Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10454 del 27/04/2017


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Cassazione civile, sez. I, 27/04/2017, (ud. 08/02/2017, dep.27/04/2017),  n. 10454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14019/2014 proposto da:

D.L., V.M.G., V.M.,

V.P., elettivamente domiciliate in Roma, Via Carlo Roma n. 4, presso

l’avvocato Correnti Chiara, rappresentate e difese dall’avvocato Di

Giovanni Giovanni, Patti Francesco, giusta procure in calce al

ricorso e alla comparsa di costituzione;

– ricorrenti –

contro

Fallimento della (OMISSIS) s.r.l., in persona del Curatore dott.ssa

R.G.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Orazio n.

31, presso l’avvocato Marco Mattei, rappresentato e difeso

dall’avvocato Giuseppe Augello, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1147/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 05/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2017 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato FRANCESCO PATTI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale PRATIS

Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.L., V.M.G., V.P. e V.M., con unico atto ricorrono per cassazione nei confronti del Fallimento della s.r.l. (OMISSIS), articolando in proposito quattro motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania, 5 giugno 2013, n. 1147.

Confermando integralmente la pronuncia resa dal Tribunale di Catania, 11 gennaio 2008, n. 99, la Corte territoriale ha in particolare accertato la nullità dell’atto, stipulato per atto pubblico il 27 novembre 1995, con cui la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione ha trasferito alle socie signore D. e V. la proprietà indivisa di due distinti locali adibiti a bottega, assegnandoli in proporzione della quota da ciascuna delle stesse posseduta nella società. Al tempo del detto atto di assegnazione sussisteva ancora – così ha rilevato la Corte – una notevole esposizione debitoria della società in liquidazione e risultava altresì pendente una serie di rapporti suscettibili di produrre ulteriori e significative esposizioni.

Nel rendere la richiamata statuizione, la Corte catanese ha anche respinto, sempre in termini conformi a quanto divisato dal giudice di primo grado, l’eccezione di difetto di integrità del contraddittorio sollevata dalle socie in primo grado e ribadita in sede di appello. Queste avevano lamentato, in specie, il fatto che l’azione promossa dal Fallimento avesse trascurato di coinvolgere – nel processo relativo alla dichiarazione di nullità dell’atto di assegnazione – la s.r.l. (OMISSIS) in liquidazione, nella persona del suo liquidatore.

Nei confronti del ricorso così dispiegato resiste il Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. con apposito controricorso, pure ivi svolgendo delle eccezioni di inammissibilità del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- I motivi di cassazione articolati da D.L., M.G., P. e V.M. denunziano i vizi che qui in appresso vengono riportati.

Il primo motivo denunzia, in particolare, “violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c. e dell’art. 2495 come modificato dal D.Lgs. n. 6 del 2003 in relazione alla formulazione del precedente art. 2456 c.c., che disciplinava la medesima materia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con inesatta applicazione della giurisprudenza della Corte e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra la parti sul medesimo punto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Il secondo motivo censura, a sua volta, “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra la parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in ordine alla violazione del principio posto dall’art. 102 c.p.c. comportante nullità della sentenza impugnata”.

Il terzo motivo si bipartisce nella formulazione di due censure. La prima invoca “violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al R.D. n. 267 del 1942 – Legge Fallimentare”. La seconda invoca invece “violazione e falsa applicazione di legge, con inesatta applicazione della giurisprudenza della Corte ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in relazione all’art. 2280 c.c.”.

Il quarto motivo, infine, lamenta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in ordine al diniego di valorizzazione delle esposizioni debitorie da imputarsi al Fallimento ed estinte dalle assegnatarie”.

2.- Prima di passare all’esame dei motivi, che appena sopra sono stati richiamati, si deve prendere atto che, nella propria memoria ex art. 378 c.p.c., il Fallimento resistente ha dichiarato di desistere dall’eccezione di inammissibilità e improponibilità del ricorso ex art. 348 ter c.p.c., u.c., che nel controricorso aveva formulato per le censure dalle ricorrenti proposte in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ancora in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., il Fallimento resistente ha insistito, invece, nella proposizione della eccezione, pure formulata nell’ambito del controricorso, di inammissibilità delle censure che il ricorso riporta sotto la norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ad avviso del Fallimento, i motivi primo e terzo del terzo, in specie, sono da stimare inammissibili perchè gli “errori di diritto”, ivi dedotti, non sono accompagnati da “una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito”.

Letto ed esaminato il ricorso presentato dalle signore D. e V., il Collegio ritiene di non condividere la valutazione che è stata espressa dal Fallimento.

4.- Il primo e il secondo motivo di ricorso vanno esaminati in modo congiunto, trattandosi di motivi tra loro complementari.

Con tali motivi le ricorrenti portano all’attenzione della Corte l’eccezione di difetto di integrità contraddittorio già sollevata nei precedenti gradi del merito, per non essere stata chiamata a partecipare al giudizio la s.r.l. (OMISSIS) in liquidazione.

Esse espongono, in particolare, che tale Società, pur cancellata dal Registro delle imprese in data anteriore all’instaurazione del giudizio, doveva ritenersi non già estinta, bensì ancora in vita con riguardo al momento dell’instaurazione (che si colloca al 9 ottobre 2000). Ancora in quel momento risultava “la presenza di rapporti debitori ad essa facenti capo ancora non definiti”; e questo era comunque sufficiente per rendere necessaria l’integrazione del contraddittorio così si argomenta -, stando al regime dell’allora vigente art. 2456 c.c., comma 2, per l’appunto letto nel senso di sancire l’inidoneità della cancellazione a provocare l’estinzione della società che avesse ancora rapporti pendenti.

In via segnata, la Corte d’Appello ha errato là dove ha ritenuto che con il sopravvenire del regime normativo di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003 (c.d. riforma delle società commerciali) – la cancellazione della Virgilio dal Registro diventasse produttiva dell’effetto estintivo del relativo soggetto a fare tempo dalla data di entrata in vigore della riforma medesima (1 gennaio 2004). La rilevazione della Corte – così sostengono le ricorrenti – predica un inammissibile effetto retroattivo della riforma (“la Corte di Appello pretende di applicare una norma di legge… retroattivamente senza alcun limite”), perchè la riforma non è destinata a incidere sui fatti precedenti alla sua entrata in vigore. In ogni caso – si prosegue – la pronuncia viene a contraddirsi: nel senso che, se l’instaurazione del giudizio è avvenuta nel corso del 2000, l’estinzione della Virgilio in liquidazione, come pure per ipotesi verificatasi in data 1 gennaio 2004, è circostanza successiva alla detta instaurazione e si manifesta, perciò, di per sè stessa irrilevante ai fini dell’integrità del contraddittorio (ad esprimere questa valutazione risulta particolarmente inteso il secondo motivo svolto dalle ricorrenti).

5.- I due motivi, che si sono appena riferiti, risultano infondati. Per le ragioni che seguono.

Non si può ritenere corretta, prima di tutto, l’opinione che la soluzione adottata dalla Corte territoriale – per cui l’estinzione della (OMISSIS) s.r.l. viene a verificarsi nel momento dell’entrata in vigore della riforma societaria – venga a comportare un fenomeno di retroattività della legge. In realtà, la sentenza si è limitata a fare applicazione dei comuni principi relativi alla successione delle leggi nel tempo: terminata a una certo punto la vigenza di una legge, per il periodo temporale successivo gli effetti della nuova, e sostituiva, legge si rapportano anche ai fenomeni che sono già in corso di svolgimento. Pensare diversamente significa, all’evidenza, predicare un’inaccettabile ultrattività della legge abrogata.

E’ da notare, d’altra parte, che il tema delle conseguenze connesse all’eventualità che la cancellazione della società avvenga durante il corso del processo è stato partitamente analizzato dalla sentenza di Cass. SS.UU., 12 marzo 2013, n. 6071 (pronuncia pure richiamata dal ricorrente, ma ad altro proposito).

Questa pronuncia, pure richiamandosi ad altri precedenti della Corte, ha in particolare rilevato che – nel caso di una situazione del genere di quella proposta dalla presente fattispecie – “la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente, ex art. 110 c.p.c., ai soci, che, per effetto della vicenda estintiva, divengono partecipi della comunione in ordine ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione”.

6.- Ciò posto, l’infondatezza dei motivi in esame si manifesta alla radice dipendente pure da un’altra ragione, non meno dirimente di quella appena considerata.

Nell’esaminare il problema dell’eventuale permanenza soggettiva di una società cancellata dal Registro, il ricorso trascura del tutto di affrontare il punto se nella specie ricorrano effettivamente i presupposti per predicare la sussistenza di un litisconsorzio necessario.

Ebbene, con specifico riferimento alla fattispecie qui in concreto giudizio ritiene il Collegio che questi presupposti non vengano in realtà a presentarsi. Secondo quanto si viene a esporre.

Accogliendo una domanda specificamente formulata dal Fallimento, la Corte di Appello catanese ha dichiarato la nullità del negozio di assegnazione dei beni sociali a suo tempo intervenuto tra la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, nella veste di alienante, e le socie della stessa, nella posizione di acquirenti: in quanto tale negozio risultava – in ragione della permanente sussistenza di debiti sociali – posto in essere in violazione del divieto dettato dall’art. 2280 c.c., norma di carattere generalissimo e senz’altro riferibile anche al tipo organizzativo della società a responsabilità limitata.

Ora, che la violazione della norma dell’art. 2280 importi nullità del relativo negozio di assegnazione è soluzione conforme ai più precedenti resi da questa Corte in materia (Cass., 19 gennaio 1988, n. 326; Cass., 23 novembre 1978, n. 5489; v., altresì, Cass., 31 agosto 2005, n. 17585). La soluzione, del resto, viene a trarre oggettivo alimento da due distinti rilievi: da un lato, la constatazione della natura imperativa della norma stessa, che è assicurata oltre ogni dubbio dall’assistenza anche penale del divieto ivi prescritto (cfr. la disposizione dell’art. 2625 c.c., come vigente all’epoca dei fatti; l’assistenza penale adesso portata, con varianti non irrilevanti, dal vigente testo dell’art. 2633 c.c.); la certa idoneità, dall’altro, della “sanzione” della nullità a tutelare efficacemente il bene protetto dal divieto dell’art. 2280, quale comunemente individuato nella protezione dei creditori sociali.

Ne discende, in definitiva, che l’azione svolta dal Fallimento si configura come azione di mero accertamento. E rispetto a questa azione la s.r.l. (OMISSIS) difetta comunque di un interesse alla partecipazione in giudizio. Nel senso che, mentre l’eventuale rigetto dell’azione di nullità svolta dal Fallimento lascerebbe i beni assegnati nella proprietà delle socie, l’accoglimento della medesima destina i detti beni al soddisfacimento dei diritti dei creditori sociali (con l’ipotetico residuo in ogni caso da ritornare – è pure da aggiungere alle socie stesse, in ragione dell’ormai avvenuta liquidazione della società).

In proposito soccorre particolarmente la sentenza di Cass. SS.UU., 14 maggio 2013, n. 11523, che ha per l’appunto escluso la ricorrenza di un litisconsorzio necessario in relazione a una fattispecie strutturalmente assai prossima a quella qui in esame, quale rappresentata dalla posizione dell’alienante nel caso di simulazione relativa per interposizione fittizia di persona in un contratto di compravendita che ha avuto integrale esecuzione. In proposito la Corte ha affermato il principio di diritto per cui, “ove sia escluso ogni interesse del venditore a contestare l’impugnazione del negozio traslativo, cioè a difenderne la sincerità circa la persona dell’altro contraente, non è necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’alienante, non versandosi in ipotesi di litisconsorzio necessario”.

7.- Il terzo motivo fa riferimento al credito vantato dall’INPS nei confronti della s.r.l. (OMISSIS) in liquidazione. Nella sostanza, il ricorso assume, da un lato, che il verbale d’accertamento ispettivo – su cui si afferma che la Corte di Appello abbia basato la propria decisione non potrebbe mai essere ritenuto “fonte di prova” di tale credito. Dall’altro, che il credito medesimo “deve ritenersi inesistente”: quanto meno, non esistente al momento dell’assegnazione dei beni e della cancellazione della società, visto che il detto verbale ispettivo all’epoca non era stato ancora formato.

Il motivo è infondato.

Al di là della manifesta genericità che lo connota (posto, se non altro, che la pretesa violazione della norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, viene esposta in relazione all’intera normativa che dà vita alla c.d. legge fallimentare), lo stesso viene a richiedere un nuovo esame del merito, che non risulta consentito.

Tanto più che la decisione della Corte di Appello, relativa alla sussistenza di una rilevante esposizione debitoria della s.r.l. (OMISSIS) al tempo dell’atto di assegnazione dei beni alle socie della stessa, si fonda su un articolata serie di posizioni, indipendenti da quella vantata dall’INPS e fatte oggetto di minuta disamina da parte della Corte territoriale.

8.- Il quarto motivo di ricorso intende valorizzare l’asserita circostanza che, al momento in cui avvenne il negozio di assegnazione dei ben sociali, le socie assegnatarie non erano a conoscenza dell’esistenza di debiti della Società non ancora estinti; e pure sulla circostanza che le stesse, peraltro, avevano estinto quelli di cui erano a conoscenza. La Corte di Appello – viene ad assumere il ricorso – ha completamente trascurato questo ordine di circostanze, che pure è stato oggetto di discussione tra le parti.

Il motivo è infondato.

Nella sua sostanza, lo stesso sembra evocare, sia pure in termini molto generici e vaghi, che la violazione del divieto stabilito dalla norma dell’art. 2280 c.c. sia assistito da un rimedio di taglio grosso modo revocatorio.

Come si è già visto sopra, tuttavia, la violazione del detto divieto importa la nullità del negozio che nel concreto integra la violazione del medesimo. Il che esclude senz’altro ogni eventuale rilevanza dello stato soggettivo dei soggetti che tale negozio pongono in essere.

9.- In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna D.L., V.M.G., V.P. e V.M., in via solidale tra loro, al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 6.200,00 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017

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