Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10421 del 20/04/2021

Cassazione civile sez. I, 20/04/2021, (ud. 04/02/2021, dep. 20/04/2021), n.10421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

H.S., n. in (OMISSIS) il (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in Roma, Via Taranto 90, presso lo studio dell’avvocato Luciano

Natale Vinci; rappresentato e difeso in giudizio, per procura

speciale in atti, dall’avv. Giuseppe Mariani, del foro di Potenza;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, – UTG di Potenza (cf (OMISSIS)), domiciliato

ex lege in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 210 del Giudice di Pace di Melfi, depositato il

14.2.2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4

febbraio 2021 dal consigliere Dott. Giacomo Maria Stalla.

 

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. H.S., n. in (OMISSIS) il (OMISSIS), propone, D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 14, comma 6 un motivo di ricorso per la cassazione del decreto in epigrafe indicato con il quale il giudice di pace di Melfi ha convalidato il decreto del Questore di Potenza che aveva disposto il suo trattenimento per il tempo strettamente necessario presso il (OMISSIS), in attesa di eseguire l’espulsione amministrativa disposta dal Prefetto di Roma; ciò stante la necessità di disporre accertamenti supplementari sulla identità e nazionalità del prevenuto, di acquisire i documenti di viaggio e di reperire idonei vettori.

Dopo aver sentito il ricorrente (che dichiarava di trovarsi in Italia dal 2000) assistito dal difensore, il giudice di pace disponeva la convalida richiesta dal Questore, osservando che il ricorrente “Non ha titolo per permanere nel territorio nazionale; ritenuta l’infondatezza delle eccezioni della difesa del trattenuto per essere stato redatto il provvedimento di espulsione secondo la normativa vigente e compiutamente motivato”.

Il Ministero dell’Interno – UTG di Potenza, si è costituito, con l’avvocatura generale dello Stato, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

p. 2.1 Con l’unico motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 6 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c). Per non avere il giudice di pace rilevato la nullità del decreto di espulsione e comunque l’esistenza di cause di non espellibilità, dal momento che l’ H. aveva presentato istanza di protezione internazionale con procedimento ancora pendente (ricorso per Cassazione n. 12307/19 rg.) e che, inoltre, egli aveva legami familiari (due figli) in Italia, come da stato di famiglia in atti.

p. 2.2 Il motivo è infondato.

Per quanto concerne il primo profilo (pendenza del giudizio di legittimità avverso il rigetto dell’istanza di protezione internazionale), si osserva che in base al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7 il richiedente protezione internazionale ha il diritto (fatte salve talune eccezioni ivi previste) di rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione Territoriale ex art. 32 D.Lgs. cit..

In caso di impugnativa in sede giurisdizionale del provvedimento di rigetto, dispone l’art. 35 bis, comma 3 medesimo D.Lgs. che – fatte salve anche in tal caso talune eccezioni – “la proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato”.

Dal medesimo art. 35 bis, comma 13 si evince che il decreto di rigetto del Tribunale è ordinariamente assistito da esecutività, fermo restando che – in caso di proposizione del ricorso per cassazione “quando sussistono fondati motivi, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può disporre la sospensione degli effetti del predetto decreto, con conseguente ripristino, in caso di sospensione di decreto di rigetto, della sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione della Commissione. La sospensione di cui al periodo precedente è disposta su istanza di parte da depositarsi entro cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione. La controparte può depositare una propria nota difensiva entro cinque giorni dalla comunicazione, a cura della cancelleria, dell’istanza di sospensione. Il giudice decide entro i successivi cinque giorni con decreto non impugnabile”.

Alla luce di questo quadro normativo deve dunque affermarsi come la pendenza del ricorso per cassazione sul decreto inappellabile del tribunale reiettivo dell’istanza di protezione internazionale non determini effetto sospensivo automatico, sicchè tale pendenza non osta di per sè – cioè salva l’eventualità che la sospensione sia disposta, su istanza dell’interessato, dal giudice a quo – all’espulsione.

Questa conclusione non confligge con quanto stabilito in altre occasioni da questa corte di legittimità (v. Cass. n. 26365/20; 12206/20; 18737/17) secondo cui – nel contemperamento tra il diritto del richiedente asilo di non essere allontanato in pendenza di procedimento di protezione internazionale e l’obbligo dello Stato di espellere gli irregolari (entrambi previsti dalla disciplina unionale, rispettivamente dall’art. 9, comma 1 Direttiva 2013/32/UE e dall’art. 6, comma 1 Direttiva 2008/115/UE) – occorre diversificare la soluzione operando il discrimine normativo segnato dall’entrata in vigore del D.L. n. 13 del 2007, conv. c. m. in L. n. 46 del 2017, ed in particolare dell’art. 35 bis, comma 13 cit..

In maniera tale che il diritto dello straniero a permanere nello Stato in pendenza del giudizio di protezione internazionale fino al giudicato, e dunque eventualmente comprensivo della sua fase di legittimità, non è più oggi incondizionato, in quanto subordinato al provvedimento di sospensione del decreto di rigetto da parte del tribunale.

Dunque, la giurisprudenza da ultimo citata, nella parte in cui afferma il diritto alla permanenza nello Stato in pendenza di giudizio di protezione internazionale e fino al suo esito, esprime un principio riferito ad un diverso quadro normativo (antecedente all’introduzione del regime desumibile dal più volte richiamato art. 35 bis, ed ancora caratterizzato dalla ricorribilità per cassazione della pronuncia della corte di appello) che, in quanto tale, non può ritenersi valevole anche nella fattispecie in esame, invece disciplinata dal D.L. n. 13 del 2007 e connotata dalla inappellabilità della pronuncia del tribunale, al quale è stata come detto specificamente attribuita la valutazione caso per caso dei presupposti di sospensione.

Nel caso di specie il ricorso per cassazione pendeva appunto avverso il decreto reiettivo in data 14.3.19 del Tribunale di Bologna.

Per quanto concerne il secondo profilo (legami familiari in Italia), il ricorrente si richiama ad una disciplina (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c)) che nega essa stessa il suo assunto.

Ciò perchè, ai sensi della norma menzionata, in tanto il legame di famiglia osta all’espulsione, in quanto sussista il requisito della convivenza, inteso quale presupposto di coesione e tutela del nucleo familiare.

Sennonchè, il ricorrente ha dedotto in giudizio l’esistenza di legami familiari formalmente attestati, ma senza neppure allegare l’elemento normativo imprescindibile rappresentato dallo stato di attuale ed effettiva convivenza.

La decisione impugnata – del resto censurata solo sul piano della asserita violazione normativa, non anche per carenze di tipo motivazionale nei limiti in cui queste ultime ancora rilevino ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – non risulta dunque meritevole di cassazione, avendo essa fatto corretta applicazione della norma in conseguenza di una determinata e non contrastata ricostruzione della situazione di fatto.

Il ricorso va quindi rigettato; nulla si provvede sulle spese, dal momento che il Ministero degli Interni, per quanto formalmente costituitosi in giudizio, non ha poi svolto in quest’ultimo attività difensiva di sorta.

Poichè dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

LA CORTE

– rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, tenutasi con modalità da remoto, il 4 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021

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