Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1042 del 21/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/01/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 21/01/2010), n.1042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31869/2006 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO Roberto, che lo rappresenta e

difende, giusta procura speciale ad litem atto notar ESPEDITO CLAUDIO

CRISTOFARO di COSENZA del 13/09/06, rep. 75752;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6712/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/11/2005 r.g.n. 2279/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUGI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del Tribunale di Roma veniva rigettata la domanda di A.M. di dichiarare nullo il termine apposto alla sua assunzione presso Poste Italiane s.p.a. per il periodo 6.7-30.9.99, motivata dalla necessità di consentire l’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94.

Proposto appello dall’ A., costituitasi l’appellata Poste Italiane spa, la Corte d’appello di Roma con sentenza 12.10-24.11.04 rigettava l’impugnazione. Riteneva il giudice che il termine era correttamente apposto in quanto: a) la norma collettiva, adottata in forza della delega conferita dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, è abilitata ad introdurre nuove ipotesi di assunzioni a termine non previste dalla L. n. 230 del 1962; b) l’assunzione avvenuta nel periodo (OMISSIS) costituisce soddisfacimento di un’esigenza già valutata dalle parti collettive e non soggetta a sindacato giudiziale; c) nella specie, in ogni caso, la carenza di organico conseguente alla fruizione delle ferie è da ritenere pattiziamente accertata dalle parti stipulanti.

Avverso questa sentenza proponeva ricorso per cassazione illustrato con memoria l’ A.. Rispondeva con controricorso Poste Italiane.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Parte ricorrente con unico articolato motivo deduce carenza di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione della L. n. 230 del 1962, art. 3, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Gli argomenti adottati possono essere così sintetizzati:

1) la clausola dell’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.97 non avrebbe potuto trovare applicazione, essendo stato il contratto de quo stipulato dopo il (OMISSIS), data di cessazione del vigore della fonte collettiva;

2) anche se ritenuta applicabile, la clausola di apposizione del termine avrebbe comunque violato la L. n. 230, art. 1, non essendo indicato il nominativo del dipendente sostituito e la causa della sostituzione, atteso che la L. n. 56, art. 23, consente di individuare nuove ipotesi di apposizione del termine, ma non di disciplinare in peius fattispecie che il legislatore aveva autonomamente deciso di disciplinare;

3) in ogni caso, il giudice di merito, nel riscontrare l’effettività della carenza di organico conseguente al godimento delle ferie, non aveva tenuto conto che il datore di lavoro – di fronte alla contestazione di controparte – avrebbe dovuto dare la prova della carenza di organico presso l’ufficio cui era stato addetto l’ A..

Quanto al primo argomento, la clausola contrattuale oggetto di controversia è quella dell’art. 87 del c.c.n.l. 26.11.94 che, sotto la rubrica Decorrenza e durata, afferma “1. Fatte salve le diverse decorrenze espressamente indicate per i singoli istituti, il presente contratto ha decorrenza dalla data della stipulazione e rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 1997. 2. Dalla medesima data il rapporto di lavoro del personale dell’Ente è disciplinato dal codice civile libro 5^ – dalle leggi che regolano il rapporto di lavoro nell’impresa, del regolamento d’azienda, dal presente contratto e dal contratto individuale. 3. La parte relativa al trattamenti economico scadrà il (OMISSIS)”.

Circa l’interpretazione di queste disposizioni le parti si sono confrontate nell’arco del giudizio di merito e continuano a confrontarsi nel giudizio di legittimità, in considerazione non solo della censura in esame ma anche delle obiezioni opposte della controricorrente, di modo che costituisce una evidente carenza della sentenza impugnata l’aver affrontato l’aspetto della vigenza delle norme collettive solo in modo marginale e non afferente il punto specifico della vigenza della normativa collettiva.

La censura per come formulata è, tuttavia, inammissibile atteso che l’omesso esame della questione in appello è dedotto come vizio di violazione di legge e di difetto di motivazione. L’omessa pronuncia su un motivo di appello, risolvendosi in violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, integra invece un difetto di attività del giudice, che deve essere fatto valere per cassazione non con denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto tali censure presuppongono che il giudice del merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo non corretto la decisione, ma con la deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente di chiedere di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito.

La mancata deduzione del vizio in tali termini, evidenzia il difetto di identificazione dell’errore del giudice del merito e impedisce il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rendendo inammissibile il motivo (Cass. 27.1.06 n. 1755, 7.7.04 n. 12475 e 6.11.99 n. 12366).

Inoltre, parte ricorrente, sottopone al Collegio di legittimità una tipica questione di merito quale quella dell’interpretazione di una disposizione negoziale. Alla controversia in questione, infatti, non trova applicazione la formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che consente la denunzia diretta del vizio di violazione delle “norme … dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro” e, pertanto, sarebbe stato onere del ricorrente dedurre la censura sotto il profilo della violazione di legge, indicando quale dovrebbe essere, secondo le regole di ermeneutica negoziale previste dall’art. 1362 c.c., e segg., il percorso argomentativo che dovrebbe condurre alla interpretazione ritenuta corretta.

Passando alla seconda ed alla terza censura, da trattare in unico contesto per l’evidente collegamento tra di loro esistente, deve prendersi atto che il contratto a termine fu motivato dalla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo (OMISSIS), in forza di fattispecie prevista esplicitamente dall’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2.3.07 n. 4933), decidendo su una fattispecie inerente l’ipotesi di assunzione a tempo determinato prevista dall’art. 8 del c.c.n.l. 26.11.94 dei lavoratori postali “per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo (OMISSIS)” ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

Infatti, l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva è del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie prevista dalla L. n. 230 del 1962, in considerazione del principio (Cass. S.U., 2.3.06 n. 4588) che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati. Questi ultimi, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo (vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti.

L’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94, per il quale “l’Ente potrà valersi delle prestazioni di personale con contratto a termine …

anche nei seguenti casi: necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo (OMISSIS) …”, usando una formula diversa da quella della L. n. 230 del 1962, testimonia che le parti stipulanti considerano questa ipotesi di assunzione a termine, in ragione dell’uso dell’espressione in concomitanza, sempre sussistente nel periodo stabilito (giugno- settembre). Altre decisioni (cfr. Cass. 6.12.05 n. 26678) hanno, inoltre, confermato le decisioni di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, avevano ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Essendosi nella sostanza il giudice di merito attenuto a questi principi, anche le ulteriori censure ora esaminate debbono ritenersi infondate e l’impugnazione deve essere rigettata.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 11,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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