Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10434 del 20/04/2021

Cassazione civile sez. III, 20/04/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 20/04/2021), n.10434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28808-2019 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CESARE

PAVESE, 141, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO VALENZA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 26/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Il ricorrente S.D. è cittadino del (OMISSIS), da cui ha raccontato di essere fuggito per evitare una persecuzione dovuta alla sua religione: ha riferito di essersi convertito al (OMISSIS) dopo che, avendo perso i genitori, era stato ospitato, già adolescente, da un benefattore di fede, per l’appunto, (OMISSIS), il rapporto con il quale aveva determinato la sua conversione.

Lo zio e quel che rimaneva però della sua famiglia di origine hanno avversato la conversione di S. e durante un incontro fatto apparentemente per chiarirsi, proprio lo zio ha accoltellato il benefattore responsabile della conversione del ricorrente. La situazione è così degenerata al punto da creare uno scontro all’interno del villaggio e del clan familiare ed il ricorrente, per sfuggirvi, è andato via, passando per la Libia, dove è stato tenuto in condizioni di schiavitù, prima di poter giungere in Italia.

Il Tribunale ha ritenuto fondato il giudizio di inverosimiglianza fatto dalla Commissione territoriale ed ha negato le forme di protezione richieste, ritenendo inoltre non riscontrabile in (OMISSIS) quel clima di conflitto armato generalizzato che giustifica la concessione della protezione internazionale ed ha altresì negato i presupposti per la concessione della umanitaria, non ravvisando situazioni soggettive ostative al rimpatrio.

S.D. ricorre con tre motivi. V’è costituzione del Ministero.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

p..- Con il primo motivo il ricorrente denuncia genericamente violazione di legge ed inoltre motivazione apparente.

Il rilievo riguarda il giudizio di credibilità del racconto. Secondo il ricorrente la corte non avrebbe adeguatamente motivato il suo convincimento.

Il rilievo però, pur ammissibile, in quanto il giudizio di credibilità è, si, un giudizio di fatto, ma censurabile per difetto di motivazione ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non è però fondato, in quanto il Tribunale, davanti a cui il ricorrente è stato nuovamente sentito, ha riportato il giudizio della commissione territoriale ed ha ritenuto di condividerlo, motivando dunque per relationem ed anzi indicando espressamente gli aspetti di contraddittorietà o comunque inverosimiglianza espressamente condivisi, soprattutto quanto alla tempestività della conversione.

La motivazione per relationem è consentita purchè il giudice dia conto delle ragioni di adesione e comunque quando non vi siano elementi nuovi rispetto alla motivazione di riferimento (Cass. 28139/2018): nel caso presente, si dà atto della ragione di adesione e comunque risulta che il ricorrente ha ribadito davanti al Tribunale la medesima versione resa davanti alla commissione.

p..- Il secondo motivo denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e L. n. 25 del 2008, art. 27.

E’ una censura che sembra riferita sia al giudizio sulla protezione internazionale sia a quello sulla umanitaria (quest’ultima discussa a pagina 10), rispetto alle quali si avanza una comune ed unica doglianza, ossia quella relativa al mancato ricorso ai poteri istruttori officiosi per l’accertamento del fatto narrato.

Il ricorrente ritiene (p. 12 e ss.) che la corte aveva a disposizione tutta la documentazione necessaria per credere al suo racconto e l’ha però disattesa.

Si tratta di un motivo che non si confronta con la motivazione, consistendo in un generico richiamo alle norme sulla protezione internazionale senza però una diretta censura della ratio della decisione impugnata.

Quanto all’onere della prova, è parimenti inammissibile dal momento che censura la mancata valutazione del materiale probatorio offerto, che è giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il quale peraltro non ha disatteso quel materiale, ma ha ritenuto inverosimile il racconto per via della genericità e contraddittorietà proprio delle circostanze allegate.

p..- Il terzo motivo denuncia violazione della Convenzione di Ginevra del 1951 nonchè dell’art. 13 TU 286 del 1998. Ritiene il ricorrente un totale difetto di motivazione quanto ai pericoli in caso di rimpatrio, per via della violazione sistematica dei diritti fondamentali in (OMISSIS) (a dire il vero, ma forse per refuso, a pagina 16 si menziona la Turchia).

Il motivo è inammissibile.

Intanto sembrerebbe essere limitato al diniego della protezione sussidiaria, in quanto si richiama la giurisprudenza sulla regola di cui alla L. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Inteso in tali termini, a fronte di un giudizio del Tribunale di inesistenza di un conflitto armato generalizzato (p.34), il ricorrente non oppone alcunchè di diverso per smentire quella ratio neanche quanto alla protezione umanitaria, ove si volesse intendere il motivo esteso anche a quest’ultima forma di tutela, in quanto a fronte della ratio della decisione, di assenza di situazioni soggettive di vulnerabilità, il ricorrente non ne indica alcuna di rilevante.

Il ricorso va dunque rigettato.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021

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