Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10447 del 29/04/2010

Cassazione civile sez. III, 29/04/2010, (ud. 18/03/2010, dep. 29/04/2010), n.10447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 11815-2009 proposto da:

SISTET SRL in persona dell’amministratore unico, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 32, presso lo studio

dell’avvocato BONACCORSI DI PATTI DOMENICO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GALLUZZO DIEGO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII

n. 242, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA LATINO GRISAFI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LATINO CARMELO, giusta mandato a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1667/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

19.12.08, depositata il 30/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. GIAMPAOLO LECCISI.

La Corte, letti gli atti depositati:

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 5 maggio 2009 la S.r.l. Sistet ha chiesto la cassazione della sentenza, notificata personalmente alla parte il 9 marzo 2009, depositata in data 30 gennaio 2009 dalla Corte d’Appello di Palermo, confermativa della sentenza del Tribunale di Agrigento, che aveva dichiarato risolto per inadempimento della società conduttrice il contratto di locazione degli immobili all’origine della controversia.

P.F., erede di P.P., ha resistito con controricorso.

2 – I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge:

processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c.. Formula un quesito che non postula l’enunciazione di un principio di diritto basato sulla norma di cui ha denunciato violazione e falsa applicazione (non meglio specificate, come si trattasse di sinonimi) che risulti, al tempo stesso, decisivo per il giudizio e di applicabilità generalizzata, ma che si risolve, piuttosto, nella richiesta di negare il grave inadempimento ritenuto dai giudici di merito.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura manca del momento di sintesi formulato secondo i criteri sopra indicati e necessario per circoscrivere il fatto controverso e specificare le parti della sentenza impugnata e le ragioni per cui la motivazione si riveli, rispettivamente, omessa e contraddittoria.

Occorre, poi, rilevare che la ricorrente non ha dimostrato, violando il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di avere chiesto già in primo grado l’ammissione della prova testimoniale inutilmente sollecitata alla Corte territoriale, considerato il divieto di prove nuove in appello (salvo le ipotesi di prove incolpevolmente non proposte in primo grado ovvero ritenute decisive) sancito dall’art. 345 c.p.c., comma 3.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie nè alcuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 800.00, di cui Euro 600,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2010

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