Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10460 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. II, 03/06/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 03/06/2020), n.10460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29222/2015 proposto da:

S.F., S.I., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

FRANCESCO DENZA 27, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA

TOMASSINI, rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLO STERN;

– ricorrenti –

contro

P.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VEROLI

MANLIO 2-4, presso lo studio dell’avvocato RUGGERO MARIA GENTILE,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE

MUSCOLO, BOGDAN BERDON;

M.M., in persona dell’amministratore di sostegno e

rappresentante STEFANO LEITER, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato NICO MORAVIA,

che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 312/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 11/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Per quanto ancora rileva, con sentenza depositata in data 11 maggio 2015 la Corte d’appello di Trieste: a) ha confermato la decisione di primo grado, nella parte in cui aveva accolto la domanda di riduzione del prezzo di acquisto di un box auto, proposta da P.V. nei confronti dei venditori S.F. e S.I. e aveva condannato questi ultimi al pagamento di Euro 12.971,00 per il rifacimento del solaio e della scala, di Euro 3.905,00 per spese di pratiche amministrative, di Euro 300,00 per la demolizione dell’intonaco ordinata dal consulente tecnico d’ufficio; b) in parziale riforma della medesima decisione, ha condannato i S. a rifondere, in favore della P., le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte; c) sempre in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di manleva che i S. avevano proposto nei confronti di M.M., proprietaria dell’attiguo immobile e utilizzatrice della scala e della terrazza.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che, ai sensi dell’art. 1491 c.c., la garanzia per i vizi, dovuta dal venditore per il solo fatto oggettivo della loro presenza, è esclusa soltanto se il compratore era a conoscenza dei vizi o se gli stessi erano facilmente riconoscibili; b) che, alla luce dell’onere probatorio gravante sulla parte venditrice, il pacifico contrasto di deposizioni già avrebbe consentito di raggiungere una conclusione favorevole all’acquirente e ciò anche in ragione del fatto che, in sede di accertamento tecnico preventivo, il professionista aveva escluso distacchi dal soffitto; c) che la stessa parte appellante aveva ammesso che vizi e difetti non erano ictu oculi riscontrabili; d) che le doglianze della P. erano correlate al vizio dell’armatura del solaio e della scala, laddove lo stesso professionista incaricato di svolgere l’accertamento tecnico preventivo aveva collegato il “suono a vuoto” della parte superiore del box al distacco della finitura del supporto, con la conseguenza sottolineata dalla sentenza di primo grado che esso non poteva “fungere da elemento presuntivo, al fine di ritenere riconoscibile il diverso vizio dell’armatura del solaio”; e) che lo stesso Tribunale, non destinatario sul punto di puntuale e specifica critica, quanto alla situazione della scala, aveva osservato che le dichiarazioni del teste F. non potevano essere valorizzate dal momento che risalivano a quattro anni prima della trattativa, con la conseguenza che non vi era alcuna certezza che la situazione fosse rimasta immutata; f) che nella sentenza di primo grado non era presente l’affermazione – indicata dagli appellanti – relativa alle manifeste cattive condizioni della scala; g) che il Tribunale non aveva ritenuto determinanti ai fini del decidere le dichiarazioni dei testi A. e T.; h) che, quanto all’entità della riduzione del prezzo, gli appellanti avevano formulato doglianze generiche, laddove la sentenza impugnata, pur avendo proceduto secondo equità, aveva assunto a ragionevole parametro delle opere destinate al ripristino il costo, debitamente ridotto, dei lavori da eseguire sul fabbricato che, in sè considerati, esulavano dalle iniziali prospettive di parte acquirente, alla luce della non riconoscibilità dei vizi; i) che irrilevante era la prova orale offerta; l) che, quanto al rapporto tra i venditori e la M., proprietaria del fondo dominante e titolare del diritto di passaggio, l’inerzia di quest’ultima nell’eseguire, sul fondo servente, le opere necessarie per conservare la servitù aveva come unica conseguenza il mancato esercizio del diritto reale, ma non poteva costituire titolo di responsabilità.

3. Avverso tale sentenza S.F. e S.I. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Stefano Leiter, nella qualità di amministratore di sostegno di M.M., e P.V. hanno resistito con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 1491 c.c., sottolineando “la mancanza di logica e di un esame integrale del materiale probatorio”, per avere la Corte territoriale trascurato di considerare che proprio la relazione di accertamento tecnico preventivo dimostrava che l’ossidazione dei ferri dell’armatura delle strutture in calcestruzzo era ben visibile sin da prima della conclusione della compravendita.

Aggiungono i ricorrenti: a) che le fotografie rivelavano il pessimo stato della scala; b) che i giudici di merito avevano omesso di motivare “in merito alla negata valenza della deposizione del Geom. F.M.”; c) che era incontestato che il box si fosse presentato sin dall’inizio delle trattative come gravemente e generalmente ammalorato; d) che la consapevolezza dell’acquirente era dimostrata dalla specifica riduzione del prezzo; e) che la Corte d’appello aveva equivocato sulla tinteggiatura del soffitto; f) che, in definitiva, i vizi erano riconoscibili, era mancata qualunque assicurazione del contrario da parte dei venditori e, del resto, proprio per tale ragione era stato convenuto un prezzo ridotto.

Il motivo è infondato.

I ricorrenti, consapevoli che la valutazione sulla conoscenza o riconoscibilità dei vizi costituisce giudizio di fatto (v., ad es., Cass. 2 dicembre 2016, n. 24731), sollevano la questione della mancanza di logica e di esame integrale del materiale probatorio.

In realtà, si tratta di censure che, anche a voler intendere nel senso più ampio l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non riescono a superarne i limiti.

Ora, posto che la sentenza impugnata è stata depositata in data 11 maggio 2015, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Legge di Conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).

Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Peraltro, i ricorrenti citano un brano della relazione predisposta in sede di accertamento tecnico preventivo, che si sofferma sulle cause dei vizi e, in particolare, della compromissione della idoneità statica delle strutture, ma non sulla apparenza degli stessi.

Le considerazioni che vengono dedicate poi alle condizioni della scala sono, parimenti, inidonee a rivelare un mancato esame di decisive risultanze istruttorie, per la ragione evidente che la constatazione dell’ing. Sp. avviene in sede di accertamento tecnico preventivo e, pertanto, non fornisce informazioni sulle condizioni prima della conclusione della compravendita.

Del tutto inesatto è poi che non siano state esaminate le dichiarazioni del teste F..

I ricorrenti richiamano l’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, in materia di vendita, la conoscenza del vizio, che esclude la garanzia ai sensi dell’art. 1491 c.c., si ha quando il compratore abbia acquisito la certezza obiettiva del vizio nella sua manifestazione esteriore, ancorchè egli non ne abbia individuato la causa (v., ad es., Cass. 18 gennaio 2013, n. 1258).

Tuttavia, la censura non coglie il punto che il vizio del quale si è dedotta la sussistenza non è la macchia di umido che sarebbe stata rilevabile, ma la grave corrosione dell’armatura del solaio. Non vi è, quindi, alcuna confusione tra vizio e causa dello stesso, ma una diversa individuazione del primo.

In tale contesto, è del tutto assertiva l’affermazione che la controparte sarebbe stata consapevole dei vizi e del tutto inconferente la menzione della giurisprudenza sulla rilevanza dell’assicurazione, da parte del compratore, dell’assenza di vizi.

2. Con il secondo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 1069 c.c., in relazione al successivo art. 2051, per avere la Corte d’appello omesso di considerare che i primi due commi dell’art. 1069 cit. pongono a carico del proprietario del fondo dominante un dovere di eseguire le opere necessarie alla conservazione della servitù e che, nella specie, la disponibilità del bene anche da parte della M., ai fini della sua responsabilità come custode, discendeva dal fatto che quest’ultima aveva l’uso esclusivo della scala e del terrazzo soprastante il locale garage.

La doglianza è, nel suo complesso, infondata, alla luce del condiviso orientamento di questa Corte, in forza del quale l’azione di responsabilità ex art. 2051 c.c., è esperibile solo nei confronti del custode del bene, il quale non può essere identificato nel titolare della servitù di passaggio, atteso che l’esistenza di quest’ultima non sottrae al proprietario del fondo servente, nè attribuisce al proprietario del fondo dominante, la disponibilità e custodia della parte di fondo (strada e accessori) sulla quale la servitù è esercitata (Cass. 12 ottobre 2012, n. 17492).

Nella parte in cui il motivo censura la scelta dei giudici di merito di escludere qualunque ripartizione interna del carico delle spese, la critica si colloca ai limiti dell’inammissibilità, perchè continua a non confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha osservato che l’art. 1069 c.c., assume rilievo quando si discuta della partecipazione alle spese per la conservazione della servitù, ossia di profili completamente estranei all’oggetto della lite, che attiene alla responsabilità del venditore verso il compratore per l’inerzia nella manutenzione del bene.

3. Con il terzo motivo si lamenta l’erroneità della decisione in punto di spese, rilevando: a) che l’erroneità della condanna dei S. avrebbe dovuto incidere sulla regolamentazione delle spese; b) che, alla luce della parziale soccombenza della P., si sarebbe dovuta operare una compensazione quantomeno parziale; c) che il parziale accoglimento della domanda di manleva avrebbe dovuto comportare la compensazione di spese tra i ricorrenti e la M..

Il rigetto del ricorso rende superflua ogni considerazione quanto ai punti a) e c), che si correlano all’auspicato accoglimento dell’impugnazione.

Quanto al punto b), la doglianza è infondata, dal momento che la pretesa – chiaramente riferibile al primo grado, dal momento che le spese del secondo grado sono state compensate anche nel rapporto processuale tra i ricorrenti e la P. – trascura di considerare che la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. 26 aprile 2019, n. 11329).

4. In conseguenza, il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dall’art. 1, comma 17,, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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