Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10428 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 03/06/2020), n.10428

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3718-2018 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 77,

presso lo studio dell’avvocato ALBERINI LUCIANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MERCANTI FILIPPO;

– ricorrente –

contro

T.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CARAVITA 5,

presso lo studio dell’avvocato SARDO GAETANO MASSIMO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3805/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI

MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2003 T.P. e M.T. rimasero coinvolti in un incidente sciistico.

Nel 2005 T.P. convenne dinanzi al Tribunale di Roma M.T., chiedendo che il Tribunale accertasse la propria assenza di responsabilità nella causazione del suddetto incidente.

M.T. si costituì e, assumendo che responsabile dello scontro fosse l’attore, chiese in via riconvenzionale la condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’urto e della conseguente caduta.

2. Con sentenza 4 marzo 2009 n. 4911 il Tribunale di Roma escluse che T.P. potesse considerarsi responsabile dell’incidente, e di conseguenza rigettò la domanda riconvenzionale.

La sentenza venne appellata da M.T..

3. La Corte d’appello di Roma con sentenza 7 giugno 2017 n. 3805 rigettò il gravame.

Ritenne la Corte d’appello che, negli attimi immediatamente precedenti l’impatto, i due sciatori stessero sciando in posizione parallela e simmetrica, e che fu l’improvvisa deviazione dalla traiettoria dal proprio percorso da parte di M.T. a determinare l’impatto con l’altro sciatore.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da C.R. (il quale si dichiara cessionario del credito contestato e vantato da M.T.), con ricorso fondato su cinque motivi.

T.P. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente, formalmente lamentando la violazione degli artt. 2700 e 2735 c.c., sostiene che la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione un rapporto della Polizia di Stato, allegato agli atti, nel quale erano contenute dichiarazioni di T.P., rilasciate nell’immediatezza del fatto, ed aventi contenuto confessorio.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Le norme sull’efficacia privilegiata degli atti pubblici (art. 2700 c.c.) e quelle sugli effetti della confessione stragiudiziale (art. 2735 c.c.) non possono certo dirsi violate sol perchè il giudice ritenga di espungere dal materiale rilevante ai fini della decisione un certo atto o fatto.

E’ noto, infatti, che il giudice di merito non ha l’obbligo di prendere in esame e confutare una per una tutte le fonti di prova raccolte nel corso dell’istruttoria, essendo sufficiente che gli si limiti a indicare l’iter logico seguito per pervenire alle proprie conclusioni.

L’omesso esame di una fonte di prova può essere censurato in sede di legittimità solo allorchè da tale omissione sia derivata la mancata considerazione di un fatto decisivo, secondo la previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nel caso di specie, tuttavia, nella illustrazione del primo motivo di ricorso non solo non si prospetta alcuna censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma soprattutto non viene evidenziata la decisività del fatto emergente dalla fonte di prova che si assume trascurata.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2733 c.c. e art. 116 c.p.c..

Nella illustrazione del motivo si sostiene che, nel corso del giudizio di primo grado, T.P. avrebbe reso dichiarazioni confessorie nel rispondere all’interrogatorio formale, le quali non sono state prese in esame del giudice d’appello.

2.1. Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni già indicate nella confutazione del primo motivo di ricorso.

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 345 c.p.c..

Lamenta che la Corte d’appello avrebbe fondato la propria decisione su un documento (una sentenza pronunciata dal Giudice di pace di Cavalese) prodotto dalla controparte soltanto nel grado di appello, ed inammissibilmente acquisito e utilizzato dalla Corte d’appello di Roma.

3.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello, infatti, pur ammettendo la suddetta produzione documentale, nella sostanza ha rigettato la domanda proposta dal dante causa dell’odierno ricorrente a causa della “mancanza di prove dirette sulla riferita dinamica dei fatta”, e non già perchè abbia ritenuto positivamente dimostrata la versione dei fatti dedotta da T.P..

Dal che consegue che il documento che l’odierno ricorrente assume illegittimamente acquisito non ha avuto efficacia determinante nel rigetto del gravame.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione della L.P. Trento 21 aprile 1987 n. 7, art. 51, e del relativo regolamento di esecuzione.

Deduce che T.P., in occasione del sinistro, avrebbe violato le norme di comportamento imposte agli utenti delle piste sciistiche dalla suddetta disciplina.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Violazione delle suddette norme vi sarebbe potuta essere soltanto in un caso: se il giudice di merito, dopo aver concretamente accertata la dinamica del sinistro, avesse mandato assolto da responsabilità quello, tra gli sciatori coinvolti, che aveva tenuto una condotta difforme dalle regole di comportamento prescritte dalla legge provinciale.

Nulla di tutto ciò è accaduto nel caso di specie, nel quale il giudice ha rigettato la domanda ritenendola non provata, e quindi senza accertare in concreto quale sia stata la condotta tenuta dalle due persone coinvolte nello scontro. Di talchè tutta la censura contenuta alle pagine 12-14 del ricorso si traduce in una inammissibile richiesta di rivalutazione delle prove.

5. Col quinto motivo il ricorrente lamenta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Lamenta che la Corte d’appello ha completamente omesso di prendere in esame i fatti e circostanze da lui poste a fondamento dei motivi precedentemente illustrate, e cioè:

-) che M.T. prima dello scontro stava effettuando una curva verso il centro della pista, provenendo dal lato sinistro di essa;

-) che al momento del sinistro procedeva in diagonale a bassa velocità;

-) di essere caduto dopo il contatto con gli sci di T.P.;

-) che al momento dello scontro T.P. stava superando l’odierno

ricorrente procedeva ad una velocità superiore a quella di quest’ultimo;

-) che T.P., pur potendo prevedere lo scontro, mantenne la medesima velocità e non adottò alcuna manovra salvifica.

5.1. Il motivo è inammissibile.

Stabilire come sia avvenuto uno scontro tra due sciatori non è una valutazione in diritto, ma è un accertamento di fatto.

Nel caso di specie la Corte d’appello ha ritenuto che le prove raccolte non fossero sufficienti a ricostruire la dinamica dei fatti.

Questa valutazione non è censurabile nella presente sede di legittimità ed è immune dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo: la condotta degli sciatori è stata infatti presa in esame dalla Corte d’appello a pagina 3, penultimo capoverso, della propria motivazione, con la conseguenza che il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo non può dirsi sussistente.

Lo stabilire, poi, se la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti compiuta la Corte d’appello sia stata corretta o scorretta è accertamento che esula dal perimetro del giudizio di legittimità.

6. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna C.R. alla rifusione in favore di T.P. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 4.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2,;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento da parte di C.R. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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