconduzione del contratto ad equità e consente di pronunciare la risoluzione con sentenza meramente dichiarativa.

Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 1385 c.c., comma 2, art. 1458 c.c. e art. 11 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza ritenuto applicabile la norma sopravvenuta, non considerando che il rapporto era già risolto a seguito del recesso della promittente venditrice esercitato all’atto della costituzione in giudizio in data 1.12.2010.

Il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 1458 c.c., art. 11 preleggi e D.L. n. 83 del 2012, art. 67 quater, comma 10, sostenendo che, per effetto del recesso, il contratto si era sciolto con effetti dalla stipula (19.12.2008), per cui non era consentito applicare il D.L. n. 83 del 2012, art. 67, operante per i soli contratti ancora in essere al momento della entrata in vigore della nuova disposizione.

Il settimo motivo denuncia la violazione dell’art. 1385 c.c., comma 2, art. 1458 c.c., art. 11 preleggi e del D.L. n. 83 del 2012, art. 67 quater, comma 10, per aver la sentenza ordinato la restituzione dell’acconto in applicazione della disciplina dell’indebito oggettivo, mentre, non potendo essere disposta la risoluzione, neppure la restituzione non poteva essere ordinata.

L’ottavo motivo deduce la violazione dell’art. 1385 c.c., comma 2 e art. 1455 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la sentenza giudicato grave l’inadempimento in cui era incorsa la promissaria acquirente (consistente nel rifiuto di stipulare il definitivo), per non aver dichiarato legittimo il recesso esercitato dalla ricorrente e per averle negato il diritto a trattenere le somme versate in esecuzione del preliminare.

2. Il ricorso è inammissibile.

Ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, l’impugnazione in cassazione deve proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza di inammissibilità o dalla sua notificazione su istanza della controparte, ma solo se anteriore.

Tale termine è applicabile anche all’impugnazione autonoma dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c., nei casi in cui questa risulti consentita (Cass. 3067/2017; Cass. 12127/2016).

Dalle certificazioni di cancelleria acquisite in atti risulta – nello specifico – che l’ordinanza di inammissibilità è stata comunicata telematicamente all’avv. Claudio Verini, con consegna attestata dalla relativa ricevuta, in data 29.7.2014.

Il ricorso è stato – invece – notificato in data 9.2.2015 e quindi tardivamente.

Le spese seguono la soccombenza.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5000,00, per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Dà atto che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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