Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1042 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 16/03/2018, dep. 17/01/2019), n.1042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9018-2015 proposto da:

G.A., G.G., eredi legittimi in quanto figli di

GA.GI. ed altresì quali eredi legittimi della propria madre

C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26, presso

lo studio dell’avvocato DANIELA JOUVENAL, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MASSIMO DRAGONE giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è rappresentato e difeso

per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 866/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 03/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato DANIELA JOUVENAL.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.G. ed A. (nella qualità di figli ed eredi legittimi di Ga.Gi.) ricorrono, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 866/14 del 3 aprile 2014, emessa dalla Corte di Appello di Venezia, che – rigettando il gravame da essi esperito contro la sentenza n. 2368/06 del 23 novembre 2006 del Tribunale di Venezia – ha confermato la declaratoria di prescrizione del credito risarcitorio, azionato dal loro dante causa nei confronti del Ministero della salute, in relazione a danni subiti in conseguenza di un’epatite virale, contratta a causa della trasfusione di sangue infetto.

2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che il loro genitore, a seguito di numerose emotrasfusioni presso l’Ospedale Civile di Verona (dal 29 novembre 1984 al 27 febbraio 1985), ebbe a contrarre un’epatite di tipo “C”.

Su tali basi, pertanto, egli adiva il 28 novembre 2001 il Tribunale lagunare, allegando, tra l’altro, che nel marzo 2001 era insorta una cirrosi epatica, riconducibile al contagio da HCV, come da diagnosi in data 8 marzo 2001. Costituitosi in giudizio il convenuto Ministero, lo stesso eccepiva, tra l’altro, l’intervenuta prescrizione del diritto, eccezione accolta dall’adito giudicante.

Deducono, inoltre, i ricorrenti che dopo la scadenza dei termini ex art. 190 cod. proc. civ., ma prima della pronuncia della sentenza del Tribunale, l’originario attore decedeva (in data 8 maggio 2006), per il degenerare della malattia epatica.

Proposto dagli odierni ricorrenti appello, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ., gli stessi contestavano la dichiarazione di prescrizione sotto più profili. In particolare, assumevano che, per effetto del decesso del loro dante causa in conseguenza dell’epatite, il termine di prescrizione del diritto risarcitorio dovesse intendersi quello previsto per il reato di omicidio colposo, agendo, inoltre, essi – quali suoi eredi – non per far valere un danno subito “iure proprio”, ed in ragione della morte del loro congiunto, bensì per far valere “iure heriditatis” il danno dallo stesso subito per “perdita della vita”.

Contestavano, inoltre, la sentenza del primo giudice anche in base al duplice rilievo che il termine prescrizionale dovesse farsi decorrere dal marzo 2001, in ragione della nuova ed autonoma manifestazione lesiva costituita dalla cirrosi epatica, ovvero che la prescrizione dovesse comunque ritenersi interrotta dalla richiesta, prima, e dal riconoscimento (e pagamento), poi, dell’indennizzo di cui alla L. 3 agosto 1990, n. 210.

Il gravame era, però, rigettato dalla Corte lagunare.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i fratelli G., sulla base di cinque motivi.

3.1. Con il primo motivo viene dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), – “nullità della sentenza o del procedimento”, in relazione all’evento sopravvenuto “costituito dal decesso della vittima a causa del fatto illecito originariamente azionato”, e ciò in relazione “agli artt. 345 e 112 cod. proc. civ., art. 111 Cost., artt. 2, 6 e 13 CEDU e artt. 2 e 47 Carta UE”.

Si assume che con l’atto di appello essi ricorrenti avrebbero azionato “iure hereditatis” – così come consentito dall’art. 345 c.p.c., comma 1, – un danno ulteriore sofferto dal proprio dante causa dopo la sentenza di primo grado, ovvero quello da “perdita della vita”, facendo valere, così, una pretesa giustificata dalla necessità di accogliere un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della norma processuale suddetta.

Si dolgono, dunque, del fatto che la Corte veneziana – nel ritenere che quella di appello non potesse essere la sede giudiziaria per far valere gli autonomi diritti azionabili dai congiunti del defunto, “iure proprio”, in ragione della morte del proprio familiare – avrebbe non solo violato detta disposizione, disattendendone l’interpretazione imposta dalle norme della Costituzione, della CEDU e della Carta di Nizza sopra richiamate, che esigono l’effettività della tutela giurisdizionale del diritto alla vita, ma anche omesso di pronunciarsi sulla pretesa da essi azionata.

3.2. Con il secondo motivo è dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – l’omesso esame “del fatto decisivo costituito dal decesso della vittima riconducibile all’infezione post-trasfusionale”, rilevante, invece, in maniera decisiva “ai fini del termine decennale di prescrizione dell’azione di risarcimento del danno “iure heriditario””, nonchè “del risarcimento del danno da perdita della vita”.

I ricorrenti contestano la sentenza impugnata per aver negato, ai fini suddetti, ogni rilievo al fatto costituito dal sopravvenuto decesso del loro dante causa ed ai suoi risvolti, sul piano giuridico, come sopra delineati.

3.3. Con il terzo motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – la violazione e falsa applicazione degli artt. 15,84 e 589 cod. pen., degli artt. 2043, 2059, 2935 e 2947 cod. civ., dell’art. 2Cost., art. 27Cost., comma 3, nonchè dell’art. 2 CEDU e art. 2 della Carta UE, sempre in relazione agli effetti che il decesso della vittima, riconducibile all’infezione post-trasfusionale, ha determinato quanto al termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno “da perdita della vita”, patito direttamente dal “de cuius”, e risarcibile in favore degli eredi.

Pur affermando i ricorrenti di non ignorare l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in caso di decesso della vittima di contagio post-trasfusionale, “la prescrizione rimane quinquennale per il danno subito da quel soggetto in vita, del quale il congiunto chieda il risarcimento “iure hereditatis””, reputa che tale indirizzo debba ritenersi superato alla stregua dell’avvenuto riconoscimento (è citata, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 23 gennaio 2014, n. 1361) del danno “da perdita della vita”, il cui riconoscimento implicherebbe la necessità di correlare il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno a quello decennale, previsto per il reato di omicidio colposo.

3.4. Con il quarto motivo – proposto congiuntamente ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3) e 5) – si deduce, in relazione all’insorgenza della cirrosi epatica come nuova lesione ai fini del “dies a quo” della prescrizione dell’azione di risarcimento danni (promossa dal “de cuius” e proseguita “iure hereditatis” da essi ricorrenti), l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2935 e 2947 cod. civ., oltre che degli artt. 113,115 e 116 cod. proc. civ..

Si censura l’affermazione secondo cui la cirrosi epatica costituisce un mero sviluppo dell’epatite (e non già una nuova ed autonoma lesione), come tale, dunque, inidonea a far decorrere un nuovo autonomo termine di prescrizione. Nel suo carattere apodittico, tale affermazione integrerebbe una motivazione meramente apparente, oltre che adottata in violazione delle norme suddette, nonchè in contrasto con le risultanze della CTU medico legale espletata in primo grado, secondo cui solo nel 20% dei casi il virus HCV evolve in cirrosi epatica.

3.5. Infine, con il quinto motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2944 cod. civ., nonchè della L. n. 210 del 1992, relativamente alla mancata considerazione dell’efficacia interruttiva della prescrizione conseguente al riconoscimento dell’indennizzo di cui alla legge testè menzionata (avvenuto, nella specie, in data 17 marzo 2000), nonchè alla successiva erogazione dell’indennizzo.

4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il Ministero della salute, per chiedere che essa sia dichiarata inammissibile o comunque rigettata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso deve essere rigettato.

5.1. I motivi primo e secondo, suscettibili di trattazione congiunta, non sono fondati.

Essi, come illustrato, muovono dall’assunto che, per effetto del decesso – avvenuto dopo la scadenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica nel giudizio di primo grado e prima della pubblicazione della sentenza – del (già) attore G., sarebbe stato possibile, per i suoi successori, far valere una pretesa risarcitoria in relazione al danno da “perdita della vita”, suscettibile di rilevare come pregiudizio, sofferto dall’attore “dopo la sentenza di primo grado ex art. 345 c.p.c., u.c.”, soggetto ad autonomo termine prescrizionale, rispetto a quello da lesione della salute, anch’esso originato dalle emotrasfusioni di sangue infetto.

I motivi sono infondati, perchè errata è la loro premessa, ovvero che possa configurarsi l’esistenza di un pregiudizio risarcibile “iure hereditatis” in capo ai successori “mortis causa” del G., in relazione al danno da “perdita della vita”, atteso che la sua (autonoma) configurabilità è stata esclusa dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 22 luglio 2015, n. 15350).

5.2. Neppure il terzo motivo è fondato.

Esso tende – sempre in virtù del sopravvenuto decesso dell’attore nelle more del giudizio – a far decorrere, per il credito risarcitorio prima azionato da Ga.Gi. e poi da suoi eredi, il (più lungo) termine di prescrizione previsto per il reato di omicidio colposo, ex art. 2947 c.c., comma 3.

Ancora una volta, l’impossibilità di ravvisare un credito relativo al danno “da perdita della vita”, che – con il decesso di Ga.Gi. avrebbe preso il posto di quello concernente l’integrità fisica dello stesso, in relazione al quale l’azione era stata intrapresa dallo stesso (e poi proseguita dai suoi eredi), impone di ribadire che “in caso di decesso del danneggiato a causa del contagio, la prescrizione rimane quinquennale per il danno subito da quel soggetto in vita, del quale il congiunto chieda il risarcimento “iure hereditatis”, trattandosi pur sempre di un danno da lesione colposa, reato a prescrizione quinquennale (alla data del fatto)” (Cass. Sez. 3, sent. 15 maggio 2012, n. 7553, Rv. 622363-01; in senso conforme, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 22 agosto 2018, n. 20882, Rv. 650431-01).

5.3. Il quarto motivo è in parte inammissibile, in parte non fondato.

Il primo esito si impone laddove esso – nel censurare l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la morte per cirrosi epatica sarebbe un mero sviluppo dell’epatite contratta dal G. per effetto dell’emotrasfusione – richiama gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., e dunque un’errata valutazione delle risultanze istruttorie.

Trova, infatti, al riguardo applicazione il principio secondo cui l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).

L’infondatezza della censura, invece, discende dal fatto che la sentenza impugnata, nel negare autonomo rilievo all’ultima delle manifestazioni morbose conseguenti all’emotrasfusione infetta, si è conformata, nella sostanza, al principio secondo cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, “non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 3, sent. 19 dicembre 2013, n. 28464, Rv. 62913201; Cass. Sez. 3, sent. 31 marzo 2016, n. 6213, Rv. 639256-01).

5.4. Infine, neanche l’ultimo motivo di ricorso è fondato.

Trova, infatti, applicazione – sul punto – il principio secondo cui la “erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210, non integra, nè ai fini dell’interruzione della prescrizione, nè a quelli di una rinuncia anche implicita ad avvalersene, un riconoscimento – da parte dello Stato – del diritto al risarcimento del danno preteso da colui che ha patito lesioni a seguito di emotrasfusioni non sicure, in quanto detta erogazione comporta l’ammissione della sussistenza di fatti e circostanze riconducibili al solo elemento oggettivo della più ampia fattispecie risarcitoria azionata dal danneggiato, ma non si estende anche all’elemento soggettivo” (Cass. Sez. 6-3, ord. 8 ottobre 2014, n. 21257, Rv. 632916-01).

6. Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese del presente giudizio, da ravvisarsi nella sopravvenienza – rispetto alla data di notificazione del ricorso – della già citata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte che ha escluso l’autonoma risarcibilità del danno da “perdita della vita”.

7. A carico dei ricorrenti, rimasti soccombenti, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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