Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10456 del 20/05/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 10456 Anno 2016
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: DI IASI CAMILLA

SENTENZA

sul ricorso 8388-2009 proposto da:
co,nLro

DOMENICO, e3ettjYanente

VIALE DELLE MILIZIE 22, pro
ENZO RICCIO,

dQ1iI

O in

ROMA

Ztuio dell’avvocato

che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANDREA RICCIO giusta delega a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA

DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 20/05/2016

avverso la sentenza n. 188/2007 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 14/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/12/2015 dal Consigliere Dott. CAMILLA
DI IASI;

Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

R.G.N.8388/09

SENTENZA

Domenico Gaglio, svolgente all’epoca dei fatti attività di commercio al minuto di
accessori per auto, non avendo presentato dichiarazione per l’anno 1997, subiva una
verifica della G.d.F., all’esito della quale veniva emesso a suo carico avviso di
maggiore Irpef e contributo SSN per indebita detrazione di costi non di competenza
e non inerenti nochè per maggiori ricavi non contabilizzati. Il contribuente
impugnava detto avviso dinanzi alla CTP di Roma che accoglieva l’impugnazione,
mentre la CTR del Lazio, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava
legittimo l’accertamento impugnato, in particolare evidenziando che il contribuente,
malgrado la specifica richiesta di produrre tutta la documentazione, non aveva esibito
la fattura per £ 96.220.000 emessa nel 1998 e la bolla di consegna in pari data,
risultanti depositate successivamente e non idonee a fare emergere con certezza che
la merce esitata riguardava effettivamente quella giacente al 31.12.1997.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre con cinque motivi il Gaglio. L’Agenzia
delle entrate resiste con controricorso.

Ritenuto in diritto

Col primo motivo, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c. il ricorrente chiede a
questo giudice di dire se è vero che la sentenza tributaria che ometta di
pronunciarsi su di una eccezione non rilevabile d’ufficio è nulla per violazione
dell’art. 112 c.p.c. anche nel caso in cui l’omessa pronuncia riguardi, come nel
caso di specie, l’eccezione di illegittimità dell’accertamento Irpef -per violazione
dell’art. 53 d.p.r. 633/72 da parte dell’Ufficio impositore- riproposta dal

Considerato in fatto

contribuente in appello e sulla quale la CTP non si era pronunciata per
assorbimento, avendo accolto altra eccezione del contribuente.
Col secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c. il ricorrente chiede
a questo giudice di dire se è vero che la sentenza tributaria che ometta di
pronunciarsi su di una eccezione non rilevabile d’ufficio è nulla per violazione

specie, l’eccezione di illegittimità dell’accertamento Irpef -per non automatica
applicabilità dell’art. 53 d.p.r. 633/72 alle imposte sui redditi- riproposta dal
contribuente in appello e sulla quale la CTP non si era pronunciata per
assorbimento, avendo accolto altra eccezione del contribuente.
Entrambi i motivi sono inammissibili.
Il ricorrente denuncia l’omessa pronuncia su di una eccezione proposta dal
contribuente appellato nel giudizio d’appello. In proposito questa Corte Suprema ha
avuto modo di precisare ripetutamente che non ricorre il vizio di omessa
pronuncia, nonostante la mancanza di espressa statuizione sul punto specifico,
quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul
medesimo ed ha anche affermato che ad integrare gli estremi del vizio di omessa
pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice; essendo
necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa
indispensabile alla soluzione del caso concreto, dovendo pertanto escludersi il
suddetto vizio quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere
dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una
specifica argomentazione (v. cass. n. 10636 del 2007).
E’ vero che, secondo la Cassazione, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi
di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve
essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma
di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c., in quanto
siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la
questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto

dell’art. 112 c.p.c. anche nel caso in cui l’omessa pronuncia riguardi, come nella

ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al
riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo”
per violazione dell’art. 112 c.p.c. (v. cass. n. 11844 del 2006; n. 24856 del 2006 e n.
12952 del 2007), tuttavia, come sopra rilevato, nella specie non si lamenta l’omessa
pronuncia su di un motivo d’appello bensì su di una eccezione proposta

proposizione in primo grado della eccezione relativa alla inapplicabilità nella specie
del’art. 53 d.p.r. 633/72 e della riproposizione in appello delle eccezioni proposte in
primo grado e non decise per assorbimento, pertanto la decisione assunta in appello
ed il tenore delle argomentazioni utilizzate costituiscono indubbiamente rigetto
implicito delle suddette eccezioni. Ne consegue che l’eventuale erroneità in diritto
della decisione suddetta ovvero l’eventuale mancanza di motivazione in fatto
andavano censurate con la deduzione dei vizi di cui agli artt. 360 nn. 3 o 5 c.p.c. e
non per omessa pronuncia ex art. 360 n. 4 c.p.c. E’ infine appena il caso di
aggiungere che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. tra le
altre cass. nn. 19959 del 2014; 21165 del 2013; 8585 del 2012), costituisce causa di
inammissibilità del ricorso per cassazione l’erronea sussunzione del vizio, che il
ricorrente intende far valere in sede di legittimità, nell’una o nell’altra fattispecie di
cui all’art. 360 c.p.c.

Col terzo motivo, deducendo vizio di motivazione per omesso esame di un
documento decisivo, e precisamente del p.v.c. nella parte in cui, all’inizio del
foglio 9, sono espressamente elencati come documenti esibiti dal contribuente in
quella sede anche la “fattura n. 1 emessa in data 17.01.1998 nei confronti della
SUPERCAR s.n.c. di Roma, per un imponibile di £ 96.220.000 + Iva al 20% di £
19.244.000, e n. 1 documento di trasporto (Ddt) compilato in data 17.01.1998”,
atteso che la CTR, se avesse esaminato il p.v.c., non avrebbe potuto accogliere il
motivo di gravame proposto dall’Ufficio finanziario basato sulla mancata
esibizione del suddetto documento nel corso della verifica.

dall’appellato. Peraltro, nella sentenza impugnata si dà espressamente atto della

La censura presenta diversi profili di inammissibilità.
Anche prescindendo dalla mancanza di una illustrazione ai sensi dell’art. 366 bis
c.p.c. avente le caratteristiche enucleate dalla giurisprudenza di questo giudice di
legittimità nonché dal difetto di autosufficienza della censura, è sufficiente
rilevare che il “fatto” trascurato dai giudici di appello (in ipotesi costituente prova

non presenta i caratteri della decisività, posto che i giudici d’appello nella
sentenza impugnata, dato atto che, nonostante la richiesta della G.d.F. di produrre
tutta la documentazione, la fattura per £ 96.220.000 e la relativa bolla di consegna
furono depositate successivamente all’ispezione, hanno comunque precisato che
da esse “non si evince con certezza che la merce esitata riguardi la merce
effettivamente e provatamente giacente il 31.12.1997”.
Col quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 52 -d.p.r.
633/72, il ricorrente chiede a questo giudice di dire se “è vero che la pronuncia
che – come quella qui impugnata- ai fini della decisione di una controversia
relativa ad accertamento Irpef, applichi la decadenza del diritto di produrre
documenti nel processo tributario, stabilita dalla norma contenuta nel quinto
comma dell’art. 52 d.p.r. 633/72, è viziata per violazione e falsa applicazione di
norma in quanto detta decadenza non si applica in materia di imposte sui redditi
perché essa non è espressamente prevista anche dal d.p.r. 600/73 e, riguardando la
disciplina speciale dell’Iva, non può essere estesa per analogia all’Irpef’ ed
inoltre se la pronuncia sulla citata decadenza non essendo basata sull’esistenza di
un rifiuto di esibizione f dei predetti documenti o sulla dichiarazione di non
possedere gli stessi oppure sulla sottrazione di essi alla ispezione sia illegittima
perché emessa in assenza delle circostanze previste dall’art. 52 quinto comma
d.p.r. 633/1972 per l’applicabilità della preclusione disposta in tale medesima
norma. Il ricorrente chiede inoltre di dire se è vero che la pronuncia che -come
quella impugnata- pur non basata né sul rifiuto di esibizione né sulla
dichiarazione di non possedere tali documenti né sulla sottrazione di essi alla

della tempestiva esibizione della fattura e bolla di accompagnamento suddette),

ispezione dichiari applicabile la preclusione stabilita dal quinto comma del citato
art. 52 sia viziata per violazione e falsa applicazione di detta norma, perché
emessa in assenza dei comportamenti del contribuente previsti dalla norma
medesima per l’applicabilità della preclusione ed infine chiede di dire se è vero
che la decisione che, come quella impugnata, pur non fondata né sul carattere

dichiarazione del contribuente in ordine alla ubicazione dei documenti presso altri
soggetti, anch’essa richiesta dal citato art. 52, dichiara applicabile la preclusione
prevista da tale norma è viziata per violazione e falsa applicazione della stessa
perché tutti i citati comportamenti del contribuente devono essere dolosi per
consentire l’applicazione della preclusione citata.
Le censure esposte risultano inammissibili. Invero in nessun punto della
motivazione della sentenza impugnata si afferma la decadenza del contribuente
dal diritto di produrre documenti e neppure si assume l’applicabilità dell’art. 52
d.p.r. 633/72, ma, come sopra precisato, si dà semplicemente atto che, nonostante
la richiesta della G.d.F. di produrre tutta la documentazione, la fattura per £
96.220.000 e la relativa bolla di consegna furono depositate successivamente
all’ispezione, e da esse “non si evince con certezza che la merce esitata riguardi la
merce effettivamente e provatamente giacente il 31.12.1997”.
Ne consegue che, anche prescindendo dalla scarsa limpidezza dei plurimi quesiti
di diritto, le censure proposte nel motivo in esame non colgono la ratio decidendi
che sostiene la decisione assunta onde anche l’eventuale accoglimento delle
medesime non servirebbe a rimuovere la decisione impugnata.
Col quinto motivo, deducendo “vizi di motivazione su punti decisivi” il ricorrente
si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano ritenuto applicabile nella specie
il citato quinto comma dell’art. 52 senza dare atto in sentenza né dell’esistenza di
uno dei comportamenti previsti da tale norma né dell’intenzionalità di tale
comportamento, comportamento peraltro non tenuto dal contribuente, risultando
in atti la veridicità della dichiarazione del contribuente circa il fatto che i

intenzionale del comportamento del contribuente né sulla non veridicità della

documenti erano presso lo studio del commercialista sia la regolare consegna di
tutta l’altra documentazione.
Il ricorrente contesta inoltre l’affermazione contenuta in sentenza secondo la
quale dalla fattura depositata e dalla relativa bolla di consegna non si evincerebbe
con certezza che la merce esitata riguardi quella giacente al 31.12.1997, perché

accompagnamento era regolarmente datata e numerata, che la relativa fattura era
stata emessa per la vendita in blocco di tutta la merce residua, circostanza provata
dal cambio di attività del contribuente, ed inoltre che l’Ufficio non aveva mai
contestato la veridicità dei suddetti documenti ma solo la produzione di essi in
quanto non esibiti in sede di verifica.
Le censure esposte, anche volendo prescindere dalla prospettazione di un
“momento di sintesi” che non presenta tutte le caratteristiche della illustrazione
prescritta dall’ultima parte dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis,
sono inammissibili sotto ulteriori e diversi profili.
Quanto al primo gruppo di censure è sufficiente richiamare quanto dedotto in
relazione al motivo che precede con riguardo al fatto che nella motivazione della
sentenza impugnata non si fa riferimento alla decadenza di cui al più volte citato
art. 52 d.p.r. 622/72.
Le censure del secondo gruppo sono inammissibili nella parte in cui fanno
riferimento alla fattura ed alla bolla di accompagnamento di cui sopra contestando
il giudizio espresso in proposito dai giudici d’appello, e ciò innanzitutto perché,
secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. tra numerose altre
cass. n. 7972 del 2007) alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di
valide ragioni per discostarsene, le censure poste a fondamento del ricorso non
possono risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali
diversa da quella operata dal giudice di merito o investire la ricostruzione della
fattispecie concreta o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme
da quello dato dal giudice di merito. E’ peraltro da aggiungere che le censure in

apodittica ed illogica in quanto omette di considerare che la bolla di

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esame mancano di autosufficienza, posto che non viene neppure riportato in

ricorso il contenuto specifico dei documenti che si assume non adeguatamente
apprezzati dai giudici d’appello (fattura e bolla di accompagnamento), ed inoltre
si contesta il giudizio in fatto espresso dai giudici d’appello senza dare espressa
ragione della decisività dei fatti controversi in ipotesi trascurati. Infine, in

della veridicità della fattura da parte dell’Ufficio finanziario, è sufficiente rilevare
che la censura, a prescindere da ogni altro possibile rilievo circa la relativa
autosufficienza, finisce inammissibilmente per configurare come vizio di
motivazione quello che, in ipotesi, sarebbe configurabile come errore di diritto
(mancato rilievo attribuito alla non contestazione), come tale prospettabile ai sensi
dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e proponibile solo con l’esposizione de relativo quesito di
diritto.
Il ricorso deve essere pertanto respinto. Le spese, liquidate come in dispositivo,
seguono la soccombenza.
PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizi di legittimità che liquida in C 3.500,00 oltre spese prenotate a debito
e accessori di legge.
Roma 4.12.2015

L’ stensore
Il Presidente

relazione alla denunciata omessa considerazione della mancata contestazione

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