Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10439 del 27/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/04/2017, (ud. 01/02/2017, dep.27/04/2017),  n. 10439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22423/2015 proposto da:

SOIL GEO S.R.L. IN AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA P.I. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 28, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO ERRANTE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALESSANDRO DUCA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CAMPELLO SUL CLITUNNO 20, presso lo studio dell’avvocato SABRINA

GALDIERI, rappresentato e difeso dall’avvocato MELCHIORRE

PISCITELLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1082/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 24/07/2015 R.G.N. 412/15;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo di ricorso.

udito l’Avvocato SABRINA GUALTIERI per delega Avvocato MELCHIORRE

PISCITELLO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 6.5.15, la SOIL GEO s.r.l. in amministrazione giudiziaria, proponeva reclamo avverso la sentenza n. 896/15 del Tribunale di Palermo con la quale era stata respinta l’opposizione avverso l’ordinanza emessa il 29.9.14 dallo stesso Tribunale e venne annullato il licenziamento intimato dalla società nei confronti di C.A. in data 8.7.13, condannandola alla reintegra nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, dedotto l’aliunde perceptum. Resisteva il C..

Con sentenza depositata il 24 luglio 2015, la Corte d’appello di Palermo rigettava il reclamo compensando le spese.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a due motivi.

Resiste il C. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia il difetto di giurisdizione del giudice a quo ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 57 e segg., ed all’uopo rileva che la Soil Geo s.r.l. è in amministrazione giudiziaria giusta provvedimento del Tribunale di Palermo, Sezione misure di prevenzione, del 20.7.2012, reso ai sensi della detta “normativa antimafia”, con conseguente temporaneo difetto di giurisdizione del giudice civile ordinario, tale da rendere improponibile od improseguibile la domanda, dovendo applicarsi la specifica e dettagliata procedura, prevista dagli artt. 57 e segg. del citato D.Lgs., per l’accertamento dei crediti dei terzi interamente devoluta al Tribunale che ha emesso il provvedimento di sequestro.

L’eccezione di difetto di giurisdizione è ammissibile, stante l’assenza di giudicato implicito formatosi sulla pronuncia di merito, ove la questione non sia stata sollevata nei gradi anteriori di giudizio” (v. Cass. 26-92013 n. 22097, Cass. 10-7-2013 n. 17056, Cass. S.U. 22-4-2013 n. 9693).

Essa è tuttavia infondata.

Deve infatti considerarsi che la questione relativa all’attribuzione al giudice ordinario penale o civile della “potestas iudicandi” su di una determinata controversia non pone un problema di riparto di giurisdizione, cioè di delimitazione della giurisdizione ordinaria nei confronti di quella amministrativa o speciale, ma investe la suddivisione delle competenze tra diversi giudici ugualmente esercitanti la giurisdizione ordinaria (Cass. S.U. n. 18189/13).

Sotto il profilo di giurisdizione denunciato, la censura è dunque infondata.

Anche a volerla qualificare come una questione di competenza, dovrebbe pregiudizialmente rilevarsi che essa verrebbe per la prima volta sollevata, inammissibilmente, in sede di legittimità (Cass. n. 3753 /02).

In ogni caso, per completezza espositiva, deve rilevarsi che non è ravvisabile neppure un difetto di competenza funzionale rispetto alla predetta sezione misure di prevenzione del Tribunale penale di Palermo, posto che non vi è alcuna norma, nell’ambito del citato D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che consenta di ritenere che, oltre all’autorizzazione per l’esercizio dell’impresa (art. 41) sottoposta, come nella specie, al sequestro previsto dal capo 1^ del titolo 2^, con nomina di un giudice delegato alla procedura e un amministratore giudiziario (art. 35, comma 1), sussista, oltre al parere (nella specie già espresso) del giudice delegato sulla opportunità del recesso da parte dell’amministratore giudiziario dai rapporti di lavoro instaurati, una ulteriore competenza (tanto meno esclusiva) del giudice delegato in ordine alle controversie che possano instaurarsi a seguito del detto recesso.

L’art. 41, dispone infatti solo che: “L’amministratore giudiziario provvede agli atti di ordinaria amministrazione funzionali all’attività economica dell’azienda. Il giudice delegato, tenuto conto dell’attività economica svolta dall’azienda, della forza lavoro da essa occupata, della sua capacità produttiva e del suo mercato di riferimento, può con decreto motivato indicare il limite di valore entro il quale gli atti si ritengono di ordinaria amministrazione…”.

Del resto gli artt. 56 e 57 del cd. codice antimafia, invocati dalla ricorrente, riguardano, il primo, i rapporti contrattuali pendenti al momento dell’esecuzione del sequestro (nella specie irrilevante essendo stato il C. assunto prima del sequestro), mentre l’art. 57 riguarda, sulla falsariga della procedura fallimentare, la disciplina dei crediti vantati nei confronti dell’azienda sottoposta ad amministrazione giudiziale.

Non vi è dunque alcuna norma che consenta di ritenere sussistente una competenza funzionale esclusiva della sezione misure di prevenzione del Tribunale penale in ordine al recesso, da parte dell’amministratore giudiziario, nei confronti di un dipendente di impresa sottoposta ad amministrazione giudiziaria ai sensi del ridetto D.Lgs. n. 159 del 2011.

Il motivo è dunque infondato.

2.- Con il secondo motivo la società denuncia la violazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 35 e 56 e della L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18. La ricorrente, in sostanza, lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato la normativa del codice antimafia, in quanto, pur riconoscendo la natura speciale e di ordine pubblico della stessa (“stante la fonte iure imperi del fatto risolutivo occorso nella vicenda in esame”), ritenne poi nella specie violato della L. n. 300 del 1970, il detto art. 7, per l’avvenuta consumazione del potere disciplinare (considerate precedenti contestazioni sanzionate con sanzioni conservative) e l’assenza di contestazione per la mancanza più grave consistente nel “comportamento ostruzionistico tenuto nei confronti dell’Amministrazione giudiziaria”, in contrasto col D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 56. In particolare la ricorrente rileva che tale ultima norma trova applicazione anche ai rapporti di lavoro ed in specie a quei rapporti che in virtù della previsione di cui all’art. 35 dello stesso D.Lgs., non possono essere proseguiti, per cui l’amministratore giudiziario può risolverli, come è avvenuto nel caso in esame, su autorizzazione del Giudice.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. n. 14467/15) che il D.Lgs. n. 159 del 2011, all’art. 41, comma 4, stabilisce che “I rapporti giuridici connessi all’amministrazione dell’azienda sono regolati dalle norme del codice civile, ove non espressamente disposto” e all’art. 56, (“Rapporti pendenti”) dispone che “1. Se al momento dell’esecuzione del sequestro un contratto relativo al bene o all’azienda sequestrata è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti, l’esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando l’amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del proposto, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di risolvere il contratto, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto”. Lo stesso D.Lgs. all’art. 35, comma 3 stabilisce, poi, che “Non possono essere nominate le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi, nè le persone condannate ad una pena che importi l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione. Le stesse persone non possono, altresì, svolgere le funzioni di ausiliario o di collaboratore dell’amministratore giudiziario”. Essendo evidente il carattere speciale della normativa e la finalità di ordine pubblico, che non può che comprendere tutti i contratti relativi al bene e all’azienda sequestrata, nonchè tutti i rapporti di collaborazione con le persone indicate, deve affermarsi la applicabilità della normativa speciale anche ai rapporti di lavoro, per i quali, quindi (al di là di quanto previsto dalla normativa ordinaria, che resta applicabile “ove non espressamente disposto”), è prevista, tra l’altro, una risoluzione del rapporto con recesso da parte dell’amministratore giudiziario, autorizzato dal giudice, nei confronti dei soggetti indicati dall’art. 35, tra cui rientra il C..

In tal caso è la stessa legge speciale che, in ragione della finalità di ordine pubblico, prevede la giustificazione del licenziamento, che, del resto, non ha natura disciplinare.

Nella specie la Corte di merito, seppure correttamente ha ritenuto “la fonte iure imperii (recte: di ordine pubblico) del fatto risolutivo occorso”, non ha applicato compiutamente la normativa speciale ed ha erroneamente ritenuto che nella specie sia stato violato la L. n. 300 del 1970, art. 7.

Ciò basta ad accogliere il ricorso con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa viene decisa nel merito direttamente da questa Corte con il rigetto dell’originaria domanda proposta dal C..

La particolarità della questione consiglia la compensazione delle spese afferenti la fase di merito, mentre quelle del presente giudizio di legittimità, considerato il recente arresto di questa Corte in materia, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ala censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda proposta dal C.. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite inerenti il giudizio di merito e condanna il C. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017

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