Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10457 del 27/04/2017

Cassazione civile, sez. I, 27/04/2017, (ud. 10/02/2017, dep.27/04/2017),  n. 10457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26276/2015 proposto da:

D.I., elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Gracchi

n. 187, presso l’avvocato Magnano San Lio Marcello, rappresentato e

difeso dall’avvocato Monfrini Emilio, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.G.C.M., in proprio e nella qualità di erede di

S.I., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Natalina Arena, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1421/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 21/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2017 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato NATALINA ARENA che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI

Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.I. e S.G.C.M. – premesso che, con sentenza passata in giudicato, D.I. era stato riconosciuto padre del secondo – lo hanno convenuto in giudizio e ne hanno chiesto la condanna a pagare Euro 300 mila, a titolo di mantenimento e risarcimento dei danni morali e materiali per l’inadempimento dei doveri di cura, educazione, istruzione e mantenimento in favore del figlio, per il periodo in cui egli era minorenne, nonchè Euro 250 mila, in favore di S.I., a titolo di risarcimento del danno per essere stata abbandonata in stato di gravidanza e per il mancato sostegno morale e materiale nella cura ed educazione del figlio.

Il Tribunale di Catania ha rigettato le domande: quella del figlio, per effetto del giudicato formatosi sul risarcimento del danno contestualmente alla dichiarazione giudiziale di paternità (con sentenza, passata in giudicato, che aveva condannato il D. a pagare Euro 25 mila per il periodo successivo al raggiungimento della maggiore età); quella della S., perchè costei aveva chiesto il risarcimento del danno, cui non aveva diritto, anzichè il rimborso delle somme anticipate nell’interesse dell’altro genitore, coobbligato solidale.

Il gravame di S.G.C.M., anche quale erede di S.I. (deceduta in corso di causa), è stato rigettato quanto alla domanda di risarcimento del danno proposta dal figlio in relazione al periodo precedente al compimento della sua maggiore età, per effetto del menzionato giudicato; quanto alla domanda proposta da S.I. e, quale erede, dal figlio, la Corte l’ha rigettata nella parte concernente il risarcimento del danno esistenziale, escludendo la configurabilità di un illecito nel fatto della rottura della relazione sentimentale tra la S. e il D.; la Corte ha accolto la domanda con riguardo al profilo concernente la mancata partecipazione e contribuzione al mantenimento del figlio, dalla nascita al raggiungimento dell’indipendenza economica, di cui la S. si era fatta carico integralmente, dovendo entrambi i genitori provvedere in proporzione alle sostanze e capacità di lavoro professionale e casalingo e, per questo titolo, ha condannato il D. a pagare Euro 100 mila, a titolo indennitario, in via equitativa; infine ha compensato le spese del giudizio di secondo grado per la metà e ha condannato D. a pagare la restante metà.

Avverso questa sentenza D.I. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui ha resistito S.G.C.M. anche con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il D. ha denunciato violazione dell’art. 331 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4:

S.G.C.M. aveva proposto appello avverso la sentenza di primo grado sia in proprio sia quale erede della madre ( S.I.), ma il contraddittorio, pur necessario trattandosi di causa inscindibile, non era stato integrato nei confronti dell’altro erede, S.R.A.M., sorella di G. C. M. S., quest’ultimo creditore di D. in via ereditaria.

Il motivo è infondato, alla luce del principio secondo cui i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell’art. 752 c.c. prevista solo per i debiti, mentre la diversa disciplina per i crediti risulta dal precedente art. 727 c.c., il quale, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonchè dal successivo art. 757 c.c., il quale, prevedendo che il coerede al quale siano stati assegnati tutti o l’unico credito succede nel credito al momento dell’apertura della successione, rivela che i crediti ricadono nella comunione; di conseguenza, ciascun soggetto partecipante alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l’intero credito comune, o la sola parte proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi (Cass. n. 995/2012; sez. un., n. 24657/2007).

Il secondo motivo ha denunciato violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., per avere il giudice d’appello impropriamente “riformulato” la domanda di risarcimento del danno in termini di rimborso di quanto anticipato dall’altro coobbligato, così introducendo d’ufficio una inammissibile domanda nuova di regresso verso il coobbligato solidale a titolo di mantenimento del figlio.

Il motivo è inammissibile, alla luce del principio secondo cui l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto sono riservate al giudice del merito, la cui statuizione (la quale dimostri che una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere) non è censurabile per vizio di ultrapetizione; sicchè il dedotto errore non si configura come error in procedendo, ma attiene al momento logico dell’accertamento in concreto della volontà della parte e il sindacato della Cassazione è limitato al controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. n. 1545/2016, n. 21874/2015 n. 2630/2014, n. 7932/2012). Nella specie, la Corte di merito ha plausibilmente interpretato la domanda della S. come diretta ad ottenere anche un indennizzo per gli esborsi integralmente sostenuti per il mantenimento e la cura del figlio dalla nascita, oltre che il risarcimento del danno per essere stata “sedotta e abbandonata”.

Con il terzo motivo, che denuncia violazione degli artt. 112 e 2934 c.c., il ricorrente ha eccepito la prescrizione decennale dell’azionato credito di regresso, rilevando che gli obblighi di mantenimento del figlio si riconnettono al solo fatto della procreazione, a prescindere dal riconoscimento dello status di figlio, e che l’azione di regresso del genitore che abbia provveduto da solo al mantenimento è proponibile nei confronti dell’altro genitore a prescindere dal passaggio in giudicato della pronuncia sullo status.

Il motivo è inammissibile, avendo ad oggetto una questione nuova (qual è quella concernente la prescrizione) che, non essendo stata trattata nel giudizio di merito, non è introducibile nel giudizio di legittimità.

Il quarto motivo, con il quale il ricorrente lamenta la condanna alle spese del giudizio di appello per la metà, è inammissibile, essendo formulato in via consequenziale all’ipotizzato accoglimento degli altri motivi di ricorso che, invece, sono stati rigettati.

In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 6200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017

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