Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10431 del 27/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/04/2017, (ud. 19/01/2017, dep.27/04/2017),  n. 10431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8216/2011 proposto da:

C.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO

ROMANELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIANFRANCO DE BERTOLINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CASSA ITALIANA PREVIDENZA E ASSISTENZA GEOMETRI LIBERI

PROFESSIONISTI, C.F. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

CASSA ITALIANA PREVIDENZA E ASSISTENZA GEOMETRI LIBERI PROFESSIONISTI

C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 108, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO SCONOCCHIA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MAURIZIO CINELLI, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.G. C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 14/2010 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 31/03/2010 R.G.N. 35/09;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato BRUNO SCONOCCHIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 31.3.2010, la Corte d’appello di Trento, in parziale riforma della pronuncia di primo grado ed in parziale accoglimento della domanda introduttiva del giudizio, condannava la Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti, a corrispondere a C.G. la pensione di anzianità sulla scorta di 37 anni di contribuzione effettiva.

La Corte, in particolare, riteneva che l’appellante fosse decaduto dal diritto di chiedere la ricongiunzione presso la Cassa dell’ulteriore periodo di contribuzione accreditata presso l’INPS, dal momento che il ritardo con cui gli era stato comunicato il provvedimento di liquidazione degli oneri della ricongiunzione non lo esimeva dal presentare la domanda di rateazione entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione, e, sotto altro profilo, che avesse errato il giudice di prime cure nell’escludere dal computo dell’anzianità contributiva i periodi per i quali il pensionato aveva pagato i contributi, ancorchè non le sanzioni civili dovute per il ritardo nell’adempimento.

Contro tali statuizioni ricorre C.G., con due motivi di censura. La Cassa resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale fondato su un motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso principale, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 45 del 1990, art. 4, nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto che il ritardo con cui gli era stato comunicato il provvedimento liquidatorio degli oneri di ricongiunzione, pur determinando l’obbligo in capo all’ente di rifondergli eventuali danni, non impedisse il successivo decorso del termine di decadenza di 60 giorni per la presentazione della domanda di rateazione.

Con il secondo motivo del ricorso principale, il ricorrente si duole di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per avere la Corte territoriale ritenuto che egli non avesse dato prova di non poter adempiere agli oneri di ricongiunzione.

Ciò posto, il primo motivo è infondato.

La L. n. 45 del 1990, art. 4, comma 2, dopo aver stabilito che “Entro centottanta giorni dalla data della domanda, la gestione presso cui si accentra la posizione assicurativa comunica all’interessato l’ammontare dell’onere a suo carico nonchè il prospetto delle possibili rateizzazioni”, prevede che “Ove la relativa somma non sia versata, in tutto o almeno per la parte corrispondente alle prime tre rate, alla gestione di cui sopra entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della comunicazione, o non sia presentata entro lo stesso termine la domanda di rateazione (…), s’intende che l’interessato abbia rinunciato alle facoltà di cui all’art. 1”, vale a dire alla facoltà di “chiedere la ricongiunzione di tutti i periodi di contribuzione” già accreditati presso le varie “forme obbligatorie di previdenza per liberi professionisti”.

Ora, nella struttura lessicale della disposizione (significativamente rubricata “Adempimenti gestionali e criteri di trasferimento”), la necessità che l’assicurato provveda “entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della comunicazione” al versamento delle prime tre rate o alla presentazione della domanda di rateazione di cui al precedente art. 2, comma 3, è del tutto indipendente dalla tempestività con cui detta comunicazione gli viene effettuata. La circostanza che la comunicazione sia tempestiva può senz’altro incidere – come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata, sulla scorta di Cass. n. 16131 del 2005 – ai fini di valutare la correttezza dell’adempimento della Cassa nel dare attuazione al negozio bilaterale di ricongiunzione, ma non certo al fine di sollevare ex se l’assicurato dall’onere di attivarsi nei successivi sessanta giorni dal suo ricevimento per provvedere al pagamento o presentare la domanda di rateazione, trattandosi di onere che la disposizione citata ricollega (sotto pena di ritenere che “l’interessato abbia rinunciato” alla ricongiunzione) alla “ricezione della comunicazione” e non di una “comunicazione tempestiva”. Nè potrebbe derivarsi dal ritardo della comunicazione una nullità del decreto di liquidazione tale da inibire il successivo decorso del termine di sessanta giorni, giacchè la disposizione in esame mira a cadenzare gli adempimenti cui sono tenute le parti in attuazione del negozio di ricongiunzione e l’adempimento, di norma, è atto non negoziale (cfr. Cass. nn. 3856 del 1978 e, più recentemente, 5892 del 2007), al quale non sono dunque riferibili predicati propri del contratto (arg. ex art. 1324 c.c.: cfr. da ult. Cass. n. 20345 del 2015).

Parimenti infondato è il secondo motivo.

La Corte territoriale, infatti, ha motivato l’accertamento secondo cui l’odierno ricorrente non avrebbe dato prova del fatto che, qualora fosse stato dato riscontro tempestivo alla sua domanda, avrebbe potuto far fronte all’onere della ricongiunzione, mentre non lo era più al momento in cui la comunicazione gli è pervenuta, sulla scorta dell’insufficienza, a tal fine, delle “denunce dei redditi”, con tale espressione evidentemente intendendo alludere alle risultanze reddituali denunciate dal ricorrente ai fini contributivi nei documenti di cui, nel ricorso, si lamenta invece l’omesso esame. E trattasi – come puntualmente osservato dalla Cassa nel proprio controricorso – di accertamento affatto congruo, non potendo inferirsi dalla mera fluttuazione del reddito personale alcun elemento sufficiente a far ritenere che il ritardo nella comunicazione abbia di per se stesso impedito di effettuare i conseguenti pagamenti, donde l’impossibilità di costruire il necessario rapporto causale tra l’inadempimento della Cassa e il pregiudizio pensionistico patito in conseguenza del difetto di ricongiunzione.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 773 del 1982, art. 3, comma 1, in relazione al successivo art. 18, per come recepiti rispettivamente dall’art. 3 del Regolamento per le prestazioni e dall’art. 37 del Regolamento sulla contribuzione adottati dalla Cassa ex D.Lgs. n. 509 del 1994, nonchè degli artt. 1460, 1886, 1901 e 1924 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che, ai fini del riconoscimento dell’anzianità contributiva utile per la pensione di anzianità, potessero rilevare anche le annualità per le quali l’assicurato aveva estinto l’obbligazione contributiva, pur risultando ancora in debito per le sanzioni.

Il motivo è fondato.

La Corte territoriale ha motivato il proprio arresto sulla scorta di un risalente orientamento di questa Corte di legittimità, secondo cui le sanzioni civili pecuniarie irrogate al datore di lavoro per l’omesso o ritardato pagamento dei contributi avrebbero natura diversa rispetto all’obbligazione contributiva, giacchè, mentre lo scopo di quest’ultima andrebbe ravvisato nella costituzione presso l’ente gestore della provvista necessaria all’erogazione delle prestazioni previdenziali e assistenziali, finalità della sanzione civile sarebbe piuttosto il rafforzamento dell’obbligazione contributiva mediante l’irrogazione di una pena pecuniaria al trasgressore, di talchè la sua innegabile funzione accessoria rispetto all’obbligazione contributiva non varrebbe ad annullare le sostanziali differenze esistenti tra di esse, prima fra tutte quella relativa al regime prescrizionale applicabile (in termini, Cass. n. 18148 del 2006 e, più recentemente, Cass. n. 14864 del 2011).

Si tratta, tuttavia, di un orientamento che è stato prima disatteso da Cass. n. 2620 del 2012, che – richiamando l’antitetico orientamento di Cass. n. 9054 del 2004 – ha all’opposto affermato l’identità di natura giuridica del credito per le sanzioni civili rispetto a quello dell’obbligazione principale, con conseguente assoggettamento di entrambi al medesimo regime prescrizionale, e quindi definitivamente superato da Cass. S.U. n. 5076 del 2015, che – nel confermare la sottoposizione dell’obbligazione contributiva e di quella per le sanzioni alla medesima disciplina della prescrizione – ha espressamente affermato che l’automatismo della sanzione civile rispetto all’omesso o ritardato adempimento dell’obbligazione contributiva si traduce in un vincolo che non solo incide geneticamente sul rapporto dell’una rispetto all’altra, ma si estende funzionalmente anche dopo l’irrogazione della sanzione, sì che le vicende che attengono all’omesso o ritardato pagamento dei contributi non possono non riguardare, proprio per il rilevato legame di automaticità funzionale, anche le somme aggiuntive, che al debito contributivo rimangono continuativamente collegate in via giuridica.

Vero è che le Sezioni Unite, nella pronuncia cit., non hanno mancato di rimarcare come una costruzione siffatta renda sostanzialmente irrilevante il problema della natura giuridica delle sanzioni rispetto ai contributi, trattandosi piuttosto di sottolineare il vincolo funzionale che esiste fra le due. Ma non è meno vero che detta pronuncia argomenta le proprie conclusioni muovendo dalla peculiarità ch’è propria delle sanzioni civili per l’omesso o ritardato pagamento di contributi, le quali non rivestono la natura afflittiva propria delle sanzioni amministrative e di quelle tributarie (al punto che per esse non opera il principio di intrasmissibilità agli eredi che è tipico di queste ultime), costituendo piuttosto una sorta di predeterminazione legale del danno cagionato all’ente previdenziale.

Così ricostruita la fattispecie, risulta evidente la violazione di legge in cui è incorsa la sentenza impugnata. Posto infatti che nel regime previdenziale proprio dei liberi professionisti non trova applicazione il principio di automaticità delle prestazioni di cui all’art. 2116 c.c., per modo che l’erogazione delle provvidenze non è collegata alla maturazione dei presupposti per il sorgere dell’obbligazione contributiva ma al suo integrale adempimento (cfr. in tal senso Cass. nn. 6340 del 2005 e 23164 del 2007), deve ritenersi che l’integralità dell’adempimento, richiesta dalla L. n. 773 del 1982, art. 3, al fine di riconoscere il diritto alla pensione di anzianità, debba concernere non soltanto l’obbligazione principale, relativa ai contributi, ma, in ragione del vincolo di dipendenza genetico-funzionale di cui s’è detto, anche quella accessoria, afferente alle sanzioni civili: al riguardo trova infatti applicazione (giusta il rinvio generale operato dall’art. 1886 c.c.) l’art. 1901 c.c., che – nella misura in cui abilita l’assicuratore a sospendere la garanzia in caso di mancato pagamento del premio – è deputato in specie a salvaguardare l’equilibrio economico e la solvibilità dell’ente previdenziale a fronte del mancato adempimento dell’assicurato, in ragione della già richiamata caratteristica delle sanzioni di costituire una predeterminazione legale del danno cagionato all’ente previdenziale.

Conclusivamente, va rigettato il ricorso principale e accolto il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di merito, va rigettata la domanda di C.G. volta al conseguimento della pensione di anzianità. La complessità della vicenda e il pregresso contrasto giurisprudenziale costituiscono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero processo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da C.G.. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017

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