Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10444 del 21/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 21/04/2021), n.10444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3884-2013 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.G. BELLI

36, presso lo studio dell’avvocato BRUNO AGRESTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ENRICO PUPILLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI MACERATA, in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 57/2012 della COMM.TRIB.REG. di ANCONA,

depositata il 20/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– P.P. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche (CTR), depositata il 20 luglio 2012, di reiezione dell’appello proposto avverso la sentenza di primo grado che ne aveva respinto il ricorso per l’annullamento degli avvisi di accertamento Irpef, Irap, Iva, ed altro, relativi agli anni di imposta 2004-2005-2006;

– dall’esame della sentenza di appello e degli atti di parte si evince che l’Ufficio aveva determinato induttivamente il reddito di lavoro autonomo dichiarato dal contribuente, esercente attività di commercio di rottami di materiale ferroso;

– la CTR aveva rilevato che il contribuente non si era presentato dopo aver ricevuto l’invito a comparire; non aveva presentato lo studio di settore per il 2004 2006; non aveva giustificato le movimentazioni bancarie extra conto;

– riteneva corretta la percentuale di ricarico applicata del 2,2%;

– il ricorso è affidato a sette motivi;

– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– Con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 in relazione al mancato rispetto del termine di legge per comparire negli uffici non inferiore a 15 giorni;

– evidenzia di essere stato invitato a presentarsi presso l’ufficio il giorno 12/6/2009 alle ore 11 ma di aver ricevuto la comunicazione in data 13/6/2009, cioè il giorno successivo; confidando nel rinnovo della notifica non si era presentato, da ciò l’illegittimità dell’invito e degli atti successivi;

– la censura è manifestamente infondata: come si legge nella sentenza impugnata nell’invito era espressamente indicato che il contribuente poteva presentarsi “anche entro 15 giorni dalla data di ricevimento dell’invito”; capziosa è la disquisizione che si legge nel ricorso sul potere dell’ufficio di fissare “una data” ma non “un termine di legge”, che oblitera il senso da attribuire all’espressione utilizzata, finalizzata a rendere effettivo il contraddittorio nel caso in cui non fosse stato possibile per qualsiasi evenienza, tra cui evidentemente il ritardo nella ricezione dell’invito, rispettare quella originariamente fissata; in questo senso, va interpretata anche la presa d’atto contenuta dell’accertamento del non essersi il contribuente, come dal medesimo ammesso, presentato nella data fissata senza “aver dato alcuna comunicazione di impossibilità a presentarsi”.

– Con il secondo motivo di ricorso il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 2, per mancanza dei presupposti di legge e/o carenza di motivazione;

– evidenzia che l’ufficio aveva proceduto all’accertamento induttivo puro, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, comma 2 nonostante la mancanza dei relativi presupposti giuridici; ad avviso del ricorrente, l’ufficio avrebbe dovuto procedere solo con il metodo dell’accertamento analitico previsto dal comma 1 della stessa norma, con la conseguenza della illegittimità dell’accertamento eseguito;

– rileva l’erroneità del richiamo nella sentenza impugnata agli studi di settore, in quanto l’accertamento induttivo in caso di omessa presentazione dei dati ricavati da detti studi, in forza della modifica normativa prevista dal D.L. n. 16 del 2012, aveva valore solo per gli accertamenti notificati a partire dal 2 marzo 2012;

– afferma che ulteriore errore della sentenza impugnata era da ravvisarsi nel rilievo attribuito alle movimentazioni bancarie extra conto emerse dalle indagini bancarie che, secondo la parte, non consentivano di procedere con accertamento induttivo;

– con il terzo motivo di ricorso la parte ricorrente eccepisce la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, in. 600, art. 42 nonchè omessa e insufficiente e/o contraddittorietà di motivazione su punto decisivo della controversia, sul rilievo che l’ufficio non avrebbe esplicitato le ragioni idonee a giustificare il ricorso all’accertamento induttivo;

– le due censure possono essere esaminate congiuntamente perchè involgenti lo stesso tema giuridico;

– le stesse appaiono infondate in tutte le loro articolazioni, ancorchè dovendo la corte integrare, nel senso che segue, e correggere la motivazione dell’impugnata sentenza, che in effetti non è del tutto precisa nei passaggi che giuridicamente rilevano;

– dall’esame degli avvisi di accertamento, riprodotti dal ricorrente nel ricorso, si evince che l’ufficio aveva fatto espresso richiamo alle movimentazioni bancarie acquisite e alla parziale omissione di presentazione degli studi di settore – salvo l’anno 2005 -, rilevate in sede di verifica, che giustificavano il ricorso all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55; proprio sulla base delle irregolarità formali riscontrate, l’amministrazione finanziaria aveva proceduto all’accertamento induttivo, facendo riferimento alla presunzione legale scaturente dalle movimentazioni non giustificate e alla mancata presentazione degli studi di settore, precisando che, sulla base di quanto esposto, si procedeva alla determinazione induttiva del reddito, ai sensi e per gli effetti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 – art. 39, comma 2, ai fini delle imposte sui redditi e Irap e 55 del D.P.R. n. 633 del 1972 ai fini Iva, sulla base degli elementi in possesso dell’ufficio; il giudice del gravame ha impostato il percorso motivazionale ragionando anche sulla mancata risposta all’invito, ma ha correttamente valutato gli ulteriori elementi prospettati dall’ufficio a fondamento della pretesa impositiva; va precisato, a tal proposito, che ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), la determinazione del reddito di impresa può essere compiuta dall’amministrazione finanziaria prescindendo dalle presunzioni dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica; si tratta, dunque, di una metodologia di controllo che può essere attivata dall’amministrazione finanziaria soltanto al ricorrere di precise condizioni caratterizzate da irregolarità estreme o comunque gravissime, ed è in tali circostanze che i verificatori hanno facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili, nei casi in culi siano esistenti, e di utilizzare, oltre che prove dirette, anche elementi indiziari connotati da una valenza dimostrativa non particolarmente pregnante, vale a dire presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, c.d. presunzioni semplicissime; in questo contesto, il discrimine tra l’accertamento condotto con il metodo analitico – induttivo e con il metodo induttivo puro va ricercato nella parziale od assoluta inattendibilità dei dati (1 risultanti dalle scritture contabili; ed invero, nel primo caso, la incompletezza, falsità od inesattezza degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, essendo legittimato l’Ufficio accertatore a completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati, anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, le omissioni o le false o inesatte indicazioni risultano tali da inficiare la attendibilità – e dunque la utilizzabilità, ai fini dell’accertamento anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che in questo caso l’amministrazione finanziaria può prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.; ciò precisato, il giudice del gravame, con motivazione sintetica ma esaustiva, ha ben valutato che il contribuente non aveva dimostrato la regolarità delle operazioni extra conto ed era stato inadempiente alla presentazione degli studi di settore per due annualità, ragioni queste che inficiavano la regolarità delle scritture contabili;

– va ancora precisato che in materia di accertamento conseguente ad indagine bancaria regolamentato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2 incombe sul contribuente l’onere di provare, rispetto alla presunzione legale emergente dai dati delle movimentazioni, che detti elementi non siano riferibili ad operazioni imponibili (in particolare che i versamenti siano registrati in contabilità e che i prelevamenti siano serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili), mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti (Cass. n. 4589 del 2009).

– Con il quarto motivo di ricorso il contribuente censura l’omessa ed insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia circa l’applicazione della percentuale di ricarico del 2,2% per gli anni 2004-2005, nonchè omessa pronuncia sulla mancata instaurazione del contraddittorio per lo studio di settore;

– evidenzia che nei giudizi di merito aveva contestato la percentuale di ricarico del 2,2% desunta dagli studi di settore ed applicata al costo del venduto per gli anni in questione, trattandosi di una presunzione semplice priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; nel giudizio di appello aveva altresì ricordato che l’ufficio non aveva fornito convincenti elementi sull’appartenenza dell’impresa della ricorrente all’interno del settore di attività che applica il ricarico utilizzato nell’accertamento;

– con richiamo di giurisprudenza, contesta l’idoneità degli studi di settore a configurare la prova per presunzioni ed evidenzia l’inidoneità della motivazione a sorreggere la sentenza impugnata; osserva infine che il giudice di appello aveva omesso di pronunciarsi circa la rilevanza dell’omesso invito al contraddittorio, necessario nel caso in cui l’accertamento sia fondato su elementi desunti dagli studi di settore;

– la censura è infondata avendo la CTR ben chiarito che l’ufficio aveva applicato le percentuali ricavate in concreto dai valori desunti dallo studio di settore presentato dal medesimo contribuente negli anni precedenti, avendo il contribuente omesso di presentare la dichiarazione dei redditi ai fini Iva e Irap; è evidente che, salvo il diritto del contribuente di allegare e provare in sede contenziosa, anche per la prima volta, elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario si fonda, mancano, nè sono stati dedotti, elementi da cui desumere che nell’anno precedente e in quello successivo fossero intervenuti elementi tali da determinare uno scostamento dei ricavi rispetto all’anno considerato;

– quanto all’omessa pronuncia, si osserva in primo luogo che “Nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, l’Amministrazione finanziaria è obbligata ad instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi della L. n. 146 del 1998, art. 10 mentre detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o antieconomiche gestioni aziendali. (Fattispecie relativa ad avviso di accertamento, non preceduto da preventivo contraddittorio, emanato a carico di un’impresa che aveva chiuso il proprio bilancio annuale con utili molto esigui, a fronte di ingenti investimenti sostenuti). (Sez. 5, Ordinanza n. 31814 del 05/12/2019, Rv. 656539 – 01)”; inoltre, l’esame condotto nel merito indica l’implicito rigetto delle ulteriori prospettazioni della parte privata con cui sono inconciliabili.

– Con il quinto motivo denuncia omessa pronuncia sui risultati delle indagini finanziarie; in particolare, il giudice di appello non avrebbe dato risposta alla doglianza circa il difetto di motivazione della sentenza di primo grado su un fatto controverso relativo ai risultati delle indagini finanziarie che non giustificherebbero i ricavi accertati induttivamente;

– la censura è inammissibile;

– sulla questione, la CTR ha riconosciuto che “gli avvisi di accertamento risultano inoltre motivati”: secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte il vizio di “omessa pronuncia” si concreta esclusivamente nel difetto del momento decisorio su una o più delle domande od eccezioni ritualmente formulate dalle parti; ne segue che per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, il che si verifica “quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte ovvero quando egli pronuncia solo nei confronti di alcune parti”, non anche, invece, quando il Giudice di merito ometta di confutare specificamente gli argomenti in fatto o in diritto svolti dalle parti nei rispettivi scritti difensivi (cfr. Corte cass. Sez..1, Sentenza n. 3388 del 18/02/2005), ovvero fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012) o ancora quando il giudice di merito non abbia considerato i fatti secondari dedotti dalla parte, non concernenti, cioè, alcun fatto estintivo, modificativo od impeditivo della fattispecie costitutiva del diritto fatto valere (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 17698 del 29/08/2011) o abbia omesso di valutare la richiesta di ammissione di un mezzo di prova formulata dalla parte, venendo a risolversi tale mancato esame in un diverso vizio di legittimità (violazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero vizio logico della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) che presuppone che il Giudice di merito abbia ritualmente pronunciato su tutta la domanda/eccezione – se pure erroneamente – e che pertanto, deve essere censurato con l’appropriato mezzo di impugnazione;

– nel caso in esame, è evidente, dal tenore del motivo, che ciò che si contesta in sostanza non è l’utilizzo in sè delle indagini finanziarie, quanto l’interpretazione che di esse è stato compiuto nell’accertamento: si pone cioè una questione di insufficiente motivazione e si trascura che il sindacato sulla motivazione, in relazione alla ricostruzione della quaestio facti posta a fondamento del ragionamento presuntivo e alla prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa, è percorribile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

– Con un ulteriore quarto (in realtà, sesto) motivo di ricorso il ricorrente eccepisce l’omessa pronuncia sulla domanda circa il divieto della doppia presunzione; violazione dell’art. 2727 c.c. per aver accertato il reddito del 2006 non utilizzando dati certi, ma una doppia presunzione; omessa ed insufficiente e/o contraddittoria motivazione per aver ricostruito il reddito dell’anno 2006 utilizzando i dati relativi agli anni precedenti ricavati induttivamente;

– Il motivo è al limite della inammissibilità per mescolanza delle censure. Giustapponendo invero in unica illustrazione motivi di diritto e motivi di fatto, esso urta contro un consolidato indirizzo di questa Corte (38/16; 23034/15, 8350/12), a giudizio del quale in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. è inoltre generico quando richiama doglianze “mosse nell’atto di appello”, non altrimenti specificate. La doglianza è comunque infondata in quanto i ricavi sono stati accertati sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente, come si è esposto esaminando il quarto motivo di ricorso. Va ancora osservato che in presenza di una doppia conforme non più è deducibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c. il vizio di motivazione.

– Con un ulteriore quinto (in realtà, settimo) motivo di ricorso il ricorrente eccepisce omessa ed insufficiente motivazione, in ordine alla irragionevolezza dei diversi risultati di reddito degli accertamenti a parità di ricavo per gli anni 2004-20052006, lamentando l’insufficiente motivazione resa sul punto dal giudice d’appello per spiegare la diversità dei risultati di reddito rettificati a cui è pervenuto l’ufficio per gli anni 2004 (Euro 523.147) e 2005 (Euro 487.031) rispetto al 2006 (Euro 65.680), a parità di ricavi;

– la censura è infondata, avendo il giudice ch appello precisato come la differenza dei risultati consegua alla diversa differenza per il 2006 tra i maggiori ricavi accertati rispetto a quelli dichiarati; il ricorrente in proposito omette di indicare i ricavi dichiarati laddove, nel controricorso l’agenzia ha avuto cura di specificare che per l’anno di imposta 2006 i ricavi dichiarati erano stati di gran lunga superiori a quelli degli anni pregressi;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in Euro 11.000, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2021

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