Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10460 del 12/05/2011

Cassazione civile sez. II, 12/05/2011, (ud. 08/03/2011, dep. 12/05/2011), n.10460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DI GROTTAROSSA 55, presso lo studio dell’avvocato STELLA

NICOLINO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COOPERATIVA “LA NOSTRA TERRA – NASA ZEMLJA” Soc.Coop. a r.l., in

persona del legale rappresentante pro tempore ((OMISSIS));

– intimata –

avverso la sentenza n. 187/2004 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 29/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2011 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.A. chiedeva che, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., venissero trasferiti alla Cooperativa La Nostra Terra -Nasa Zemlja alcuni terreni di sua proprietà previo pagamento del saldo del prezzo dovuto, invocando a fondamento della richiesta la delibera del Consiglio di amministrazione della società che aveva autorizzato il vice Presidente della medesima ad acquisire detti terreni.

La Cooperativa La Nostra Terra -Nasa Zemlja chiedeva il rigetto della domanda, deducendo che in realtà i terreni in questione erano stati acquistati dall’attore in nome proprio ma per conto della Cooperativa, di cui all’epoca il medesimo era Presidente, in virtù di mandato al medesimo conferito dalla convenuta con Delib. 30 marzo 1974; l’attore era stato ampiamente remunerato del prezzo mediante l’erogazione della somma di L. 6.133.000; pertanto, in via riconvenzionale, chiedeva che venisse accertato che i terreni appartenevano alla predetta senza onere di ulteriori esborsi.

Il Tribunale accoglieva la domanda, trasferendo alla Cooperativa gli immobili in oggetto, con sentenza che era riformata dalla Corte di appello la quale, dopo avere escluso che la delibera del Consiglio di amministrazione della società potesse integrare un contratto preliminare, riteneva che in effetti gli immobili de quibus appartenevano alla convenuta senza necessità di ulteriori esborsi, e ciò per l’acquisto operato in virtù del mandato conferito all’attore dalla società.

Avvero tale decisione l’attore proponeva ricorso per cassazione che era in parte accolto.

Con sentenza n. 9710 del 1994 era respinto il primo motivo di ricorso con cui era stata censurata la sentenza di appello laddove aveva escluso la sussistenza di un contratto preliminare fra le parti;

veniva in parte accolto il secondo motivo, avendo la Suprema Corte cassato la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto l’esistenza di un mandato conferito all’attore dalla convenuta anche per l’acquisto del terreno di cui al mappale 281 del foglio 10, quando tale acquisto era risultato anteriore al conferimento del predetto mandato:

pertanto, con riferimento a tale motivo la sentenza era cassata con rinvio.

Il giudizio di rinvio non era riassunto.

L’attore, premesso che in considerazione della mancata riassunzione del giudizio di rinvio era venuta meno la pronuncia che aveva trasferito gli immobili alla Cooperativa, la conveniva in giudizio dinanzi al Pretore di Campobasso per sentirla la condannare alla restituzione dei beni e al risarcimento dei danni per illegittima occupazione.

La convenuta eccepiva l’incompetenza per valore del giudice adito e, nel merito, invocava l’usucapione su beni in oggetto.

Il Tribunale (frattanto subentrato al Pretore), ritenuta l’estinzione del giudizio e caducate la sentenze emesse, pronunciava la risoluzione del contratto preliminare intercorso fra le parti, condannando: la convenuta al rilascio dei terreni e al pagamento di un’indennità di occupazione illegittima; l’attore alla restituzione della somma di Euro 3.167,43;

respingeva la domanda riconvenzionale di usucapione.

Avverso tale decisione proponevano appello principale l’attore e incidentale la convenuta.

Con sentenza dep. il 29 giugno 2004 la Corte di appello di Campobasso, in parziale riforma della decisione impugnata, rigettava la domanda di rilascio proposta dall’attore relativamente ai terreni di cui alla particella 195 fg.7 e alla particella 18 fg. 10;

condannava la convenuta al rilascio del fondo di cui alla particella 281 fg. 10; confermava la condanna dell’attore alla restituzione della somma di Euro 3.167,43;

condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 100,00 per ogni anno di illegittima detenzione del fondo a fare data dal 27-5- 1999. Per quel che ancora interessa, secondo i giudici di appello- relativamente ai terreni di cui alla particella 195 fg.7 e alla particella 18 fg. 10 -si era formato il giudicato laddove la S.C., respingendo il primo motivo di ricorso ed accogliendo la prima delle censure formulate con il secondo motivo, aveva escluso che fosse configurabile la conclusione di un contratto preliminare e aveva confermato la statuizione della Corte di appello di Campobasso del 28 marzo 1991 laddove aveva ritenuto che detti terreni, acquisiti per conto della Cooperativa dal G. con atti del 22-5-1974, erano stati alla medesima trasferiti.

Accolta invece la domanda di rivendicazione relativamente al terreno di cui alla particella 281, era liquidato il risarcimento del danno per occupazione a fare data dalla domanda del presente giudizio, sul rilievo che la convenuta dovesse considerasi possessore di buona fede : l’importo era quantificato con riferimento al reddito agrario del fondo con decorrenza dalla domanda del presente giudizio.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione A. G. sulla base di tre motivi.

Non ha svolto attività difensiva l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 310 e 393 cod. proc. civ., censura la decisione gravata che aveva ritenuto la formazione della cosa giudicata a seguito del rigetto del primo motivo del ricorso proposto il 14-6-1991 e del parziale rigetto del secondo motivo quando a seguito della mancata riassunzione del giudizio di rinvio, si verifica la caducazione delle sentenze impugnate, a nulla rilevando che la Suprema Corte abbia accolto o respinto il ricorso. Il motivo è infondato.

Qualora la Corte di Cassazione accolga soltanto in parte il ricorso, i capi della sentenza relativamente ai quali il ricorso sia stato respinto sono ormai intangibili, per cui le relative statuizioni passano in cosa giudicata , con la conseguenza che non sono travolte dagli effetti della estinzione del giudizio conseguente alla mancata riassunzione del giudizio di rinvio. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando la violazione del principio del sinallagma, censura la sentenza laddove aveva confermato la statuizione del tribunale di condanna alla restituzione dell’importo di Euro 3.167,43, che era stata emessa sul presupposto della pronunciata risoluzione del contratto preliminare e della condanna della Cooperativa alla restituzione dei terreni, risoluzione travolta dalla decisione della Corte di appello, non essendo spiegata la ragione perchè la medesima, che non aveva mai chiesto la restituzione di tale somma, dovesse ricevere l’importo che rappresentava l’acconto dell’acquisto dei terreni de quibus che le erano stati trasferiti. Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata ha confermato la condanna dell’attore alla restituzione della somma di L. 6,133.000 ( pari a Euro 3.167,43) disposta dal Tribunale con la pronuncia di risoluzione del contratto e di rilascio degli immobili da parte della Cooperativa, nonostante che tale pronuncia sia stata riformata dalla Corte di appello, la quale ha rigettato la domanda di rilascio proposta dall’attore relativamente ai terreni di cui alla particella 195 fg.7 e alla particella 18 fg. 10, rilevando a tale riguardo il passaggio in giudicato della sentenza della Corre di appello del 28 marzo 1991, che li aveva dichiarati trasferiti alla Cooperativa senza ulteriore esborso, oltre l’acconto già versato di L. 6.133.000 (pari a Euro 3.167,43). Ne consegue che la condanna alla restituzione di tale somma è non solo ingiustificata ma è stata altresì emessa in violazione dell’ art. 112 cod. proc. civ. (sostanzialmente anche denunciata con il secondo motivo), non risultando mai formulata al riguardo alcuna specifica domanda da parte della Cooperativa.

Con il terzo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1147 e 1148 cod. civ., censura la sentenza impugnata che, nel liquidare il danno, aveva preso in considerazione solo il reddito agrario non spiegando perchè avesse escluso quello dominicale; inoltre la Corte aveva valutato il danno con decorrenza dalla domanda sul presupposto che si trattasse di un possesso di buona fede, mentre nella specie non poteva parlarsi di possesso di buona fede, quanto meno dalla sentenza della Cassazione, e addirittura di possesso anzichè di detenzione. Il motivo è infondato.

La valutazione del danno e dei criteri per la sua determinazione così come la sussistenza in concreto di un possesso di buona fede hanno ad oggetto tipici accertamenti di fatto riservati all’indagine del giudice di merito e insindacabili in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto). In particolare, per quel che concerne la determinazione del danno, il ricorrente avrebbe dovuto denunciare il mancato esame di elementi probatori acquisti agli atti, dimostrandone la decisività previa trascrizione integrale del relativo contenuto, mentre per quel che concerne il possesso di buona fede va osservato che la sentenza ha accertato che gli immobili de quibus furono acquistati dal G. per impiantarvi il centro zootecnico poi realizzato dalla Cooperativa nella piena consapevolezza e senza l’opposizione del proprietario.

Pertanto, in accoglimento del secondo motivo, va cassata la statuizione di condanna dell’attore alla restituzione della somma di Euro 3.167,43; non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va in proposito decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., dovendo eliminarsi dalla sentenza impugnata la suddetta statuizione.

Per effetto della riforma della decisione impugnata, deve procedersi al regolamento delle spese di secondo grado che possono essere compensate, tenuto conto della peculiarità della vicenda processuale.

In considerazione del soltanto marginale accoglimento del presente ricorso (per il resto respinto), le spese relative alla presente fase vanno dichiarate non ripetibili, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo del ricorso rigetta i gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e , decidendo nel merito, elimina la condanna dell’attore alla restituzione della somma di Euro 3.167,43.

Compensa le spese relative al giudizio di secondo grado; dichiara irripetibili quelle della presente fase.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2011

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