Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10466 del 12/05/2011

Cassazione civile sez. II, 12/05/2011, (ud. 05/11/2010, dep. 12/05/2011), n.10466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

CONSORZIO GE.SE.CEDI. (OMISSIS), in persona del suo Presidente e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZALE DI PORTA PIA 121, presso lo studio dell’avvocato NAVARRA

GIANCARLO, rappresentato e difeso dagli avvocati FIORENTINO MATTEO

MARIA, CIMADOMO BRUNO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.E., PO.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 25289/2007 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA del 2/10/07, depositata il 04/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

è presente il P.G. in persona del Dott. RUSSO Libertino Alberto.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n. 25289 del 4 dicembre 2007 questa Corte rigettava il ricorso proposto dal Consorzio GE.SE.CEDI “avverso la sentenza n. 55837/05 del Giudice di pace di Napoli, depositata il 07/11/05.” La causa era relativa al recupero di oneri consortili per circa 500,00 Euro nei confronti di P.E. e di G. P..

L’unico motivo del ricorso per cassazione si fondava su due profili;

il secondo di essi criticava la sentenza impugnata per aver affermato che la manifestazione di volontà di entrare a far parte del consorzio non poteva essere espressa con la sola sottoscrizione di un atto di acquisto, contenente la clausola di automatica adesione al consorzio. Questa censura veniva respinta dalla Corte Suprema con la seguente motivazione: “In altre cause vertenti tra il consorzio GE.SE.CEDI. ed altri presunti consorziati, questa S.C. ha già avuto occasione di chiarire che occorre spiegare come ad una dichiarazione contenuta in un contratto di vendita e rivolta da una parte (nella specie: l’acquirente) all’altra parte (nella specie: il venditore) possa avere effetti nei confronti di un terzo (nella specie il consorzio) (sent: 14585/04; 6663/05; 6666/05; 19674/06).” Il Consorzio ha impugnato detta sentenza n. 25289/07 con ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4 notificato il 10 gennaio 2009.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio.

Parte istante deduce che “il Giudicante è incorso in errore” nel ritenere che nel caso di specie il ricorrente non avesse spiegato gli effetti del contratto di compravendita, perchè il ricorrente aveva “ampiamente chiarito la valenza diretta di tale dichiarazione per vari e concorrenti motivi” esposti nel ricorso originario e riprodotti in quello per revocazione.

Il ricorso è inammissibile, perchè attiene a ipotesi non riconducibile al paradigma di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4.

Detta norma consente l’impugnazione per revocazione “se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

In tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto, individuandosi nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati(16136/09).

Pertanto l’errore di percezione che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto decisivo che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, non è configurabile nell’ipotesi in cui riguardi norme giuridiche, essendo la loro violazione o falsa applicazione un errore di diritto. (Cass. 13367/09).

E’ stato quindi ribadito che ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento da parte della Corte di un motivo di ricorso – qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sè insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis cod. proc. civ.. (Cass. 5221/09). Non può, quindi, ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della Suprema Corte della quale si censuri la valutazione del motivo di appello, in quanto espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto di impugnazione, perchè in tal caso è dedotta una errata valutazione ed interpretazione degli atti oggetto di ricorso.

Tale è la questione sottoposta oggi alla S.C. Il Collegio che decise la sentenza 25289 del 2007, con il suo riferirsi all’assenza di spiegazione del problema giuridico già risolto dai precedenti citati, intendeva chiaramente richiamare le tesi svolte in quelle sentenze della Corte di Cassazione e ribadire che il ricorso esaminato non offriva soluzione diversa ai temi del decidere e alle soluzioni già date.

Implicitamente ma inequivocabilmente offriva dunque risposta al ricorso.

In ogni caso l’eventuale sottovalutazione o incompletezza dell’esame delle argomentazioni svolte nel ricorso stesso non potrebbe comunque integrare, per i motivi anzidetti, la fattispecie di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, non essendo equiparabile all’errore di fatto ivi disciplinato.

Il Collegio condivide quindi, e fa proprie, le osservazioni sopraesposte, già svolte nella relazione preliminare comunicata ex art. 380 bis c.p.c..

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui non segue la pronuncia sulla refusione delle spese di lite in mancanza di attività difensiva degli intimati.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile, il 5 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2011

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