Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10434 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 03/06/2020), n.10434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 35929-2018 R.G. proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via Ludovisi,

n. 36, presso lo studio dell’avvocato Cotroneo Attilio, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Dardanelli, n. 13, presso lo studio dell’avvocato Alesii Leonardo,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 370/2018 della Corte d’appello di Reggio

Calabria, depositata il 06/06/2018;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12 dicembre 2019 dal Consigliere Dott. D’Arrigo

Cosimo.

Fatto

RITENUTO

La Ferrovie dello Stato s.p.a. (oggi Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.) proponeva opposizione avverso un pignoramento presso terzi effettuato, nel 1998, da P.D. per il recupero del credito di lire 1.325.580 risultante da una sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Locri.

Il giudice dell’esecuzione, sospeso il processo esecutivo in relazione all’importo oggetto di contestazione, assegnava alle parti un termine per riassumere il giudizio nel merito innanzi al Giudice di pace di Reggio Calabria. Quest’ultimo, ritenendo che la controversia vertesse in materia di lavoro, con sentenza del 28 marzo 2000 dichiarava la propria incompetenza e assegnava alle parti un termine di 90 giorni per riassumere la causa innanzi al giudice del lavoro. La causa di opposizione non veniva riassunta.

Con ricorso depositato il 5 febbraio 2005, il P. riassumeva, la procedura esecutiva sospesa, chiedendo l’assegnazione delle somme. All’udienza a tal fine stabilita, la R.F.I. s.p.a. eccepiva l’intervenuta estinzione del processo esecutivo, sostenendo che il termine per riassumerlo fosse iniziato a decorrere dalla pubblicazione della sentenza del Giudice di pace ovvero dalla scadenza del termine da questi assegnato per riassumere la causa di merito innanzi al giudice del lavoro.

Il giudice dell’esecuzione rigettava l’eccezione, assegnando le somme richieste dal P..

L’ordinanza veniva reclamata da R.F.I. s.p.a. ai sensi dell’art. 630 c.p.c., comma 3. Il Tribunale di Reggio Calabria accoglieva il reclamo e, per l’effetto, dichiarava l’estinzione della procedura esecutiva presso terzi.

Il P. appellava la sentenza per cinque motivi. Nel contraddittorio con R.F.I. s.p.a., la Corte d’appello di Reggio Calabria riteneva “inconsistenti” i primi due motivi ma, assorbiti il terzo ed il quinto, accoglieva il quarto, compensando fra le parti le spese del grado “stante la particolarità della materia trattata ed in considerazione del parziale accoglimento dei motivi di gravame”. Avverso tale sentenza il P. ricorre per cassazione, articolando tre motivi. La R.F.I. s.p.a. resiste con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e, conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

In via preliminare la R.F.I. s.p.a. ha eccepito la carenza di specificità e la conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. L’eccezione è manifestamente infondata, in quanto la lettura del ricorso consente l’esatta individuazione del capo della sentenza impugnata e del suo contenuto.

Venendo all’esame del ricorso, con il primo motivo il P. denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

In particolare, il ricorrente si lamenta della circostanza che il giudice d’appello abbia compensato le spese di lite, anzichè liquidarle a suo favore, nonostante l’appello da lui proposto fosse stato accolto. Osserva che non è dato comprendere quale sia la “particolarità della materia trattata” e che l’impugnazione, sebbene in ragione di uno solo dei cinque motivi prospettati, era stata comunque interamente accolta.

Il motivo è inammissibile.

Il giudizio di che trattasi è stato introdotto in primo grado nel 2005. Nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005 n. 26, art. 2, comma 1, lett. a (applicabile solo per i giudizi instaurati in data successiva al 1 marzo 2006), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” doveva trovare un adeguato supporto motivazionale, ma non era necessaria l’adozione di motivazioni specifiche, essendo sufficiente che le ragioni giustificatrici della scelta di compensare le spese di lite fossero chiaramente e univocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (Sez. U, Sentenza n. 20598 del 30/07/2008, Rv. 604398 – 01; Sez. L, Sentenza n. 7523 del 27/03/2009, Rv. 607430 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 20457 del 06/10/2011, Rv. 619315 – 01).

Tali ragioni sono chiaramente indicate dalla Corte d’appello, anzitutto, nella specificità della materia trattata, con evidente riferimento non solo alla rara ricorrenza dei reclami proposti ai sensi dell’art. 630 c.p.c., comma 3, ma anche alla peculiarità della vicenda, nella quale la pretesa decadenza del creditore dal termine per la riassunzione previsto dall’art. 627 c.p.c. si intreccia con la decadenza dell’opponente dal termine assegnato del giudice del merito per la riassunzione dell’opposizione innanzi al giudice competente. In secondo luogo, la corte territoriale ha posto l’accento sulla circostanza che dei cinque motivi di gravame indicati dal P. solo uno fosse fondato, circostanza ritenuta meritevole di apprezzamento nell’ambito del bilanciamento dell’onere di sopportazione delle spese processuali.

Tali motivazioni, rientrando nell’ambito delle valutazioni riservate al giudice di merito, non sono censurabili in questa sede.

Con il secondo ed il terzo motivo il P. denuncia la violazione degli artt. 627 e 630 c.p.c. nonchè dell’art. 12 preleggi. Le censure sono volte a contestare la decisione impugnata nella parte in cui non ha accolto (testualmente, ha ritenuto “inconsistenti”) i primi due motivi di appello.

Il ricorrente, tuttavia, precisa a pagina 5 del ricorso che tali motivi sono proposti “in via subordinata e/o condizionata, nella denegata ipotesi in cui Codesto Supremo Collegio dovesse ritenere che la disposta compensazione delle spese sia sorretta da “soccombenza reciproca””.

In realtà, così non è, dal momento che la sentenza impugnata non fa alcun riferimento all’ipotesi della soccombenza reciproca. La compensazione delle spese processuali è fondata, come si è già detto, sulla sussistenza di “giusti motivi”, in considerazione della specificità della materia trattata e della fondatezza di solo uno dei motivi di appello.

Come sostiene pure lo stesso ricorrente, la limitata fondatezza dei motivi di appello non dà luogo ad un’ipotesi di soccombenza reciproca. In ogni caso, non è questa la ratio decidendi della sentenza impugnata, che fa leva esclusivamente sulla ricorrenza di “giusti motivi”.

Pertanto, il secondo e il terzo motivo di ricorso, prospettati solo qualora si fosse ritenuta l’ipotesi opposta, sono inammissibili.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione proposta.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.150,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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