Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1042 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 17/01/2020), n.1042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

F.Z.A., rappr. e dif. dall’avv. Loredana Rivadossi, elett.

dom. presso lo studio dell’avv. Luigia D’Amico, in Roma, via

Cicerone n. 49, loredana.rivadossi.brescia.pecavvocati.it, come da

procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Brescia 24.9.2018, cron.

3783/2018, R.G. 2896/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 19.12.2019;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta Decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. F.Z.A. impugna il decreto Trib. Brescia 24.9.2018, cron. 3783/2018, R.G. 2896/2018 che ha rigettato il suo ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. il tribunale ha: a) escluso la sussistenza di dubbi di costituzionalità del procedimento D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis; b) riscontrato plurime contraddizioni e dunque concluso per la complessiva inattendibilità del narrato riferibile al ricorrente che, postulando il proprio orientamento omosessuale, ha prospettato una persecuzione in caso di rimpatrio, a fronte di discrasie delle circostanze esposte (dalla data di scoperta, 1994, seguita da matrimonio nel 2002, e poi genitorialità, cessazione delle frequentazioni di amici omosessuali e però pretese indagini di polizia solo dal 2011, disallineamenti delle dichiarazioni nel procedimento); c) escluso, oltre ai motivi di persecuzione già nel racconto del richiedente, fuggito dal Ghana per inizialmente indicate ragioni di lavoro, anche i fatti potenzialmente inerenti a conflitti generalizzati nel Paese di provenienza; d) ritenuto insussistente il diritto alla protezione umanitaria, per insufficiente prova dell’integrazione raggiunta e impossibile contestualizzazione dell’impedimento nel Paese d’origine dei diritti fondamentali;

3. il ricorso descrive tre motivi di censura.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta il cattivo esercizio dei doveri di cooperazione officiosa da parte del tribunale con riguardo alle informazioni sullo stato del Paese di rimpatrio e di transito (Libia) e le dichiarazioni del richiedente, anche come vizio di motivazione;

2. con il secondo motivo si contesta l’errata applicazione delle norme della Convenzione di Ginevra, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5;

3. con il terzo motivo si solleva il vizio di motivazione, avendo riguardo all’inserimento sociale conseguito e alla permanenza di quattro anni in Libia;

4. il ricorso è complessivamente inammissibile, avendo mancato il ricorrente, per ciascuno dei motivi di censura, di riportare, almeno nei termini essenziali e significativi, il contenuto delle ragioni di doglianza avverso la decisione della commissione territoriale, i fatti specifici ivi rappresentati e le difese interposte avverso il provvedimento della commissione; appaiono in particolare del tutto generici i riferimenti al contrastato giudizio di credibilità della parte (primo motivo), i fatti di persecuzione dedotti con riguardo al contesto familiare e sociale delle relazioni con un “gruppo di amici omossessuali” (primo e secondo motivo), gli elementi di raffronto avuto riguardo alla comparabilità (primo e terzo motivo), il richiamo ai trascorsi di persecuzione nel Paese di transito (primo motivo, anche con riguardo alla professione di fede cristiana e terzo), per ciascuno di essi l’impugnazione risolvendosi in doglianze che contrastano con il principio di necessaria puntualità del ricorso e con il divieto di porre per la prima volta, in sede di legittimità, questioni che non siano state provatamente già oggetto del dibattito processuale, essendo la parte onerata di precisare in questa sede come, dove e quando ne abbia articolato la presenza nel giudizio di merito;

5. il tribunale ha condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014) ed anche con riferimenti di condivisione alle lacune della domanda già riscontrate dalla commissione, una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunto non permette una diversa disamina, altresì per i limiti redazionali del ricorso; in realtà, il decreto ha motivatamente e in via preliminare anche escluso la piena attendibilità del ricorrente, in ragione della contraddittorietà delle dichiarazioni progressivamente rese in sede di compilazione del modulo C3, avanti alla commissione e poi allo stesso giudice, così che la pretesa violazione del dovere di cooperazione istruttoria si fonda su una lettura non corretta del principio, cui il Collegio intende dare continuità, per cui “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019), una verifica di genuinità soggettiva sulla manifestazione del proprio orientamento omosessuale, l’epoca di inizio della relativa esperienza, la contraddizione con il matrimonio e le tre figlie, la persecuzione di polizia dopo 9 anni – nella specie positivamente esclusa e cui non rimedia la pretesa, graduale e contraddittoria messa a punto dei dettagli (Cass. 20580/2019);

6. va inoltre ricordato, ancora sul punto, che “in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass. 4892/2019, 18446/2019); in ogni caso il ricorrente non ha allegato alcuna classe di impedimenti, fatti valere in giudizio ed erroneamente trascurati, giustificanti i limiti del proprio corredo probatorio o contributo istruttorio, posto che sia il racconto delle ricerche da cui sarebbe stato attinto in Ghana o da cui sarebbe fuggito, sia le circostanze di fuga sono apparse oggetto di esposizione del tutto confusa e contraddittoria;

7. il secondo motivo è, per altro profilo, ulteriormente inammissibile, avendo il ricorrente espresso l’invocazione di una mera diversa conclusione, a sè favorevole, quale discendente da una generalizzata situazione di pericolosità che avrebbe interessato l’intero Ghana, secondo un giudizio del tutto generico e solo alternativo a quello cui è giunto il tribunale; questi ha anche stigmatizzato che il ricorrente non avrebbe poi nemmeno allegato il rischio di vita in caso di rimpatrio e, come visto, i limiti di genericità e aspecificità del ricorso precludono qualunque disamina critica sul punto; escludendo ognuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, il tribunale ha in particolare negato l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona per violenza indiscriminata, anche ai sensi della lett. c) art. cit.; il che rende insuperabile il dato, presupposto nel decreto impugnato, per cui la prospettazione persecutoria al ricorrente è risultata del tutto indiretta e generica; invero, la stessa “nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 13858/2018, 18306/2019);

8. va aggiunto che la genericità dei riferimenti al periodo trascorso in Libia impone di richiamare il principio, cui dare continuità, per cui “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide” (Cass. 31676/2018);

9. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine ripreso nel terzo motivo, è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente e potendosi aggiungere che l’odierna censura è inammissibile, per genericità e perchè si risolve in un dedotto vizio di motivazione, oltre il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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