Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1045 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 17/01/2020), n.1045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.M., rappr. e dif. dall’avv. Marco Lanzilao, elett. dom.

presso il suo studio in Roma, viale Angelico n. 38,

marco.lanzilao.ordineavvocatiroma.org, come da procura in calce

all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Brescia 1.10.2018, cron.

3855/2018, R.G. 3182/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 19.12.2019;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta Decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.M. impugna il decreto Trib. Brescia 1.10.2018, cron. 3855/2018, R.G. 3182/2018 che ha rigettato il suo ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. il tribunale, circoscritta la domanda alla verifica dei requisiti della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, ha: a) riscontrato plurime contraddizioni e dunque concluso per la complessiva inattendibilità del narrato riferibile al ricorrente che, alfine postulando il rischio di morte dal ritorno in Bangladesh, ha variamente ricostruito le ragioni della migrazione senza provare i fondati motivi di meritevolezza della protezione; b) escluso, oltre ai motivi di persecuzione già nel racconto del richiedente, anche i fatti potenzialmente inerenti a conflitti generalizzati nel Paese di provenienza; c) ritenuto insussistente il diritto alla protezione umanitaria, per impraticabile comparazione rispetto a una supposta vulnerabilità, non altrimenti dedotta e comunque immotivata in caso di rientro;

3. il ricorso descrive cinque motivi di censura.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta la nullità della sentenza per motivazione solo apparente, con trascritto un documento in lingua inglese e riferimenti ad un Paese (Nigeria) diverso da quello del richiedente;

2. con il secondo motivo si deduce, sia pur in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’omesso ovvero contraddittorio esame circa la condizione di pericolosità e violenza generalizzata in Bangladesh;

3. con il terzo motivo si deduce, ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’omesso ovvero contraddittorio esame circa le dichiarazioni rese nel complessivo procedimento dal richiedente circa condizione di pericolosità e violenza generalizzata in Bangladesh, con cattivo esercizio dei doveri di cooperazione officiosa da parte del tribunale;

4. con il quarto motivo si contesta l’errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, con riguardo alla situazione in Bangladesh;

5. con il quinto si censura la mancata concessione della protezione umanitaria, quale effetto della violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5;

6. il primo motivo di ricorso è inammissibile, di fatto risolvendosi in un vizio di motivazione (con i limiti, non rispettati, di cui a Cass. s.u. 8053/2014) e limitandosi, per un verso, a censurare un passaggio del decreto (effettivamente con riferimento alla Nigeria ma ininfluente) relativo a considerazioni su un Paese diverso da quello del richiedente, tuttavia nell’ambito di una più ampia motivazione (sul diniego della protezione umanitaria) del tutto autosufficiente; per altro verso, va data continuità al principio per cui “non viola il principio dell’obbligatorietà dell’uso della lingua italiana negli atti processuali il provvedimento del giudice (nella specie, decreto di diniego di riconoscimento della protezione internazionale a rifugiato) che rechi in motivazione citazioni di fonti di conoscenza in lingua inglese di facile comprensibilità, tali da non recare pregiudizio al diritto di difesa delle parti” (Cass. 22979/2019);

7. gli altri motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono complessivamente inammissibili, avendo mancato il ricorrente, per ciascuno di essi, di riportare, almeno nei termini essenziali e significativi, il contenuto specifico delle ragioni di doglianza avverso la decisione della commissione territoriale, i fatti precisi ivi rappresentati e le difese interposte avverso il provvedimento della commissione; appaiono in particolare del tutto generici i riferimenti al contrastato giudizio di credibilità della parte, i fatti di persecuzione dedotti con riguardo al contesto sociale delle relazioni parentali e privatistico e la mancata protezione, gli elementi di raffronto avuto riguardo alla comparabilità, il richiamo alla situazione di conflitto in Bangladesh rispetto alle fonti indicate in decreto e la zona di provenienza del ricorrente, per ciascuno di essi l’impugnazione risolvendosi in doglianze che contrastano con il principio di necessaria puntualità del ricorso e con il divieto di porre per la prima volta, in sede di legittimità, questioni che non siano state provatamente già oggetto del dibattito processuale, essendo la parte onerata di precisare in questa sede come, dove e quando ne abbia articolato la presenza nel giudizio di merito;

8. il tribunale ha condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014) ed anche con riferimenti di condivisione alle lacune della domanda già riscontrate dalla commissione, una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunto non permette una diversa disamina, altresì per i limiti redazionali del ricorso; in realtà il decreto ha motivatamente e in via preliminare già escluso la piena attendibilità del ricorrente, in ragione della contraddittorietà delle dichiarazioni progressivamente rese avanti alla commissione e poi allo stesso giudice, così che la pretesa violazione del dovere di cooperazione istruttoria peraltro invocata in modo tanto generico quanto assoluto, prospettando la medesima come una regola egemone di raccolta del materiale probatorio a prescindere dal principio di responsabilità della parte nell’introdurre i fatti costitutivi del proprio diritto secondo buona fede – si fonda su una lettura non corretta del principio, cui il Collegio intende dare continuità, per cui “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019); tale verifica di genuinità soggettiva sulle minacce di danno grave, le omissioni di tutela delle istituzioni o gli ostacoli incontrati – nella specie è stata positivamente esclusa e a tale limite non rimedia la pretesa, graduale e contraddittoria messa a punto dei dettagli (Cass. 20580/2019);

9. va inoltre ricordato, ancora sul punto, che “in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass. 4892/2019, 18446/2019); in ogni caso il ricorrente non ha allegato alcuna classe di specifici ed individualizzati impedimenti, fatti valere in giudizio ed erroneamente trascurati, giustificanti i limiti del proprio corredo probatorio o contributo istruttorio, posto che la prospettazione di rischi di persecuzione o danno grave da cui sarebbe stato colpito in Bangladesh o da cui sarebbe fuggito, come anche le circostanze di espatrio, sono apparse oggetto di esposizione del tutto contraddittoria e irrilevante ai fini dell’accertamento del diritto soggettivo di protezione;

10. il tribunale ha anche stigmatizzato che il ricorrente non avrebbe poi nemmeno allegato il rischio di vita in caso di rimpatrio e, come visto, i limiti di genericità e aspecificità del ricorso precludono qualunque disamina critica sul punto; oltre le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, il tribunale ha in particolare negato l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona per violenza indiscriminata, anche ai sensi della lett. c) art. cit.; il che rende insuperabile il dato, presupposto nel decreto impugnato, per cui la prospettazione persecutoria al ricorrente è risultata del tutto indiretta e generica; invero, la stessa “nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 13858/2018, 18306/2019);

11. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine ripreso nel quinto motivo, è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente e potendosi aggiungere che l’odierna censura è inammissibile, per genericità e perchè si risolve in un dedotto vizio di motivazione, oltre il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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