Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10451 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2021, (ud. 28/10/2020, dep. 21/04/2021), n.10451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17500 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Oltrepò Foraggi s.r.l. in liquidazione, in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Lucio Monaco e

Giuseppe Marini per procura speciale a margine del controricorso,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Monti Parioli, n. 48,

presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– controricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 1470/28/2014, depositata in data 21

marzo 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 28

ottobre 2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Oltrepò Foraggi s.r.l. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2003, aveva contestato costi non inerenti e operazioni inesistenti attestate da false fatturazioni; avverso l’avviso di accertamento la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Pavia; avverso la sentenza del giudice di primo grado l’Agenzia aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato l’avviso di accertamento in data successiva alla scadenza termine di decadenza; non poteva applicarsi il raddoppio dei termini di decadenza, in quanto la notitia criminis era stata depositata presso la Procura della Repubblica in data successiva alla scadenza del termine ordinario;

l’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione a sentenza affidato a due motivi di censura;

la società si è costituita depositando controricorso contenente ricorso incidentale, illustrato con successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente, va osservato che nessuna rilevanza può assumere nel presente giudizio la pronuncia della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 4208/12/19, depositata il 25 ottobre 2019, passata in giudicato, prodotta dalla controricorrente con la memoria;

ed invero, come più volte affermato da questa Corte, nel processo tributario l’effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche concerne i fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di annualità, abbiano carattere stabile o tendenzialmente permanente mentre non riguarda gli elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo” (Vedi Cass. n. 25516 del 2019), sicchè, in definitiva, posto che ogni tributo periodico è costituito da elementi stabili ed elementi variabili, solo con riferimento agli elementi stabili il giudicato può esprimere portata vincolante esterna (Cfr. Cass. n. 1300 del 2018; Cass. n. 18923 del 2011);

nella fattispecie, è data ravvisare solo l’identità delle parti, ma si tratta di accertamenti che attengono a periodi di imposta diversi tra loro, sicchè ciascuno di essi mantiene la propria autonomia, non potendosi, quindi, il giudicato relativo ad un periodo di imposta estendere a quello in esame;

con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, per avere erroneamente ritenuto che il più lungo termine di decadenza per l’accertamento di cui alle suddette previsioni normative trovi applicazione ai soli termini che siano in corso al momento in cui l’amministrazione finanziaria ha avuto conoscenza della notitia criminis e abbia, conseguentemente presentato la denuncia penale; con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, in quanto ha erroneamente ritenuto che fosse impeditivo della applicazione del più lungo termine di decadenza la circostanza che nell’avviso di accertamento non fosse stata esplicitata l’avvenuta presentazione della denuncia penale;

i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto riguardano la questione della corretta applicazione della normativa in materia di decadenza dell’avviso di accertamento nel caso in cui sussisteva l’obbligo della denuncia penale, sono fondati;

questa Corte, con arresti anche recenti (Cass. civ., 13 febbraio 2019, n. 4205; Cass. civ. n. 11620/2018; 26037/2016; 16728/2016) ha rilevato che il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, integrando il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, ha previsto che, per le ipotesi in cui la violazione fiscale comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento raddoppiano relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. Il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 25, ha introdotto analoga disposizione in materia di Iva, con modifica del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57;

sono queste le disposizioni applicabili al caso di specie, benchè relativo a periodo di imposta antecedente l’entrata in vigore delle richiamate disposizioni in quanto, ai sensi dell’art. 37, comma 26, il raddoppio dei termini si applica dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, siano ancora pendenti i termini ordinari per l’accertamento, riferendosi l’atto impositivo all’anno di imposta 2003;

d’altro lato, deve invece escludersi (l’applicabilità delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia sia stata effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento; nonchè di quelle introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 130, 131 e 132, che hanno eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari;

quanto alla prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, la stessa non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quale quella per cui è causa (notifica del 16 ottobre 2009);

quanto alla seconda, il regime transitorio previsto dalla L. n. 208 del 2015 per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016, secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione Finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132, riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 3, comma 2, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto;

sicchè, anche tenuto conto della normativa sopravvenuta, va quindi affermato che, per quanto riguarda il regime normativo in vigore prima della suddetta modifica, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna Cass. civ., n. 22337/2018; 11171/2016);

il principio trova riscontro nella sentenza n. 247/2011 della Corte Costituzionale, secondo cui l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicchè “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento” (vd. anche Cass. civ. n. 27629/2018);

invero, il raddoppio dei termini in esame attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, come tali operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, senza che all’Ufficio sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione: non vi è obbligo, pertanto, neppure di esternare le ragioni in base alle quali l’Agenzia ritenga operante il raddoppio del termine, esulando l’applicazione da scelte discrezionali. Di conseguenza l’atto impositivo non deve contenere una specifica motivazione sul punto, in quanto l’onere motivazionale previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, afferisce all’an ed al quantum della pretesa tributaria e ha lo scopo di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa (Cass. civ., 7 maggio 2014, n. 9810; Cass. civ.,10 giugno 2009, n. 13335);

il giudice del gravame, pertanto, non ha applicato i principi ora esposti in quanto, tenuto conto della normativa applicabile ratione temporis, ha ritenuto che la notitia criminis doveva essere comunicata entro l’ordinario termine di decadenza mentre, come detto, quel che rileva è se sussisteva, come condizione obiettiva, in relazione ai fatti contestati, l’obbligo della denuncia, non essendo, peraltro, necessario che nell’avviso di accertamento fosse esplicitata la ragione per cui l’avviso di accertamento era stato emesso oltre il termine ordinario di decadenza;

il giudice del rinvio, quindi, dovrà accertare se, mediante una valutazione prognostica postuma, ora per allora, sussistessero, tenendo conto dei fatti contestati nell’avviso di accertamento, i presupposti dell’obbligo di denuncia;

per completezza, va altresì precisato che, secondo questa Corte, il raddoppio dei termini di decadenza, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poichè le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass. civ., 3 maggio 2018, n. 10483);

con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per omessa pronuncia della inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate;

con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per avere omesso di pronunciare l’inammissibilità dell’appello;

con il terzo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, c.p.c., per avere reso una motivazione apparente o per avere omesso la motivazione in relazione alla statuizione circa la compensazione delle spese di lite e alla dichiarata inesistenza delle fatture contestate;

con il quarto motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio oggetto di discussione tra le parti consistente nella effettività delle operazioni ritenute inesistenti come risultante dalle movimentazioni bancarie;

con il quinto motivo di ricorso di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio oggetto di discussione tra le parti consistente nella effettività delle operazioni ritenute inesistenti come risultante dai contratti e dai documenti di trasporto depositati;

con il sesto motivo di ricorso di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio oggetto di discussione tra le parti consistente nella effettività delle operazioni ritenute inesistenti come risultante dal gran numero di terreni da gestire a fronte di pochi beni strumentali di cui ai documenti depositati;

con il settimo motivo di ricorso di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio oggetto di discussione tra le parti consistente nella effettività delle operazioni ritenute inesistenti, in quanto nel pvc posto a base della verifica non era stata rilevata l’inesistenza contestata e l’indagine penale era stata archiviata;

i motivi sono inammissibili;

invero, secondo il principio consolidato di questa Corte, è inammissibile il ricorso incidentale per cassazione della parte vittoriosa in secondo grado per le questioni, domande o eccezioni, rilevanti per la decisione, da essa prospettate e non decise neppure implicitamente, in quanto assorbite da quelle accolte, essendo in tal caso, invece, necessaria la soccombenza teorica, configurabile soltanto se, accolta la domanda sotto un profilo, gli altri siano stati esaminati e respinti. Nè tali questioni, domande, eccezioni, possono proporsi dalla parte vittoriosa con controricorso, non essendo applicabile in cassazione l’art. 346, c.p.c., mentre sono riproponibili, in caso di accoglimento del ricorso principale, purchè espressamente riproposte nel giudizio di appello e non travolte dalle questioni decise dalla sentenza di cassazione, nel giudizio di rinvio (Cass. civ., 23 novembre 1998, n. 11861; Cass. civ., 30 marzo 2000, n. 3908; Cass. civ., 5 gennaio 2017, n. 134; Cass. civ., 21 maggio 2018, n. 12466);

in conclusione, il motivo di ricorso principale è fondato, i motivi di ricorso incidentale sono inammissibili, con conseguente cassazione della sentenza censurata e rinvio alla commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della controricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il controricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte:

accoglie il motivo di ricorso principale, inammissibili i motivi di ricorso incidentale, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della controricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il controricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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