Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10453 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2021, (ud. 28/10/2020, dep. 21/04/2021), n.10453

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27373 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Conauto s.r.l., in persona del legale rappresentante;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale delle Marche, n. 237/1/2014, depositata in data 29 luglio

2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 28

ottobre 2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata e dal ricorso si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Conauto s.r.l. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2005, aveva contestato che alcuni acquisti di autovetture erano stati effettuati da una società cartiera nell’ambito di una frode carosello, recuperando l’Iva e, ai fini delle imposte dirette, i costi ritenuti indeducibili; avverso l’avviso di accertamento la società aveva proposto ricorso che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Ancona, annullando la sola ripresa a tassazione dei costi, ai fini delle imposte dirette, e ritenendo, invece, legittima la ripresa ai fini Iva; avverso la sentenza del giudice di primo grado la società aveva proposto appello per la parte della sentenza che aveva rigettato il ricorso avverso il recupero dell’Iva portata in detrazione per fatturazioni relative a operazioni soggettivamente inesistenti;

la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto, per quanto di interesse, che: il diritto alla detrazione dell’Iva è condizionato alla circostanza che l’acquirente non ha consapevolezza della falsità della fattura rilasciata a fronte dell’operazione, cioè della diversità tra il soggetto che la emette e l’effettivo fornitore; tale consapevolezza non era stata dimostrata dall’amministrazione finanziaria, atteso che era risultato che la società aveva intrattenuto rapporti unicamente con P.D., in qualità di soggetto agente in nome e per conto di Car Connection; non era stata accertata in sede penale la partecipazione del legale rappresentante della società alla frode;

l’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi di censura;

la società è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

per ragioni di ordine logico sistematico, si ritiene necessario esaminare unitariamente il primo ed il terzo motivo di ricorso;

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, e art. 54, comma 2, nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., e dei principi comunitari in tema di detrazione iva in caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti;

in particolare, parte ricorrente censura la sentenza per non avere correttamente applicato i principi relativi al riparto dell’onere della prova gravante sull’amministrazione finanziaria quando contesta il diritto alla detrazione dell’Iva in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto non è necessario che si dia la prova della partecipazione attiva alla frode, essendo sufficiente, al fine dell’assolvimento del suddetto onere, che siano dedotti elementi presuntivi da cui evincere che un normale operatore economico, secondo il grado di diligenza dallo stesso esigibile, era in condizione di rendersi conto di partecipare con il proprio acquisto ad una operazione finalizzata all’evasione dell’Iva;

sotto tale profilo, evidenzia che era stata fornita dall’amministrazione finanziaria la prova della natura di società cartiera della emittente la fattura e che, inoltre, esistevano ulteriori elementi presuntivi da cui evincere che la società era nelle condizioni di potere verificare l’anomalia delle operazioni e, quindi, l’esistenza di un meccanismo frodatorio, quali: il pagamento in anticipo del prezzo; la consegna diretta delle autovetture alla società, il fatto che i fornitori comunitari della società erano gli stessi con 3 quali quest’ultima aveva avuto rapporti diretti, senza necessità di intermediari;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, in particolare per non avere tenuto conto di diversi elementi presuntivi idonei a dare la prova della consapevolezza della società della partecipazione a operazioni soggettivamente inesistenti;

i motivi sono fondati;

va premesso, con riferimento al profilo della ripartizione dell’onere di prova gravante sulle parti in caso di operazione soggettivamente inesistente, che questa Corte (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851) ha precisato che “occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce: incombe, dunque, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione. Una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente. La prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale e in particolare: a) l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni: il soggetto formale non è quello reale; b) il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione Iva: non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole”;

con specifico riferimento, quindi, all’elemento di cui al punto b), in ordine al quale va esaminata la ragione di censura in esame, con la pronuncia di questa Corte sopra indicata si è precisato che, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, la circostanza che l’operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell’Iva non comporta ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione. E’, infatti, configurabile una esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se “non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’Iva” (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahageben e David, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14);

in sintesi, dunque, l’Amministrazione tributaria è tenuta a provare, sia pure anche solo in base a presunzioni, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio ovvero, con espressione efficace, “a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C-277/14, par. 50);

con specifico riguardo al “tipo” di prova, essa può ritenersi raggiunta se l’amministrazione finanziaria fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile cli ogni operazione e dettaglio: l’Amministrazione può assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come prevede per l’Iva il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, (analogamente per le imposte dirette: v. D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e mediante elementi indiziari, sicchè è sufficiente che gli elementi forniti si riferiscano anche solo ad alcune fatture o circostanze rilevanti per la qualificazione della società interposta come cartiera (quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l’omesso versamento delle imposte,…) ovvero a singole indicazioni significativamente riferibili alla sfera di conoscenza o conoscibilità dell’imprenditore;

in ordine alla prova sull’elemento soggettivo del cessionario-committente (punto b), non è poi ipotizzabile un automatismo probatorio a suo detrimento, essendo necessario tenere conto della concreta vicenda e delle circostanze di volta in volta presenti, spettando all’amministrazione finanziaria dimostrare, ed al giudice verificare, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione dell’Iva;

sicchè, l’onere di prova dell’amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all’amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione;

va osservato, in particolare, che se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l’aspettativa,

fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo;

in via meramente esemplificativa, poichè la valutazione va in ogni caso ancorata alla concreta vicenda, possono costituire elementi di rilevanza sintomatica: l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati cash; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera;

ciò precisato, la sentenza censurata ha limitato la valutazione della sussistenza o meno della consapevolezza della società contribuente di partecipare a operazioni soggettivamente inesistenti unicamente sulla circostanza che la suddetta società aveva intrattenuto rapporti con P.D., “in qualità di soggetto agente in nome e per conto della Car Connection”;

l’ambito di indagine, tuttavia, ea più ampio, alla luce dei diversi e ulteriori elementi presuntivi fatti valere dall’amministrazione finanziaria a fondamento della propria pretesa;

risulta, invero, dall’avviso di accertamento, riprodotto dalla ricorrente (pag. 18-20 del ricorso) nel rispetto del principio di autosufficienza, che erano stati dedotti i seguenti elementi indiziari: la “Car Connection di F.G.” era intestata ad un soggetto prestanome; non disponeva di una organizzazione tecnica e commerciale adeguata nonostante l’imponente volume di affari; gli acquisti erano compiuti direttamente dal fornitore comunitario e utilizzando, peraltro, mezzi propri; le autovetture erano cedute sottocosto ovvero con margine di ricarico negativi; nell’atto di appello, inoltre, (anche questo riprodotto in ricorso, vd. pagg. 2130), è stato specificamente riportato che in sede di processo verbale di constatazione era stato evidenziato che: i rapporti con i clienti, tra cui la società, erano curati direttamente da P.D. (titolare della ditta “PD Import & Export” con sede in Germania), che veniva contattato dai clienti e, raggiunto D’accordo sull’autovettura da acquistare, curava direttamente sia la consegna dell’autovettura al concessionario italiano che la riscossione del pagamento emettendo una fattura intestata alla Car Connection che rilasciava copia al cliente; i pagamenti era compiuti direttamente dal cliente italiano al P.D. senza transitare per i conti correnti accesi dalla Car Connection;

si tratta, invero, di elementi non presi in considerazione dal giudice del gravame e che, invece, secondo quanto affermato da questa Corte nella pronuncia già citata, possono assumere valenza di prova presuntiva, ove valutati singolarmente e nel loro complesso, ai fini dell’accertamento della condotta esigibile dal contribuente e della sua consapevolezza qualora sia contestato che le operazioni poste in essere sono soggettivamente inesistenti;

sicchè, la pronuncia è viziata per violazione di legge, non avendo fatto corretta applicazione dei principi in materia di riparto dell’onere della prova, che per vizio di motivazione, avendo omesso ogni considerazione su fatti decisivi ai fini del giudizio;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per motivazione apparente, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, art. 36, comma 2, n. 4), dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per avere deciso sulla questione della consapevolezza della società della operazione soggettivamente inesistente con una motivazione apparente, non essendo possibile comprendere il ragionamento logico giuridico seguito;

le considerazioni espresse in relazione al primo e terzo motivo di ricorso hanno valore assorbente del presente motivo; in conclusione, il primo e terzo motivo sono fondati, assorbito il secondo, con conseguente accoglimento del ricorso e rinvio alla commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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