Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10445 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 21/04/2021), n.10445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8413-2013 proposto da:

CHEOPE IMMOBILIARE SRL, elettivamente domiciliata in ROMA,

LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato LAURA

OSTILI, rappresentata e difesa dall’avvocato ADAMO DE RINALDIS;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 108/2012 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 21/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– Cheope Immobiliare Srl, già Immobiliare Star Srl (di seguito, la contribuente), propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 21 settembre 2012, che ne ha rigettato l’appello avverso la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso proposto per l’annullamento degli avvisi di accertamento con cui, relativamente agii anni di imposta 2004-2006, era stato rideterminato il reddito d’impresa e recuperate, a tassazione le imposte non versate;

– dalla sentenza impugnata si evince che la rettifica della dichiarazione della contribuente era fondata sulle risultanze di una verifica della Guardia di Finanza, la quale aveva richiesto ad un congruo numero di clienti informazioni al fine di riscontrare la regolarità delle operazioni di mutuo effettuate per l’acquisto degli immobili, nonchè sulle movimentazioni bancarie sui conti della stessa;

– il giudice di appello ha ritenuto legittimi gli accertamenti in considerazione dei versamenti in contanti di notevole entità effettuati dagli acquirenti di immobili sui conti personali dei soci e dei rispettivi coniugi, risultati sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati dagli stessi e per i quali nè i soci nè la società avevano fornito spiegazioni;

– anche i prelevamenti effettuati sui medesimi conti, relativi a pagamenti a favore dei fornitori, ad avviso della CTR erano da considerarsi operazioni inerenti all’attività aziendale;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, artt. 33 e 70 per aver la sentenza impugnata escluso l’illegittimità derivata dell’atto impositivo per difetto di motivazione dell’autorizzazione rilasciata per l’effettuazione delle indagini bancarie, le cui risultanze erano state poste dall’Ufficio a fondamento degli avvisi di accertamento;

– evidenzia, in particolare, che i presupposti fattuali posti alla base della richiesta di accesso alle informazioni finanziarie erano insussistenti, per cui, in ragione di ciò, la relativa autorizzazione risulterebbe viziata;

– il motivo è infondato in quanto muove dall’assunto che il provvedimento di autorizzazione alla presentazione della richiesta di accesso a informazioni e documentazione finanziaria debba essere motivato e, quindi, che l’assenza della motivazione o l’insussistenza dei presupposti fattuali posti a fondamento della stessa possano essere sindacati;

– tale assunto è erroneo, in quanto in tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perchè in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perchè la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali, rispettivamente, la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1, e la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 prevedono l’obbligo di motivazione (così, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 19564 del 24/07/2018, Rv. 649853 – 01; Cass. 3 agosto 2012, n. 14026);

– con il secondo motivo la ricorrente deduce l’omessa, contraddittoria e/o insufficiente motivazione in ordine ad un fatto decisivo della controversia, individuato nel/l’assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’agenzia delle entrate;

– sottolinea che il giudice di appello aveva affermato di aver fatto proprie le deduzioni dell’ufficio il quale non aveva mai affermato che i versamenti sui conti personali dei soci provenissero da acquirenti di immobili, nè che i prelevamenti sui conti dei soci avessero riguardato pagamenti a favore della società; ciò aveva impedito alla società di poter formulare contestazioni sul merito della causa; non avrebbe, inoltre, considerato che nessuna indagine era stata compiuta sui redditi dei soci e dei loro coniugi, e avrebbe omesso di confutare la diversa tesi enunciata dalla contribuente;

– il motivo, confusamente articolato sovrapponendo profili tra loro incompatibili (se la motivazione è omessa, non può essere nello stesso tempo insufficiente o contraddittoria) è inammissibile;

– invero, poichè è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5): la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione;

– pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;

– tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7/04/2014, n. 8053);

– nella vicenda all’esame, invece, la ricorrente non individua neppure quali fatti storici, decisivi ai fini della decisione, il giudice di merito avrebbe omesso di prendere in esame, sottoponendo al Collegio, mediante un generico richiamo alle precedenti difese, soltanto le contraddizioni o insufficienze in thesi riscontrate nella motivazione resa, come tali inidonee a consentire l’esame delle doglianze da parte del giudice di legittimità;

– peraltro, la stessa ricorrente riconosce di non aver “mai potuto formulare alcuna contestazione in ordine al merito della causa” e, nell’affermare che non era stata fornita nessuna prova rispetto alla riconducibilità delle movimentazioni bancarie dei soci dei coniugi all’attività della società, non solo introduce elementi fattuali non compatibili con il giudizio di legittimità, ma trascura il costante orientamento di questa Corte secondo cui “In tema di accertamento IVA relativo a società di capitali, i movimenti bancari sui conti personali del socio possono riferirsi alla società contribuente al fine di determinarne i maggiori ricavi non dichiarati, in quanto i rapporti di contiguità, riducendo la lontananza dalla società cui il socio partecipa, rappresentano elementi indiziari aventi valore di presunzione legale che consentono di attribuire le movimentazioni alla contribuente, salva la prova contraria; ne consegue che gli Uffici finanziari e la Guardia di finanza possono richiedere, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 51, comma 2, n. 7, (nel testo vigente “ratione temporis”), copia dei conti intrattenuti con la contribuente, senza alcuna limitazione all’attività di indagine, in quanto l’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società delle somme movimentate sui conti intestati all’amministratore, ai soci o loro familiari” ben possono essere giustificati da elementi sintomatici evidenziati dalla peculiare fattispecie (quale la particolare ristrettezza della compagine sociale), incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova che le ingenti somme rinvenute sui conti dell’amministratore o del di lui coniuge (e socio), non siano alla stessa riferibili”. (Sez. 5 -, Ordinanza n. 6055 del 04/03/2020, Rv. 657401 – 01);

– la CTR ha, quindi fatto corretta applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, nella formulazione vigente al momento della decisione di secondo grado, che stabilisce che, in relazione ai rapporti ed alle operazioni (anche) bancarie, “sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo; sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in Euro 12.000, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

 

 

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