Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10435 del 27/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/04/2017, (ud. 26/01/2017, dep.27/04/2017),  n. 10435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21412/2014 proposto da:

M.F., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO BENINI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 209/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 05/03/2014 R.G.N. 644/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2017 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato CARLO BENINI;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega VERBALE avvocato ROBERTO

PESSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 5 marzo 2014, la Corte d’Appello di Bologna, confermava la decisione resa dal Tribunale di Ravenna e rigettava la domanda proposta da M.F. nei confronti di Poste Italiane S.p.A, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli quale sanzione disciplinare a fronte dell’addebito consistito nell’aver negoziato presso l’ufficio postale e lo sportello ove egli operava assegni bancari contraffatti e recanti firme apocrife in precedenza sottratti.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità per genericità del gravame sollevata dalla Società allora appellata, parimenti infondata l’eccezione proposta dall’odierno ricorrente in ordine alla tardività della contestazione ed alla conseguente lesione del diritto di difesa, proporzionata sotto il profilo oggettivo e soggettivo la sanzione alla condotta addebitata ammessa dall’odierno ricorrente e comunque provata.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il M., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la Società, che ha poi presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in una con l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, imputa alla Corte territoriale l’omessa considerazione di elementi comprovanti la tardività della contestazione. La medesima censura, relativa alla violazione del principio di immediatezza della contestazione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, è riproposta con il secondo motivo in relazione all’incongruità della motivazione circa la rilevanza del segreto istruttorio ai fini del differimento della contestazione.

Il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2105, 2106 c.c., ed al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, è inteso a censurare, sotto il profilo dell’omessa considerazione delle caratteristiche oggettive e soggettive della condotta, il giudizio di proporzionalità della sanzione espresso dalla Corte territoriale.

I primi due motivi, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati, atteso che, data per ammessa dalla stessa Corte territoriale la conoscenza almeno parziale da parte della Società datrice dei fatti poi addebitati con la contestazione disciplinare, il che vale a vanificare le censure di cui al primo motivo con cui si imputa alla Corte medesima di non aver tenuto in considerazione tale dato, il ritardo della contestazione, che nel secondo motivo si assume incongruamente motivato, così da integrare la violazione del principio di immediatezza della contestazione, viene, viceversa, giustificato, in consonanza con l’orientamento accolto da questa Corte circa la necessità di intendere in termini relativi il rispetto del principio di immediatezza della contestazione, richiamandosi a quelle ragioni oggettive idonee a ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati all’uopo invocate nella predetta giurisprudenza (quali il tempo necessario all’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti, specie a fronte di condotte articolate in una pluralità di episodi che sollecitano una valutazione unitaria o la complessità dell’organizzazione aziendale o, nella specie, l’esigenza di rispetto del segreto istruttorio) e contemperandole con l’esigenza di garantire il diritto di difesa del lavoratore, sulla base di un iter valutativo che dà ampiamente conto della effettiva ricorrenza di quelle ragioni e della mancata compromissione del diritto di difesa e registra la tempestività della reazione della Società datrice una volta venuto meno qualsiasi oggettivo impedimento, in particolare sottolineando, con affermazione non fatta oggetto di specifica censura, come la contestazione fosse stata comunicata il 7.8.2009 “immediatamente dopo aver acquisito i primi riscontri dell’ispezione eseguita dalla struttura per la tutela aziendale (Fraud Management)” conclusasi con la relazione del 14.7.2009.

Parimenti infondato si appalesa il terzo motivo atteso che il giudizio di proporzionalità della sanzione irrogata, qui censurato per risultare carente della valutazione di circostanze quali, la carenza di danno per la Società datrice, la condotta pregressa e la possibilità di essere impiegato in altre mansioni (sic!), risulta congruamente motivato sul piano logico e giuridico in relazione alle caratteristiche oggettive (la natura di illecito penalmente rilevante e la sua reiterazione nel tempo) e soggettive (la preordinazione dolosa ed il grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni), così da dar conto del ritenuto definitivo venir meno del vincolo fiduciario tra le parti.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017

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