Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10449 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. II, 03/06/2020, (ud. 16/04/2019, dep. 03/06/2020), n.10449

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11847/2015 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 7 INT. 7,

presso lo studio dell’avvocato PASQUALE IANNUCCILLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LABICANA

92, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SANTARPIA, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIUSEPPE PICONE;

– controricorrente –

e contro

V.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4487/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/04/2019 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- L.M. impugnò la sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere – Sez. dist. di Marcianise – in data 13 ottobre 2009 che, in accoglimento della domanda di P.D. e Geo Costruzioni s.a.s. di P.V., aveva dichiarato la risoluzione del contratto preliminare intercorso tra le parti per grave inadempimento del L., promissario acquirente, condannandolo al rilascio dell’immobile ed al pagamento della penale fissata in 10000 Euro. L’appellante, premesso di aver concluso in data 23 giugno 2004 con gli appellati, comproprietari al 50 per cento, un contratto preliminare di vendita dell’appartamento in (OMISSIS) per il prezzo di Euro 79000,00 di cui Euro 22948,00, corrisposti alla sottoscrizione del preliminare, Euro 26000,00 mediante effetti con scadenza sino al 15 novembre 2004 ed il residuo prezzo di Euro 30052,00 da corrispondere alla data della stipula del definitivo con contratto di mutuo da concludere, dedusse che, benchè nel preliminare fosse stata prevista la consegna delle chiavi e del possesso dell’immobile solo al momento della stipula del contratto definitivo, il V., avendo egli già versato buona parte del prezzo complessivo, gli aveva consegnato quattro delle cinque chiavi dell’appartamento, trattenendone una per ultimare i lavori. Il L. aveva trasferito nell’appartamento i propri mobili ed effetti, e, dopo circa una settimana, aveva ricevuto anche la quinta chiave. Ma in data (OMISSIS) aveva constatato la sostituzione della serratura della porta, ed aveva ricevuto dal P. e dal padre la comunicazione che essi non erano disposti a consegnargli le nuove chiavi sino a quando il fratello dell’appellante, A.R., non avesse provveduto a regolare le loro spettanze in relazione ad alcuni lavori dagli stessi eseguiti in (OMISSIS). Precisò di aver ricevuto analoga richiesta già all’atto della stipula del preliminare, tant’è che egli si era fatto consegnare dal fratello due assegni dell’importo di Euro 20000,00, che aveva consegnato al P.. Ma dopo questa nuova pressante richiesta il L. aveva denunciato i due, poi condannati in primo grado per esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose. Nel frattempo egli aveva intentato un’azione di reintegra nel possesso e in subordine ex art. 700 c.p.c., rigettata. Egli non aveva proposto reclamo in quanto nelle more era stato reimmesso nel possesso dell’immobile per provvedimento dell’autorità giudiziaria penale. In data 13 ottobre 2005 P. e V. avevano convenuto in giudizio il L. per la risoluzione del contratto preliminare per il grave inadempimento dello stesso. La domanda era stata accolta dal Tribunale. Ed è appunto contro questa sentenza che propose appello il L., lamentando l’abnormità della decisione di ritenere illegittima l’acquisizione del possesso dell’immobile, in realtà scaturito dal provvedimento dell’autorità giudiziaria penale, e deducendo che era stato proprio il V. a consegnargli le chiavi dell’appartamento. Inoltre avrebbe errato il giudice di primo grado a valutare liberamente i fatti relativi al procedimento penale a carico del P. con sentenza passata in giudicato. Chiese, pertanto, l’appellante l’accoglimento della sua domanda di adempimento dell’obbligo degli appellati di concludere il contratto ex art. 2932 c.c..

2.- La Corte di appello di Napoli rigettò il gravame. Il giudice di secondo grado osservò anzitutto, in tema di accertamento della gravità dell’inadempimento o inesatto adempimento, che il creditore che agisca per la risoluzione o per l’adempimento deve solo provare la fonte del suo diritto, mentre il convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo della pretesa, nella specie della legittimità del conseguimento del possesso anticipato dell’immobile. Non aveva pregio la doglianza del L. relativa alla mancata considerazione della ricostruzione della vicenda, operata dal giudice penale, avuto riguardo al principio di autonomia dei due giudizi, per cui il giudice civile può, non deve, utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale. Peraltro la sentenza penale di cui si tratta mancava dell’attestazione del passaggio in giudicato. Inoltre nessun teste aveva riferito di aver assistito alla consegna delle chiavi al L. da parte del V., mentre quest’ultimo aveva riferito di aver consegnato le chiavi solo per consentire l’accesso temporaneo all’immobile per effettuare delle misurazioni. Tale consegna non aveva dunque significato univoco di volontà di trasmettere il possesso dell’immobile in capo al L.. Aggiunse la Corte che nel giudizio possessorio di secondo grado intentato dal L. il rigetto era stato motivato dal fatto che questi, pur non avendo il primo giudice ammesso la prova testimoniale sulla circostanza delle chiavi, non aveva poi reiterato la domanda. Ed anche il conseguimento del possesso da parte del L. a seguito del dissequestro operato in sede penale non avrebbe connotato in modo diverso la vicenda, in quanto il PM non poteva che fondarsi sulla situazione di fatto (ius possessionis) preesistente, esulando dai suoi poteri l’indagine circa la titolarità sostanziale del diritto (ius possidendi). Ugualmente sforniti di prova erano rimasti gli asseriti comportamenti vessatori del P..

3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre il L. sulla base di due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso il P..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Deve, preliminarmente, essere esaminata la eccezione, sollevata dal controricorrente, di tardività del ricorso per essere stato notificato dopo il decorso di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata a mezzo pec.

2. – La eccezione è priva di fondamento.

Premesso che il ricorso è stato notificato al P. nel termine di sessanta giorni dalla notifica, effettuata a mezzo del servizio postale il 14 febbraio 2015, della sentenza della Corte d’appello partenopea, consegnata il successivo 24 febbraio, quanto alla dedotta notificazione della stessa sentenza eseguita il 20 febbraio 2015 a mezzo pec, che il ricorrente nega di aver mai ricevuto, è sufficiente, al riguardo, richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione, la notifica della sentenza impugnata effettuata alla controparte a mezzo PEC è idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione nei confronti del destinatario ove il notificante provi di aver allegato e prodotto la copia cartacea del messaggio di trasmissione, delle ricevute di avvenuta consegna e di accettazione, della relata di notificazione nonchè della copia conforme della sentenza, salvo che il destinatario della notifica non ne contesti la regolarità sotto uno o più profili (v. Cass., ord. n. 16421 del 2019).

3.- Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. e dei criteri di cui all’onere della prova in caso di azione di risoluzione contrattuale ex artt. 1453 e 1455 c.c., cui si contrappone domanda di adempimento ex art. 2932 c.c., ai sensi dell’art. 2697 c.c., il tutto in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Osserva il ricorrente che la non scarsa importanza dell’inadempimento costituisce, ai sensi del richiamato art. 1455 c.c., una condizione dell’azione di risoluzione e che, pertanto, è onere della parte attrice, a norma dell’art. 2697 c.c., provarne l’esistenza. Sottolineato l’obbligo del giudice di valutare anche di ufficio la gravità dell’inadempimento, rileva, in particolare, che, mentre se il creditore agisce per ottenere l’adempimento, l’onere della prova del mancato adempimento grava sul debitore, essendo il creditore tenuto solo a provare il titolo contrattuale e relativo obbligo, nel caso, come quello di specie, di domanda ex art. 1453 c.c., di risoluzione del contratto rimasto parzialmente adempiuto, in un contesto di comportamenti giustificativi della legittimità dell’agere del debitore – che, nella specie, aveva nuovamente conseguito il possesso dell’immobile de quo a seguito di provvedimento cautelare del giudice penale, sicchè aveva ritenuto di non proporre appello avverso il rigetto della sua domanda di reintegra nel possesso, avendo realizzato il suo scopo – ai creditori non bastava provare il titolo sul quale si fondava il credito vantato, essendo gli stessi tenuti a provare altresì la gravità dell’inadempimento. Secondo il ricorrente, dunque, la diversità degli effetti che la domanda del creditore è destinata a produrre sugli equilibri contrattuali esistenti, ben può fondare la differente articolazione dell’onere della prova tra le parti del giudizio di inadempimento in caso di deduzione di gravità dello stesso. Nella specie, il giudice di merito, non facendo applicazione di tale principio, era pervenuto ad un monstrum fattuale, prima ancora che giuridico, in base al quale il ricorrente, dopo aver versato la somma di Euro 26000,00 a fronte di quella complessiva di Euro 79000,00 prevista per la stipula del contratto definitivo, per ottenere il possesso anticipato dell’immobile di cui si tratta, installato nello stesso il suo arredo, ed ottenuto, in seguito allo spossessamento ad opera del P., la restituzione dell’immobile, sia pure interinale, con provvedimento del giudice penale, aveva poi subito la condanna in quanto inadempiente. In definitiva, secondo il ricorrente, la dimostrazione della gravità dell’inadempimento sarebbe spettata a controparte, e, comunque, il giudice di merito avrebbe dovuto di ufficio accertare la natura dell’inadempimento dedotto dagli attuali controricorrenti alla stregua dei comportamenti delle parti come descritti.

4. – Con il secondo motivo, si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere il giudice di appello posto a fondamento della propria decisione il materiale istruttorio acquisito ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 6, ex art. 360 c.p.c., n. 3”. Si lamenta l’uso illegittimo da parte della Corte d’appello partenopea del materiale probatorio acquisito agli atti del processo. Il ricorrente valorizza le seguenti circostanze: il versamento da parte sua, sia pure con cambiali debitamente poi onorate, della somma di Euro 26000,00, successivamente al versamento di quella di Euro 22.900,00 a titolo di caparra, e, quindi, complessivamente, di un importo pari quasi a due terzi del prezzo complessivo fissato per la vendita dell’immobile; la consegna delle chiavi dell’appartamento da parte del V. prima della stipula del contratto definitivo; la subordinazione della stipula alla erogazione di un mutuo che egli aveva richiesto; la sottrazione della detenzione dell’immobile attraverso la sostituzione della serratura da parte del P. e del padre; la sentenza penale che, confermando i precedenti provvedimenti cautelari, aveva condannato il P. per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Tali elementi confermano, secondo il ricorrente, la insussistenza della gravità dell’inadempimento, non essendo configurabile alcuna arbitraria immissione nel possesso dell’immobile di cui si tratta.

5.- Le censure, che, avuto riguardo alla stretta connessone logico-giuridica che le avvince, vanno trattate congiuntamente, risultano immeritevoli di accoglimento.

6.- Esse si risolvono sostanzialmente in una critica al governo che la Corte di merito avrebbe operato del principio dell’onere della prova nonchè della valutazione da parte dello stesso giudice del materiale probatorio acquisito.

6.1. – Va, anzitutto, rilevato al riguardo che, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche quando sia dedotto l’inesatto adempimento dell’obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell’esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione. (v., tra le altre, Cass., sent. n. 826 del 2015).

Deve a ciò aggiungersi che, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (v., ex multis, Cass., sent. n. 6401 del 2015).

E’ stato altresì precisato che, in tema di risoluzione per inadempimento, il giudice, per valutarne la gravità, deve tener conto di un criterio oggettivo, avuto riguardo all’interesse del creditore all’adempimento della prestazione attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità, e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonchè di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l’intensità (cfr., ex aliis, Cass., sent. n. 10995 del 2015).

6.2. – Ciò posto, nella specie la Corte partenopea ha correttamente applicato i richiamati principi di diritto. Essa ha anzitutto sottolineato che, come è pacifico in causa, il contratto preliminare conteneva la previsione della consegna delle chiavi ed il passaggio del possesso dell’immobile in questione solo all’atto della stipula del contratto definitivo, sicchè la circostanza dell’acquisizione anticipata del possesso da parte dell’attuale ricorrente avrebbe dovuto essere oggetto di prova da parte dello stesso.

Al riguardo, in applicazione del principio di autonomia e separazione dei giudizi penale e civile, ha proceduto ad un autonomo accertamento dei fatti con pienezza di cognizione (v., da ultimo, Cass., sent. n. 16893 del 2019), a prescindere dalla mancata attestazione del passaggio in giudicato della sentenza penale, rilevando che la mera consegna delle chiavi dell’immobile da parte di uno solo dei comproprietari, in mancanza di ulteriori elementi, non è elemento univocamente indicativo della volontà di entrambi di trasferimento del possesso, in presenza della dichiarazione del V. di aver inteso consentire al L. solo l’accesso temporaneo all’appartamento, ed alla stregua della sicura volontà del P. di opporsi alla concessione anticipata del possesso. Ed anche il provvedimento del P.M. di dissequestro del bene, in base alla plausibile ricostruzione della vicenda, operata dalla Corte di merito nell’esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, scolora alla stregua della considerazione che il dissequestro era disposto in favore dell’avente diritto, sulla base della situazione di fatto, non avendo il pubblico ministero il compito, nè il potere, di indagare sulla titolarità sostanziale del diritto.

Un siffatto, dettagliato e corretto esame degli elementi probatori, unito al rilievo che nel giudizio possessorio intrapreso dal L., nonostante la non ammissione da parte del giudice di primo grado della prova per testi diretta alla dimostrazione dell’avvenuta trasmissione anticipata del possesso dell’immobile, mai lo stesso L. avesse reiterato tale domanda – al di là della motivazione sul punto da lui fornita – esclude ogni possibilità di sindacato della decisione della Corte di merito nella presente sede di legittimità.

7.- In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura espressa in dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013”, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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