Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10420 del 03/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2020, (ud. 03/10/2019, dep. 03/06/2020), n.10420

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18236-2018 R.G. proposto da:

D.M.D., elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere di

Pietra Papa 21, presso lo studio dell’avvocato Longo Mauro, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Europa, n. 190,

presso l’Area Legale Territoriale dell’Istituto medesimo,

rappresentata e difesa dall’avvocato De Rose Dora;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23517/2017 del Tribunale di Roma, depositata

il 15/12/2017;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso e il controricorso;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 3 ottobre 2019 dal Consigliere Dott. D’Arrigo

Cosimo.

Fatto

RITENUTO

D.M.D., creditore di Poste Italiane s.p.a., conveniva quest’ultima innanzi al Giudice di pace di Roma chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 176,75, dallo stesso anticipata per la registrazione dell’ordinanza di assegnazione con cui si era conclusa l’azione esecutiva per il recupero del credito originario. La società convenuta eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva, sostenendo che al pagamento dell’imposta di registro fosse tenuto il terzo pignorato Wind Telecomunicazioni s.p.a.

Il Giudice di pace rigettava la domanda.

Il D.M. impugnava la decisione ma il Tribunale di Roma, in funzione di giudice d’appello, respingeva il gravame, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali.

Avverso tale decisione il D.M. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Poste Italiane s.p.a. ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni delle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011. Il ricorso non soddisfa il requisito dell’esposizione, ancorchè sommaria, dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Tale requisito di validità del contenuto e della forma del ricorso deve consistere in un’esposizione che garantisca alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493 – 01). La prescrizione del requisito, quindi, risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma è funzionale alla conoscenza univoca e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Sez. U, Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622 – 01). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Nella specie, il ricorrente non chiarisce – e tanto meno documenta se in concreto vi sia stata la vana escussione del terzo pignorato Wind Telecomunicazioni s.p.a., per l’importo in questione; ovvero se le somme complessivamente riconosciute nell’ordinanza di assegnazione (il cui contenuto, in parte qua, non è specificamente riprodotto nel ricorso e la cui allocazione tra gli atti del fascicolo di merito non è neanche indicata), ivi inclusa quella relativa all’imposta di registrazione della stessa, fossero contenute nei limiti di capienza dei crediti pignorati o li avessero ecceduti.

La mancanza di tali informazioni – che non trova rimedio neppure nella lettura dei motivi, se pure fosse possibile utilizzarli a tal fine determina l’oggettiva impossibilità di comprendere il fatto sostanziale e processuale. Ed invece, tale conoscenza sarebbe stata necessaria per il corretto inquadramento della fattispecie e la conseguente decisione di legittimità.

In materia di pignoramento presso terzi, il creditore che abbia ottenuto, nell’ambito della liquidazione delle spese processuali disposta dal giudice dell’esecuzione, l’assegnazione anche delle somme occorrenti per la registrazione dell’ordinanza medesima, è carente di interesse ad ottenere per tale importo un ulteriore titolo esecutivo da far valere contro il suo originario debitore, qualora il debito del terzo pignorato risulti capiente. In tal caso, infatti, egli con l’ordinanza di assegnazione ha già conseguito la piena soddisfazione nei confronti del proprio debitore. Viceversa, qualora l’importo dovuto per l’imposta di registro non potesse essere effettivamente recuperato, in tutto o in parte, nei confronti del debitor debitoris, per la differenza farebbe capo ab origine al debitore originario, tenuto a rifondere il creditore di tutte le spese occorrenti per l’espropriazione forzata.

Il difetto di specificità del ricorso non consente di verificare quale circostanza ricorra in concreto e ciò sarebbe stato, invece, essenziale ai fini della decisione.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per l’impugnazione proposta.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 260,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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