Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10458 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. II, 03/06/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 03/06/2020), n.10458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29720-2015 proposto da:

I.R., P.D., I.F.P., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEL TRITONE 102, presso lo studio

dell’avvocato VITO NANNA, rappresentati e difesi dall’avvocato

ANDREA VIOLANTE;

– ricorrenti –

contro

S.C., N.G., N.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA SCARLATTI 4, presso lo studio dell’avvocato

RAFFAELE CAROLI CASAVOLA, rappresentati e difesi dall’avvocato

FRANCESCO CAROLI CASAVOLA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1898/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 26/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 26 novembre 2014, la Corte d’appello di Bari, in parziale riforma della decisione di primo grado, ritenuta incidentalmente la nullità del contratto di vendita concluso in data 4 dicembre 1989 da P.D., I.R. e I.F.P., da un lato, e S.C., dall’altro: a) ha confermato il rigetto della domanda di risoluzione di tale contratto; b) ha accolto la domanda riconvenzionale proposta e ha dichiarato l’intervenuto acquisto a titolo originario, sin dal 22 luglio 1974, da parte di N.F. e, quindi, dei suoi eredi, N.A., N.G. e S.C., per usucapione ultraventennale, del diritto di proprietà relativo all’azienda agricola ubicata in agro di (OMISSIS), alla contrada (OMISSIS), comprendente i fondi rustici censiti alla partita (OMISSIS), foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS), con gli entrostanti fabbricati rurali.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che il Tribunale aveva rigettato la domanda di risoluzione del contratto di vendita del 4 dicembre 1989, proposta da P.D., I.R. e I.F.P., ritenendo che esso fosse affetto da nullità assoluta per mancanza della causa traslativa, dal momento che il diritto di proprietà sull’indicata azienda agricola, che si era inteso trasferire, aveva già costituito oggetto di una precedente scrittura privata del 22 luglio 1974 intercorsa tra il dante causa degli attori, I.G., e il dante causa dei convenuti, N.F.; b) che la qualificazione operata dal Tribunale del negozio più risalente come contratto di vendita definitivo e non come mero contratto preliminare non era stata contestata da alcuno, con la conseguenza che la pronuncia doveva ritenersi coperta dal giudicato; c) che, tuttavia, la scrittura privata del 22 luglio 1974 non era stata trascritta, a differenza degli atti di donazione con i quali l’ I. aveva disposto della nuda proprietà dei beni facenti parte del complesso aziendale in favore dei figli, F.P. e R., costituendo usufruttuaria, dopo la morte, la moglie, P.D.; d) che, in conseguenza, questi ultimi atti erano opponibili al N., prevalendo in forza del criterio della priorità della trascrizione; e) che, pertanto, la declaratoria di nullità, per mancanza di causa traslativa, del contratto di cui alla scrittura privata del 4 dicembre 1989 era errata, dal momento che, a quest’ultima data, erano proprio gli I. e la P. gli unici titolari del diritto di proprietà sul complesso immobiliare; f) che nella scrittura privata del 4 dicembre 1989 gli I. e la P., dando atto degli atti dispositivi del loro dante causa, avevano manifestato l’intendimento di mantenere fede agli impegni assunti da quest’ultimo; g) che quest’ultimo contratto, in assenza di elementi dai quali desumere la volontà di differire l’effetto traslativo ad un momento successivo e alla luce della inequivoca volontà confermativa del precedente atto del 1974, doveva essere qualificato come contratto definitivo; h) che, tuttavia, doveva rilevarsi d’ufficio la nullità del contratto del 4 dicembre 1989, in quanto concluso in violazione delle disposizioni inderogabili in materia urbanistica (L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 18 e 17, trasfusi nel D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 30 e 46; L. n. 47 del 1985, art. 40); i) che, pertanto, la ritenuta invalidità del contratto comportava inevitabilmente l’infondatezza della domanda di risoluzione; l) che, invece, era fondata la domanda riconvenzionale proposta dalla S. e dai N., intesa ad ottenere l’accertamento dell’avvenuto acquisto a titolo originario del diritto di proprietà sul complesso immobiliare in contestazione; m) che, in effetti, la prolungata signoria di fatto esercitata, dal 22 luglio 1974 sino alla sua morte ((OMISSIS)), da N.F. e poi dai suoi eredi, sino all’attualità e comunque sino all’introduzione del giudizio, era stata sempre accompagnata dall’animus rem sibi habendi; n) che, peraltro, la situazione possessoria della quale si discute aveva la sua genesi in un atto di acquisto a titolo derivativo costituito dalla vendita di cui alla scrittura del 22 luglio 1974; o) che non risultavano intervenuti validi ed efficaci atti interruttivi della prescrizione acquisitiva, giacchè gli atti di donazione del 19 e 21 agosto 1987 non avevano comportato per il possessore la perdita del potere di fatto sul complesso immobiliare; p) che, in ogni caso, non erano ravvisabili altri atti che avessero comportato la perdita di siffatto potere.

3. Avverso tale sentenza la P. nonchè I.R. e I.F.P. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui hanno resistito con controricorso S.C., N.G. e N.A.. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, artt. 17, 18 e 40, D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 46, artt. 1529, 1453 e 1455 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto la nullità del contratto del 4 dicembre 1989, per violazione delle indicate norme in materia urbanistica, senza considerare che il negozio non aveva efficacia immediatamente traslativa, essendo sottoposto alla condizione sospensiva dell’intervenuto pagamento del prezzo.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, subordinatamente al mancato accoglimento del primo motivo, violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, artt. 17, 18 e 40, D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 46, artt. 1453 e 1455 c.c..

I ricorrenti precisano che, a seguito del rilievo per la prima volta e officiosamente da parte della Corte d’appello della nullità del contratto del 4 dicembre 1989, avevano provveduto spontaneamente alla regolarizzazione dell’atto, alla luce delle sopra ricordate previsioni.

3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1165, 2944 e 2945 c.c., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale trascurato di considerare il rilievo, svolto nell’atto di appello, secondo il quale le controparti erano comparse nel contratto del 4 dicembre 1989 come promissari acquirenti, ossia spendendo una qualità idonea ad escludere il possesso uti dominus.

In ogni caso, se la Corte d’appello avesse inteso disattendere la considerazione appena menzionata, essa sarebbe incorsa, secondo i ricorrenti, nella denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1165 e 2944 c.c., dal momento che il riconoscimento del diritto altrui, da parte del possessore, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, interrompe il termine utile per l’usucapione.

4. Deve procedersi, stante la sua priorità sul piano logico giuridico, e in ossequio al principio fondato sulla necessità di ricercare e indicare la “ragione più liquida” (Cass., Sez. U., 18 novembre 2015, n. 23542; Cass., Sez. Un., 8 maggio 2014, n. 9936), all’esame del terzo motivo di ricorso.

I primi due motivi, infatti, sono finalizzati, attraverso due diverse prospettive, a superare il rilievo, operato incidenter tantum da parte del giudice di merito, della nullità della scrittura privata del 4 dicembre del 1989, della quale gli odierni ricorrenti avevano chiesto la risoluzione, “con la conseguente condanna” della controparte “alla restituzione del bene”.

In definitiva l’interesse a ricorrere, in relazione a tali profili, sussisterebbe solo se non ci fosse un altro, autonomo titolo di proprietà in favore dei resistenti, giacchè, in quest’ultimo caso, comunque la pretesa restitutoria non potrebbe trovare accoglimento.

Ciò posto, come del resto hanno ben colto i ricorrenti, la Corte d’appello non ha omesso di esaminare specificamente se sussistesse o non una interruzione del possesso, in quanto essa ha ritenuto di attribuire rilievo solo agli atti che comportino la perdita materiale del potere di fatto.

La sentenza impugnata, infatti, pur concentrandosi esplicitamente sull’assenza di efficacia interruttiva degli atti di donazione dell’ I. in favore dei figli, contiene una trattazione di carattere generale avente ad oggetto la necessità di cogliere una reale incidenza sulla situazione di possesso dell’atto del quale si affermi l’idoneità a interrompere il termine utile per usucapire.

Ora, ai fini della configurabilità del riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, idoneo a interrompere il termine utile per il verificarsi dell’usucapione, ai sensi degli artt. 1165 e 2944 c.c., non è sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, ma si richiede che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare. Costituendo la c.d. volontà “attributiva” del diritto un requisito normativo del riconoscimento, questa può normalmente desumersi dall’essere state intavolate trattative con i titolari del diritto di proprietà ai fini dell’acquisto in via derivativa, restando invece esclusa quando tali iniziative siano ispirate dalla diversa volontà di evitare lungaggini giudiziarie per l’accertamento dell’usucapione, ovvero di prevenire in via conciliativa la relativa lite (Cass. 26 ottobre 2018, n. 27170).

Nel caso di specie, la persistenza del possesso, sulla quale insiste la Corte d’appello, va correlata al fatto, reiteratamente sottolineato nell’interpretazione della scrittura del 4 dicembre 1989, che con essa si intendeva confermare la volontà espressa dall’ I. nel luglio del 1974.

In altri termini, non è il formale riconoscimento del diritto altrui a comportare l’interruzione del possesso, ma il riconoscimento del diritto altrui da parte del possessore, quale atto incompatibile con la volontà di godere del bene uti dominus (sul punto, v. anche Cass. 18 settembre 2014, n. 19706).

Ne discende che non viene in rilievo una falsa applicazione della disposizione normativa, ma un problema di motivazione.

E, tuttavia, posto che la sentenza impugnata è stata depositata in data 26 novembre 2014, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Legge di Conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).

Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ma tale omissione, per le ragioni sopra indicate, non è sussistente.

Il rigetto del terzo motivo di ricorso comporta, per quanto sopra rilevato, l’assenza di interesse a coltivare le doglianze di cui ai primi due motivi.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese di questa fase, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma, 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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