Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10440 del 29/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/04/2010, (ud. 05/02/2010, dep. 29/04/2010), n.10440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 29625-2008 proposto da:

Z.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato BARBANTINI MARIA TERESA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DATI SERGIO, giusta mandato in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, in persona del Dirigente con incarico di livello generale

e con funzioni di Direttore Centrale Risorse Umane, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio

dell’avvocato VUOSO LUCIO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato COLAIOCCO ARNALDO, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 372/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

29/05/08, depositata il 19/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato Maria Teresa Barbantini, (delega avvocato Dati

Sergio), difensore del ricorrente che si riporta agli scritti e

chiede l’accoglimento del ricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. RICCARDO FUZIO che ha

concluso per l’infondatezza del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 19 settembre 2008 la Corte di appello di Bologna, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda avanzata nei confronti dell’INAIL dal dott. Z. L., e diretta ad ottenere la trasformazione a tempo indeterminato – ai sensi dell’art. 10, comma 18, dell’accordo di cui al D.P.R. n. 271 del 2000 per i medici specialisti ambulatoriali come recepito, con modifiche, dall’Istituto con Delib. 21 giugno 2001, n. 355 – del rapporto libero professionale instauratosi a seguito di incarico provvisorio conferitogli dal predetto ente per la durata di tre mesi.

Per quanto ancora qui interessa, la Corte territoriale ha ritenuto che i rapporti di lavoro in questione, da qualificarsi come incarichi d’opera libero professionale regolati dall’art. 2230 cod. civ. e dalla contrattazione collettiva per medici specialisti ambulatoriali interni stipulata ai sensi della L. n. 833 del 1978, art. 48 e di cui al D.P.R. n. 271 del 2000, erano tutti a tempo determinato perchè conferiti in via provvisoria, a norma del citato D.P.R. n. 271 del 2000, art. 10, comma 8 e non quale incarico limitato nel tempo perchè finalizzato all’instaurazione di un successivo rapporto a tempo indeterminato, rientrante nell’ipotesi del diciottesimo comma della medesima norma, questo si da convertire in assenza di comunicazione della mancata conferma, secondo la previsione contrattuale, in incarico a tempo indeterminato.

Di questa sentenza il soccombente ha domandato la cassazione formulando un motivo.

L’INAIL ha resistito con controricorso.

Essendosi ravvisati i presupposti per la decisione del ricorso in camera di consiglio, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., poi ritualmente notificata alle parti e comunicata al Procuratore Generale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente denuncia vizi di motivazione e addebita alla sentenza impugnata di avere completamente trascurato di esaminare la circostanza che l’INAIL ha disciplinato il rapporto di lavoro intercorso con il dott. Z., attribuendo incarichi provvisori in modo illegittimo, reiterandoli negli anni per sopperire ad esigenze sostanzialmente stabili, mentre invece avrebbe dovuto fare riferimento alla procedura prevista dal D.P.R. 28 luglio 2000, n. 271, art. 10, da comma 1 a 4. Dopo avere riportato tali disposizioni, il ricorrente sostiene che la Corte territoriale si è limitata a distinguere gli incarichi provvisori dal predetto art. 10, commi 8 e 11 dal primo incarico previsto dai commi successivi, trascurando l’iter previsto in via generale dalla legge per la copertura del posto e di valutare la procedura eccezionale seguita dall’istituto nel caso del dott. Z.. Assume la contraddizione in cui è incorso il giudice del merito laddove ha escluso che la violazione delle norme procedurali possa determinare l’instaurazione del rapporto a cui quelle procedure sono finalizzate. Lamenta ancora la palese violazione della normativa prevista dal D.P.R. 271 del 2000, la quale prevede come regola generale il conferimento d’incarico a tempo determinato, ed in particolare del terzo comma dell’art. 28, per avere la Corte di merito affermato la rinnovabilità dell’incarico, contro il diverso tenore letterale di quella disposizione, secondo cui l’incarico di sostituzione non può superare la durata di sei mesi e non è rinnovabile.

Il ricorso è inammissibile.

Trattandosi di impugnazione proposta contro una sentenza di appello pubblicata dopo il 2 marzo 2006, si devono applicare le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e in particolare la disposizione introdotta dall’art. 366 bis cod. proc. civ., alla stregua della quale l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, e nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Qui, però, come sottolineato nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., l’unico motivo di ricorso non presenta, con riferimento al vizio riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, quella indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che circoscrivendo puntualmente i limiti della censura, consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso allorchè si lamentino vizi di motivazione, così come richiede la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze S.U. 1 ottobre 2007 n. 20603, 14 ottobre 2008 n. 25117, 30 ottobre 2008 n. 26014, oltre a quelle delle sezioni semplici nn. 7 aprile 2008 n. 8897, 4 febbraio 2008 n. 2652).

Si è infatti sottolineato che l’onere richiesto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., allorchè è denunciato il vizio di motivazione, non può ritenersi adempiuto quando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non della specifica indicazione fatta dal ricorrente, che il motivo concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale la motivazione sia contraddittoria o comunque insufficiente.

Sostiene il ricorrente in memoria che il ricorso contiene la precisazione che ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., la Corte di appello di Bologna con la sentenza impugnata ha completamente omesso di considerare che il D.P.R. n. 271 del 2000 faceva obbligo all’INAIL di coprire il turno assegnato al doti. Z. anzichè con incarichi provvisori (come di fatto avvenuto per tre anni e tredici diversi incarichi) utilizzando invece la procedura prevista dall’art. 10, primi quattro commi. Aggiunge che il fatto controverso rispetto al quale l’odierno ricorrente ritiene omessa la motivazione e appunto costituito dal disposto normativo contenuto nel D.P.R. n. 271 del 2000 che faceva obbligo … etc..

Ma la doglianza concernente la violazione delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 271 del 2000, art. 10, primi quattro commi riguarda un vizio riconducibile alla previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per il quale l’illustrazione del motivo deve concludersi a pena d’inammissibilità, secondo quanto dispone l’art. 366 bis cod. proc. civ., con l’enunciazione di un quesito di diritto, qui invece mancante. Peraltro, come è stato rimarcato nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., il ricorrente riferendosi alla violazione di quelle norme di diritto, non spiega quali gli errori in cui è incorso il giudice del merito nel ritenere corretta l’attribuzione di incarichi provvisori della durata di tre mesi piuttosto che a tempo indeterminato, tanto più che esso ricorrente era all’epoca del conferimento del primo incarico in possesso di un titolo di specializzazione (in dermatologia) diverso da quello della branca (ortopedia) in cui si era verificata la disponibilità.

Nè l’adempimento della prescrizione imposta con riferimento al quesito di diritto può ritenersi per la possibilità di desumerlo dalla esposizione della censura, non essendo in tal modo integrato lo schema legale stabilito dalla citata norma per la formulazione dei motivi del ricorso per cassazione. Si è infatti sottolineato che a tal fine non può considerarsi sufficiente una formulazione implicita del quesito dalla esposizione del motivo di ricorso, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. che ha introdotto il rispetto del requisito formale, il quale deve esprimersi nella enunciazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte (Cass. sez. unite 26 marzo 2007 n. 7258, Cass. 7 novembre 2007 n. 23153, Cass. 20 giugno 2008 n. 16941).

Nè, infine, a nulla rileva che la disposizione più volte richiamata dell’art. 366 bis cod. proc. civ. sia stata abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, avendo effetto tale abrogazione soltanto con riferimento alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione sia stato pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore della legge (art. 58, comma 5, della medesima normativa).

Va dunque dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’INAIL, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 30,00 e in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per onorari.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2010

 

 

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