Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10455 del 27/04/2017
Cassazione civile, sez. I, 27/04/2017, (ud. 10/02/2017, dep.27/04/2017), n. 10455
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17655/2014 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via XX
Settembre n. 98/G, presso l’avvocato Scatamacchia Fabio, che lo
rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Ma.Lo., Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione;
– intimati –
avverso la sentenza n. 139/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di
ROMA, depositata il 08/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/02/2017 dal cons. ACIERNO MARIA;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato FABIO SCATAMACCHIA che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI
Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Nel (OMISSIS), il Tribunale di Rimini aveva pronunciato la
cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da
M.A. e da Ma.Lo., emettendo i provvedimenti consequenziali in
tema di affidamento e mantenimento del figlio minore.
La decisione è stata impugnata, per quel che ancora interessa,
dal M. in via principale e dalla Ma. in via incidentale. Il
Giudice d’Appello, confermando la pronuncia di primo grado, ha ritenuto
inammissibili i motivi d’appello del M., nella parte in cui questi
aveva dedotto la nullità della sentenza per il mancato riconoscimento
del decorso del termine di tre anni dal giorno della comparizione dei
coniugi davanti al Presidente del Tribunale nel corso del giudizio di
separazione e comunque infondate nel merito le argomentazioni
prospettate a sostegno di detto assunto.
Avverso tale pronuncia aveva proposto ricorso per Cassazione dal M. affidato ai seguenti motivi:
1) Violazione della L. n. 898 del 1970, art. 3,
n. 2, lett. b) con riferimento al manifestato giudizio concernente il
mancato decorso del termine di tre anni di separazione ininterrotta per
la proponibilità della domanda di divorzio, rispetto alla cui
valutazione sarebbe stata manifestata in sede di conclusioni nel
processo di primo grado da esso ricorrente;
2) Violazione dell’art. 100 c.p.c., della L. n. 898 del 1970,
art. 3, n. 2, lett. b) in relazione all’affermata mancanza di interesse
all’impugnazione;
3) Vizio di motivazione sul profilo sub 2;
4) Vizio di motivazione sulla mancanza di prova in ordine all’avvenuta interruzione della separazione;
5) Violazione dell’art. 708 c.p.c., della L. 898 del 1970, art. 3, n. 2, lett. b), dell’art. 189 disp. att. c.p.c.,
rispetto all’individuazione del termine iniziale di decorrenza ai fini
del calcolo del triennio di cui al sopra citato art. 3, n. 2, lett. b);
6) Violazione dell’art. 100 c.p.c.,
per la mancanza di interesse ad agire della Ma., attesa la
dichiarazione della donna di aver adito il Tribunale solo ai fini
economici e di essersi già rivolta al Tribunale Ecclesiastico per lo
scioglimento del vincolo;
7) Vizio di motivazione, con riferimento alla dichiarata
inammissibilità delle domande di cui ai punti 4, 5 e 6 delle
conclusioni, perchè a torto ritenute proposte per la prima volta in
appello;
8) Violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto
e il pronunciato, con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità
dell’appello in relazione alle domande di cui sub 7;
9) Violazione degli artt. 40 e 335 c.p.c., nonchè della L. n.
898 del 1970, con riferimento all’affermata inammissibilità della
domanda di condanna della Ma. al pagamento di un’indennità per
l’occupazione della casa coniugale.
La Corte esaminava i primi tre motivi di ricorso congiuntamente
e li rigettava argomentando, con riferimento al termine di ricorrenza
del periodo di tre anni per la pronuncia della sentenza di divorzio, che
la Corte d’Appello aveva correttamente individuato nella data di prima
comparizione dei coniugi in sede presidenziale il termine dal quale far
decorrere il periodo di tre anni richiesto dalla legge ai fini della
pronuncia della cessazione degli effetti civili del matrimonio, e non
dalla data dell’udienza di precisazione delle conclusioni.
Il quarto motivo, con il quale si denunciava la mancanza di
prova relativamente alla interruzione della separazione, tendendo ad un
riesame nel merito della valutazione compiuta dai giudici di secondo
grado, veniva altresì rigettato.
Analoghe considerazioni venivano mosse con riferimento al
quinto motivo di ricorso, tendente anch’esso ad un riesame nel merito
della documentazione allegata e relativo al dies a quo di decorrenza del
termine di tre anni necessario ai fini della pronuncia della sentenza
di divorzio.
La Corte rigettava anche il sesto motivo di ricorso, ritenendo
l’interesse alla definizione degli aspetti economici sufficiente a
legittimare il ricorso alla autorità giudiziaria.
La Corte infine esaminava congiuntamente il settimo, l’ottavo e
il nono motivo di ricorso, rigettandoli e confermando la valutazione
compiuta dai giudici di secondo grado con riferimento al giudizio di
inammissibilità per tardività delle domande formulate dal M. in
sede di precisazione delle conclusioni in ossequio al principio di
corrispondenza fra chiesto e pronunciato.
Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. dal M. affidato ai seguenti motivi:
1) Errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c.,
n. 4 per il mancato esame del fascicolo di merito del secondo grado,
regolarmente acquisito e necessario per la decisione, in ordine alla
mancata decorrenza del termine dei tre anni e alla carenza d’interesse
ad agire della moglie. il ricorrente ha affermato l’importanza ai fini
probatori del fascicolo predetto, dal momento che a suo avviso conteneva
la prova circa l’effettivo momento di separazione e l’irregolarità
della prima comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del
Tribunale, nonchè la prova positiva della mancanza di interesse ad agire
della moglie.
2) Errore di fatto e percettivo ai sensi dell’art. 395 c.p.c.,
n. 4 per omessa lettura ed esame del motivo di ricorso in tema di
status in quanto fondato su rilievi erroneamente definiti
apoditticamente “documenti” di merito;
3) Errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c.,
n. 4 risultante dagli atti e documenti della causa, per omessa lettura
ed esame di un motivo di ricorso per Cassazione (il quarto) in materia
di status e per mancato vaglio dei fascicoli di merito e per il mancato
controllo di legittimità sull’effettivo rispetto del diritto al
contraddittorio.
4) Errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c.,
n. 4 risultante dagli atti o documenti della causa, dovuto al mancato
scrutinio e vaglio dei fascicoli di merito, in ordine al concreto ed
attuale interesse ad agire della sig.ra Ma., in ordine allo
scioglimento del vincolo, avendo la stessa dichiarato di volere agire
solo nell’interesse dei figli. Tale interesse ha natura pubblicistica e
non può essere riferito alla resistente.
5) Errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c.,
n. 4 risultante dagli atti o documenti della causa, in relazione alla
svista materiale consistente nell’aver attribuito integralmente al
M. l’esito sfavorevole della lite e le conseguenti spese processuali del
giudizio senza tenere conto che il sig. M. era risultato
vittorioso all’esito conclusivo del ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c.
introdotto dalla sig.ra Ma. all’interno del divorzio. Alla parte
vittoriosa devono pertanto essere riconosciute le spese processuali
sostenute nei due gradi di giudizio del procedimento cautelare, che
potevano essere disposte o al termine della predetta fase o nella
sentenza che definisce il giudizio.
Tutti i motivi formulati sono radicalmente inammissibili, in
quanto del tutto diversi dall’errore percettivo ma, al contrario, aventi
ad oggetto censure relative a violazione di legge sostanziale o
processuale (1, 4, 5, 6, 7, 8, 9) in larga parte riproduttive di quelle
già prospettate nel giudizio conclusosi con la sentenza revocanda o tese
ad un nuovo giudizio di fatto sui mezzi di prova acquisiti (motivi 3 e
4) peraltro del tutto genericamente prospettate. La Corte, conformemente
ai giudici di merito, ha escluso che non fosse decorso il termine
triennale senza alcuna indagine probatoria specifica cui non era tenuta
ma sulla base di un procedimento logico giuridico, peraltro fondato
sull’orientamento di questa Corte (Cass. 15157 del 2006) che si cerca di
colpire inammissibilmente mediante la prospettazione delle censure del
presente ricorso, del tutto prive di contenuto revocatorio. Viene
contestato in conclusione il percorso argomentativo seguito nella
sentenza revocanda o si propone di riesaminare i fatti, senza peraltro
alcuna puntuale indicazione della loro decisività.
All’inammissibilità del ricorso non seguono statuizioni sulle spese processuali in mancanza della parte resistente.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017