Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10415 del 27/04/2017

Cassazione civile, sez. un., 27/04/2017, (ud. 11/04/2017, dep.27/04/2017),  n. 10415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

Dott. R.A., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce alla memoria ex art. 378 c.p.c., dagli Avvocati

Ferruccio Auletta, Paolo Pollice e Nicola Rascio, con domicilio

eletto nello studio del primo in Roma, via della Balduina, n. 120/5;

– resistente –

e nei confronti di:

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

e sul ricorso proposto da:

Dott. R.A., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce al ricorso, dagli Avvocati Ferruccio Auletta,

Paolo Pollice e Nicola Rascio, con domicilio eletto nello studio del

primo in Roma, via della Balduina, n. 120/5;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE; MINISTRO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio

superiore della magistratura n. 179/2016 depositata in segreteria in

data 11 novembre 2016;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’11

aprile 2017 dal Consigliere Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale MATERA

Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso del

Procuratore generale e per il rigetto del ricorso del Magistrato;

udito l’Avvocato Nicola Rascio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – In data 19 gennaio 2015 il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha esercitato l’azione disciplinare nei confronti del dott. R.A., magistrato in servizio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano con funzione di procuratore aggiunto, contestandogli quattro capi di incolpazione.

1.1. – Il primo riguarda la divulgazione all’avv. A.D. del contenuto di atti del procedimento iscritto nel registro generale delle notizie di reato della Procura della Repubblica di Milano a carico di alcuni consiglieri regionali appartenenti al gruppo in Regione della (OMISSIS), indagati per i reati di peculato e di appropriazione indebita e difesi dallo stesso avv. A.. Secondo la contestazione, la divulgazione riguardava l’esito di riunioni riservate fra i magistrati della Procura, gli elementi indiziari sussistenti all’epoca nei confronti dei soggetti indagati, nonchè gli sviluppi futuri delle indagini preliminari che, poi, effettivamente si verificarono e dei quali venne data ampia diffusione sui mezzi di stampa.

Il relativo capo di incolpazione risulta così formulato:

” (…) illecito di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. u), per avere, venendo meno ai propri doveri di imparzialità e di riserbo, divulgato – conversando anche telefonicamente, in più occasioni, con l’avv. A.D., con la consapevolezza che quest’ultimo avrebbe rivelato le notizie apprese ad esponenti politici, anche di vertice, del partito della (OMISSIS) – il contenuto di atti del procedimento iscritto nel registro generale delle notizie di reato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano (ed assegnato a magistrati facenti parte del 2^ dipartimento, del quale era coordinatore) a carico di alcuni consiglieri regionali appartenenti al gruppo in Regione Lombardia del citato partito politico nonchè del (OMISSIS) per i reati di peculato o di appropriazione indebita, nonchè per avere, comunque, violato il dovere di riservatezza sul predetto affare in corso di trattazione, con condotta idonea a ledere indebitamente diritti altrui.

In particolare, al predetto legale, interessato ad acquisire notizie circa gli sviluppi delle indagini preliminari di cui al citato procedimento, relative ad indebiti rimborsi percepiti da vari consiglieri regionali, venivano rivelati, sin dal 18 dicembre 2012:

A) gli esiti di riunioni riservate fra magistrati della Procura;

B) gli elementi indiziari sussistenti all’epoca nei confronti dei soggetti indagati;

C) la circostanza che già il successivo giorno 19 dicembre 2012 altri sette od otto consiglieri regionali appartenenti ai citati gruppi politici, aventi la maggioranza nel consiglio regionale, sarebbero stati sottoposti ad indagini;

D) gli sviluppi futuri delle indagini preliminari: nello specifico che entro la seconda decade del successivo mese di gennaio 2013 il suddetto ufficio inquirente avrebbe proceduto anche nei confronti di consiglieri regionali appartenenti ai gruppi di opposizione, ossia, tra gli altri, al (OMISSIS).

Fatti, questi ultimi, idonei a ledere indebitamente diritti di persone in quel momento non indagate, nonchè l’immagine dei rispettivi partiti di appartenenza, e subito comunicati dal legale a vari esponenti politici della (OMISSIS) nei seguenti termini:

“finito ora riunione in procura con capo e agg. Domani sera mi daranno altri nominativi ns. consiglieri indagati: hanno intercettazioni gravi contro (OMISSIS) mentre su noi pare ci sia una impiegata gola profonda” (sms inviato il (OMISSIS)); “adesso escono il (OMISSIS) al 5 gennaio e purtroppo domani altri sette-otto dei nostri” (telefonata effettuata il (OMISSIS)); “ce ne sono altri sette in arrivo, e domani sera so i nomi in via riservata”… “sul (OMISSIS) c’è la prova provata che c’è una associazione finalizzata al finanziamento dei singoli consiglieri, con una struttura propria addetta a questo,… “su di noi non hanno questo tipo di accertamento perchè non hanno riscontrato questo, pare che ci sia, invece, una dipendente, più o meno infedele”… “guarda che domani sera, quando io lo incontro per questi altri nominativi, lui mi dirà anche questo e mi ha garantito, poi, che entro il 15, massimo il 20 di gennaio, arrivano gli stessi avvisi al (OMISSIS)”… “siccome è una persona che ha un rapporto con me stretto e di fiducia mi ha detto: D. te lo garantisco, su questo ci puoi spendere la tua credibilità; io gli ho detto: “guarda che me la spendo; ha detto: “no, no, garantito, sarà così” (telefonata effettuata il (OMISSIS)).

Tali sviluppi della indagine effettivamente si verificavano, tanto che il predetto legale, il 29 gennaio 2013, appreso che la notizia della estensione delle indagini ad altre persone era divenuta pubblica (tramite sms a lui indirizzato, alle ore 18,22, del seguente tenore: “AGI e ASCA. Lombardia, una ventina di consiglieri regionali di opposizione di (OMISSIS) indagati per peculato nell’inchiesta su rimborsi regionali”), immediatamente scriveva al procuratore aggiunto: “Uomo di parola Poi grande magistrato” (sms inviato il (OMISSIS)), ricevendo da quest’ultimo la seguente risposta: “Caro avvocato, promissio boni viri est obligatio” (sms inviato il (OMISSIS)).

Fatti commessi nel (OMISSIS)”.

1.2. – Il secondo capo di incolpazione riguarda l’indebita utilizzazione della propria qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, ed in particolare le richieste avanzate dall’incolpato all’avv. A. al fine di ottenere copia degli atti relativi alla richiesta di immunità avanzata al Parlamento europeo dall’on. Al.Ga., con riferimento alle controversie civili e penali pendenti fra lo stesso Al. e il dott. R..

I termini della contestazione sono i seguenti:

“(…) illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. a), per avere usato la propria qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sè mediante la condotta di seguito indicata: dopo avere appreso che il parlamentare europeo Al.Ga. – il quale, oltre ad essere controparte del magistrato in giudizi civili, era indagato in un procedimento penale nel quale il magistrato stesso era persona offesa – aveva presentato documenti o memorie alla competente commissione del Parlamento europeo per ottenere l’immunità, nel contesto dei rapporti indicati al capo che precede e mentre l’indagine preliminare innanzi indicata era in corso, ripetutamente chiedeva all’avv. A.D., del quale gli erano noti i rapporti con esponenti politici di vertice del partito (OMISSIS), avente propri rappresentanti anche in sede europea, di avere copia degli atti suddetti, di natura riservata e non ostensibili a terzi estranei all’organo istituzionale europeo, onde apprenderne il contenuto e poterlo utilizzare in una propria nota diretta allo stesso Parlamento, argomentando in senso contrario a quanto sostenuto dal parlamentare, con l’obiettivo di dimostrare la falsità della versione da quest’ultimo prospettata; riuscendo, infine, nel suo intento, posto che il legale, venuto in possesso di tali atti, glieli inoltrava per posta elettronica.

Fatti commessi nel (OMISSIS)”.

1.3. – Il terzo capo di incolpazione si riferisce ad un indebito vantaggio recato all’avv. A. con riferimento ad un procedimento penale pendente presso la Procura della Repubblica di Milano nel quale erano coinvolti B.F., Bo.Um. e Ro.Re., esponenti del partito della (OMISSIS). In particolare, dopo avere appreso che il settimanale (OMISSIS) avrebbe pubblicato il giorno dopo un articolo contenente specifiche notizie su tali indagini, l’incolpato suggeriva all’avv. A. di inviargli una formale istanza diretta ad ottenere copia di una consulenza di natura contabile, ciò al fine di favorire l’avv. A. nella predisposizione della difesa in relazione ai fatti pubblicati su (OMISSIS).

La contestazione è così articolata:

(..) illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a), per avere, venendo meno ai propri doveri di imparzialità, di correttezza e di riserbo, arrecato un indebito vantaggio all’avv. A.D., e ai suoi assistiti, con riferimento al procedimento penale, aperto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, nel quale erano coinvolti B.F., Bo.Um. e Bo.Re., esponenti del partito (OMISSIS), mediante la condotta di seguito descritta:

appreso dal legale che il giorno successivo il settimanale (OMISSIS) avrebbe pubblicato un articolo contenente specifiche notizie su tali indagini, suggeriva all’avvocato di inviargli una formale istanza con la quale, alla luce della pubblicazione sulla stampa di elementi acquisiti nel corso delle indagini, si chiedeva di ottenere copia di una consulenza di natura contabile; successivamente, poichè l’istanza presentata non era stata accolta – essendo stato ritenuto, da parte di altri magistrati, che l’atto richiesto non fosse ostensibile alla persona offesa poichè non noto agli indagati – rassicurava il legale dicendogli che nel citato documento “non ci stava niente di particolare” ed a specifica richiesta di quest’ultimo sui tempi di chiusura dell’indagine, con conseguente deposito degli atti, lo rassicurava affermando che una parte dell’indagine sarebbe stata chiusa in quindici o venti giorni.

Fatto commesso il (OMISSIS)”.

1.4. – Infine, il quarto capo di incolpazione riguarda la grave scorrettezza nei confronti dei colleghi dell’ufficio ed, in particolare, nei confronti del procuratore della Repubblica dott. Br.Li.Ed., concretatasi nella comunicazione all’avv. A. che l’istanza indicata, relativa al rilascio della copia della consulenza contabile, non era stata accolta, e nell’affermazione che il rigetto della richiesta era imputabile ai suoi colleghi.

Il capo di incolpazione risulta formulato in questi termini:

“illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. d), per avere, venendo meno ai propri doveri di correttezza e di riserbo, tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti di altri magistrati dell’Ufficio ed, in particolare, nei confronti di due sostituti procuratori assegnatari del procedimento indicato al capo che precede e del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano Br.Li.Ed. mediante la condotta di seguito descritta:

nel comunicare all’avv. A.D. che la istanza, indicata al capo che precede e dallo stesso proposta, non era stata accolta, affermava che il rigetto della istanza era imputabile ai suoi colleghi, così esprimendosi: “eh, allora non ci riesco a farla, perchè ho parlato… che gli devo parlare per forza con loro due e gli ho detto che la mia opinione era quella di darla per una questione, insomma… mi pareva giusto… loro non erano d’accordo e ho detto: “vabbè, allora andiamo dal procuratore, diciamolo al procuratore; il procuratore neanche è stato d’accordo per cui non si riesce a fare, io sono stato l’unico a propugnare la tesi di farla” (telefonata effettuata il (OMISSIS), alle ore 17,45).

Fatto commesso il (OMISSIS)”.

2. – Contestualmente all’esercizio dell’azione disciplinare, il Procuratore generale ha formulato la richiesta di trasferimento provvisorio ad altra sede e la destinazione provvisoria ad altre funzioni.

In data 5 febbraio 2015 la Sezione disciplinare del CSM ha disposto il trasferimento cautelare provvisorio dell’incolpato al Tribunale di Torino con funzione di giudice.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza 16 luglio 2015, n. 14906, hanno rigettato il ricorso dell’incolpato avverso l’ordinanza cautelare di trasferimento provvisorio.

3. – Respinta l’istanza di ricusazione dei componenti dell’intero Collegio, la Sezione disciplinare, all’esito della discussione orale del procedimento disciplinare, con sentenza pronunciata all’udienza del 31 maggio 2016 e depositata in segreteria l’11 novembre 2016, ha dichiarato il dott. R. responsabile degli illeciti disciplinari a lui ascritti al primo e al secondo capo, lo ha condannato alla sanzione della perdita di anzianità di mesi sei e ne ha disposto il trasferimento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino con funzioni di procuratore aggiunto, mentre lo ha assolto dagli illeciti disciplinari di cui al terzo e al quarto capo di incolpazione per essere rimasti esclusi gli addebiti.

3.1. – In relazione ai primi due capi di incolpazione (e dopo avere premesso che, all’udienza del 21 aprile 2016, la Procura generale precisava che nel secondo capo di incolpazione non doveva più farsi riferimento alla frase “riuscendo, infine, nel suo intento, posto che il legale, venuto in possesso di tali atti, glieli inoltrava per posta elettronica”), la Sezione disciplinare ha osservato che il tenore letterale degli sms ed il contenuto dei colloqui tra l’avv. A. e i vertici della Lega dimostrano che l’ A. aveva la disponibilità di una fonte informativa privilegiata all’interno della Procura milanese, in grado di fornirgli informazioni riservate, concernenti gli sviluppi soggettivi di indagini preliminari, non ancora venute a conoscenza degli indagati, e la scansione temporale delle indagini, atti pacificamente coperti dal segreto ai sensi dell’art. 329 c.p.p..

Secondo il giudice disciplinare, l’avv. A. si è avvalso di confidenze fattegli dal dott. R. con riguardo ad aspetti dell’indagine che a metà (OMISSIS) erano ancora riservati.

Si tratta – prosegue la Sezione disciplinare – delle medesime conclusioni alle quali è pervenuto il GIP del Tribunale di Brescia che, nel provvedimento di archiviazione del 18 dicembre 2014 dell’imputazione ex art. 326 c.p. (emesso esclusivamente sulla base di una decisione in rito, essendosi ritenute inutilizzabili nel procedimento penale di Brescia le prove maturate nel procedimento avviato presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, in ragione del diverso titolo di reato per il quale era stato promosso il procedimento nell’ambito del quale esse erano state acquisite), ha individuato in R. il referente dell’avv. A. in considerazione della notevole familiarità tra i due e dell’attivo interessamento del professionista nella vicenda relativa all’on. Al..

Il giudice disciplinare ha sottolineato inoltre che il complesso delle conversazioni intervenute dimostra che il dott. R. ha chiesto all’avv. A. informazioni e documenti che non avrebbe altrimenti potuto agevolmente conseguire e, comunque, utili ai fini del perseguimento di un proprio interesse personale, consistente nella intenzione di ostacolare l’accoglimento dell’istanza di immunità avanzata dall’on. Al. in relazione ad un procedimento penale che vedeva il magistrato assumere la veste di parte offesa.

Con riguardo, invece, al terzo e al quarto capo, la Sezione disciplinare ha accertato che nessun danno è stato cagionato agli indagati e nessuna grave scorrettezza è stata commessa dal dott. R. con riferimento al rilascio di copia di una consulenza tecnica all’avv. A..

Dopo avere escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis il giudice a quo, in punto di sanzione, ha ritenuto la condotta, unitariamente considerata, connotata da una certa gravità, concretando essa non solo la violazione di uno dei doveri fondamentali del magistrato quale è quello del riserbo, ma anche, contestualmente, la strumentalizzazione della funzione di magistrato all’interesse personale; e – considerando anche che il percorso professionale dell’incolpato si è caratterizzato come buono – ha giudicato congrua l’applicazione della sanzione della perdita di anzianità di sei mesi.

Ritenuta la sussistenza dei presupposti per applicare, in aggiunta, la sanzione accessoria del trasferimento ad altro ufficio con attribuzione delle funzioni requirenti, la Sezione disciplinare ha disposto il trasferimento dell’incolpato alla Procura presso il Tribunale di Torino con funzioni di procuratore aggiunto, rilevando che la circostanza che il magistrato fosse destinato, con misura cautelare, allo svolgimento delle funzioni giudicanti presso il Tribunale di Torino non osta a tale sanzione accessoria, giacchè in materia di sanzioni disciplinari non trova applicazione il disposto del D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160, art. 13, comma 3, (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonchè in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma della L. 25 luglio 2005, n. 150, art. 1, comma 1, lett. a).

4. – Per la cassazione della sentenza della Sezione disciplinare il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha proposto ricorso, sulla base di cinque motivi. I motivi di ricorso riguardano l’assoluzione dal terzo e dal quarto capo di incolpazione e la sanzione accessoria.

Anche il dott. R. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Sezione disciplinare, formulando quattro motivi di censura. Essi concernono la composizione del Collegio giudicante della Sezione disciplinare e la condanna per il primo ed il secondo capo di incolpazione. Il ricorso reca, infine, una richiesta finale di rivalutazione dell’irrilevanza disciplinare delle condotte tenute dal dott. R..

In prossimità dell’udienza il dott. R. ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c. per resistere al ricorso del Procuratore generale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo del ricorso del dott. R. denuncia inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (art. 606 c.p.p., lett. c), relativamente tanto al primo quanto al secondo capo di incolpazione, giacchè la sentenza disciplinare, pronunciata da un collegio che, nonostante l’istanza di ricusazione, ha conservato la medesima composizione nella quale aveva reso la precedente ordinanza cautelare, lederebbe la garanzia di imparzialità del giudice e sarebbe nulla per violazione, anche, dell’art. 111 Cost. e art. 6 CEDU.

1.1. – All’esame del motivo occorre premettere che, con ordinanza in data 19 aprile 2016, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha rigettato l’istanza di ricusazione dell’intero Collegio della Sezione disciplinare del CSM, presentata dal difensore dell’incolpato a norma dell’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. a), in relazione all’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. g).

1.2. – Tanto premesso, la censura è infondata.

Secondo la costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite (sentenza 19 agosto 2009, n. 18374; sentenza 24 settembre 2010, n. 20159; sentenza 26 novembre 2014, n. 25136), l’adozione di un provvedimento cautelare nel corso delle indagini non determina incompatibilità a partecipare al successivo giudizio per i componenti della Sezione disciplinare, in quanto l’articolazione in organi distinti è del tutto estranea al procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, nel quale tutti i provvedimenti sono attribuiti alla competenza di quello stesso giudice che deve pronunciare la decisione conclusiva.

In questo contesto, poichè il provvedimento di trasferimento cautelare emesso nei confronti dell’incolpato da parte dei componenti della Sezione disciplinare nell’ambito di un procedimento formalmente e sostanzialmente monofasico non equivale all’avere conosciuto della causa in altro grado dello stesso processo, non rileva – e non determina alcuna mancanza di imparzialità oggettiva – la circostanza che le espressioni utilizzate nell’ordinanza cautelare abbiano condiviso, nel valutare la sussistenza del fumus di gravi elementi di fondatezza degli illeciti disciplinari contestati, l’impostazione dell’ipotesi dell’accusa disciplinare, nè che talune di queste affermazioni si ritrovino, senza significative variazioni lessicali, nella sentenza con cui, all’esito della discussione, il Collegio della Sezione disciplinare, composto dai medesimi membri, ha deciso, nel merito, in ordine alla sussistenza di taluni degli addebiti contestati.

2. – Il secondo mezzo del ricorso del magistrato, relativamente al primo capo di incolpazione, lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge punitiva, e/o violazioni di legge non altrimenti deducibili (in riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, e/o al comma 3). Nel dichiarare il dott. R. responsabile dell’illecito di cui al primo capo di incolpazione, la sentenza avrebbe sanzionato una condotta che non integra quella prevista dalla legge, perchè non “idonea a ledere indebitamente diritti altrui”, così violando o erroneamente applicando la norma disciplinare del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. u) Ad avviso del ricorrente, la sentenza, ritenendo verificata la fattispecie previo esonero di sè dal dovere di accertamento della concreta idoneità della condotta (se e quando) violativa di riserbo alla lesione di diritti altrui, sarebbe incorsa nella lamentata violazione ovvero nella erronea applicazione della disposizione prevedente l’illecito disciplinare.

2.1. – Il motivo è infondato.

La sentenza ha accertato, in base al “tenore letterale degli sms” in atti e al “contenuto dei colloqui” tra l’avv. A. e i vertici della (OMISSIS), che l’avv. ” A. aveva la disponibilità di una fonte informativa privilegiata all’interno della Procura milanese, in grado di fornirgli informazioni riservate, concernenti gli sviluppi soggettivi di indagini preliminari, non ancora venute a conoscenza degli indagati, e la scansione temporale delle indagini, atti pacificamente coperti dal segreto ai sensi dell’art. 329 c.p.p.”. Ha in particolare sottolineato la Sezione disciplinare che “verso la fine del mese di (OMISSIS), divenne di dominio pubblico la notizia per cui l’indagine sui rimborsi era stata estesa ed aveva coinvolto anche altri partiti, in particolare quelli di opposizione tra cui il (OMISSIS)”, ma che “a metà (OMISSIS) l’avv. A. disponeva di notizie riservate riguardanti l’indagine condotta dal dott. R.”, e ciò grazie a “confidenze fattegli” dallo stesso magistrato, il quale aveva rassicurato il legale, tra l’altro, sul fatto non vi sarebbe stata una concentrazione delle indagini esclusivamente su appartenenti alla (OMISSIS) e che, entro breve, “le indagini sarebbero state estese anche ad altri ambiti”, “rendendo così evidente all’opinione pubblica che condotte della stessa specie di quelle ascritte ai consiglieri della (OMISSIS) erano riferibili anche ad altre forze politiche”.

La Sezione disciplinare non si è affatto limitata a ritenere la rivelazione delle informazioni al professionista elemento di per sè perfettivo della comminazione deontologica.

Al contrario, essa ha valutato, e ritenuto in concreto provata, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie disciplinare come contestata nel capo di incolpazione, e quindi anche del pericolo concreto di pregiudizio dei diritti altrui: sottolineando che, attraverso quella rivelazione, gli atti processuali “hanno certamente perduto il carattere della riservatezza, con conseguente integrazione della fattispecie di illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. u) “, “resa ancora più aggravata dal fatto che l’avv. A. difendeva indagati del medesimo procedimento di cui risultava titolare lo stesso R.”.

Nessun errore di diritto è quindi rinvenibile nella sentenza impugnata.

Rientra infatti nella previsione dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. u), la condotta del magistrato del pubblico ministero che, violando il dovere di riserbo, valore essenziale della funzione giudiziaria, riveli ad un avvocato, difensore di alcuni indagati appartenenti ad un gruppo politico, notizie riservate concernenti gli sviluppi delle indagini preliminari di quel medesimo procedimento penale verso altri consiglieri regionali dello stesso gruppo politico e verso esponenti di altri partiti politici, venendosi potenzialmente in tal modo a ledere, attraverso l’indebito disvelamento, i diritti delle altre persone coinvolte nel procedimento penale e l’immagine dei rispettivi partiti di appartenenza.

3. – Il terzo motivo del medesimo ricorso censura mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo, con riferimento al primo capo di incolpazione (art. 606 c.p.p., lett. e,). E ciò sul rilievo che, nel passaggio dalla fase cautelare a quella di merito, la sentenza presenterebbe in fatto un impianto argomentativo immutato e perciò inidoneo, in ragione dell’intrinseca contraddittorietà e del reiterato travisamento degli elementi di prova, a fondare “l’approfondito accertamento” imprescindibile per un giudizio di condanna non (più) sommario.

Ad avviso del ricorrente, il tenore letterale del primo sms riportato nella sentenza (registrato in data (OMISSIS), inviato dall’avv. A. all’on. M.R., all’epoca membro segretario federale della (OMISSIS)) è sufficiente a rivelare la millanteria dell’avv. A., che, quando scrive “finito riunione in procura con capo e agg.”, sta implicando di avere appena partecipato ad un incontro con il procuratore capo e con l’aggiunto, e non di avere semplicemente avuto da una fonte interna la notizia che esso era avvenuto.

Anche le notizie riservate, diffuse nell’occasione, sarebbero millanterie, in quanto false: sia perchè nel corso del procedimento penale avente ad oggetto gli indebiti rimborsi ai consiglieri regionali non sono mai state disposte intercettazioni telefoniche, contrariamente a quanto scritto dall’avv. A. nel suo messaggio; sia perchè in quelle indagini non vi era alcuna “impiegata gola profonda”, se non altro per la ragione che tali indagini furono integrate soltanto da acquisizioni documentali.

Ad avviso del ricorrente, anche dalle telefonate del (OMISSIS) emerge che l’avv. A., per fingere un inesistente rapporto privilegiato, diffonde notizie a lui note tramite i media o tramite altri suoi assistiti ovvero inventate di sana pianta. D’altra parte, a partire dal (OMISSIS) (allorquando fu notificato in Regione il provvedimento di acquisizione della documentazione) fu noto a tutti che l’indagine non era limitata ai soli gruppi di maggioranza.

Mancherebbe ogni evidenza di informazioni riservate conosciute dall’avv. A., il quale piuttosto avrebbe diffuso una miscela di generiche notizie di dominio pubblico, di circostanze relative a vicende diverse e di vere e proprie supposizioni o invenzioni che poi non hanno trovato riscontro nelle vicende successive: il che escluderebbe in radice che possa riconoscersi la fondatezza dell’addebito mosso al dott. R. con il primo capo di incolpazione.

Quanto, poi, allo scambio dei due sms tra lo stesso avv. A. e il dott. R., il ricorrente sostiene che la promissio boni viri è esclusivamente quella di trattare tutti i gruppi consiliari con imparzialità, al fine di non consentire a nessun movimento politico di trarre un beneficio indebito nella campagna elettorale già in corso.

3.1. – Il motivo è infondato.

La Sezione disciplinare – esaminato il contenuto delle intercettazioni risalenti al periodo (OMISSIS)-(OMISSIS) tra l’avv. A. ed i vertici della (OMISSIS) – ha accertato che la disponibilità da parte dell’Avv. A., grazie ad una fonte informativa privilegiata all’interno della Procura della Repubblica di Milano, di notizie riservate, relative agli esiti delle riunioni tra i magistrati della Procura, agli elementi indiziari sussistenti all’epoca e ai futuri elementi soggettivi delle indagini, costituisce un “dato assolutamente pacifico” ovvero “dimostrato”.

Il giudice a quo ha escluso la rilevanza, in senso contrario, della notorietà che alcuni di questi futuri sviluppi già avevano conseguito attraverso organi di informazione, osservando che la notizia pubblicata dal (OMISSIS) il (OMISSIS) con l’annuncio dell’estendersi dell’inchiesta ad altri gruppi politici del Consiglio regionale “presenta un contenuto del tutto generico, e non corrisponde al contenuto delle propalazioni del R. all’ A., consistente nella indicazione specifica degli altri soggetti indagati appartenenti alla (OMISSIS) (gli altri sette od otto dei nostri ai quali fa cenno l’ A.) e nella informazione relativa alla presenza di una “gola profonda” nel gruppo consiliare della (OMISSIS)”.

La sentenza impugnata ha dato poi rilievo al commento sullo sviluppo del procedimento penale intervenuto tra l’avv. A. e il dott. R. nello scambio di messaggi del (OMISSIS) (“Uomo di parola, poi grande magistrato”; “Caro avvocato, promissio boni viri est obligatio”), per trarne il convincimento che “il riferimento da parte dell’avv. A. alla parola data e la risposta significativamente confermativa da parte del magistrato (promissio boni viri) dimostrano senza dubbio alcuno che in precedenza era stato espresso il timore da parte dell’avvocato in ordine alla concentrazione delle indagini esclusivamente su appartenenti alla (OMISSIS) e che il magistrato lo aveva rassicurato sul fatto che ciò non sarebbe accaduto e che entro breve le indagini sarebbero state estese anche ad altri ambiti, rendendo così evidente all’opinione pubblica che condotte della stessa specie di quelle ascritte ai consiglieri della (OMISSIS) erano riferibili anche ad altre forze politiche”.

La valutazione espressa dalla Sezione disciplinare, fondata su “un ragionamento induttivo di tipo indiziario” e frutto di un approfondito accertamento di merito, è sorretta da una motivazione congrua, adeguata e priva di vizi logici.

Le circostanze e i rilievi oggetto della censura riguardano aspetti marginali e non determinanti: essi finiscono con il sollecitare, al di là della formale prospettazione, una lettura diversa delle risultanze probatorie, come tale non sussumibile nel vizio denunciato ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

4. – Con il quarto motivo (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c,; inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza) ci si duole che la sentenza impugnata abbia giudicato il dott. R. responsabile dell’illecito di cui al secondo capo di incolpazione accertando un fatto diverso (nella condotta e nello scopo) da quello sostanzialmente contestato, con conseguente nullità pure per violazione dell’art. 521 c.p.p., comma 2, e art. 552c.p.p. (anche per il tramite del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, comma 4), e comunque dell’art. 24 Cost., comma 2, e art. 111 Cost.

Secondo il ricorrente, la condanna disciplinare avrebbe preso ad oggetto una condotta che è altra da quella posta in contestazione. Non solo, infatti, la condotta accertata risulterebbe monca a confronto di (e pertanto estranea a) quella rappresentata nell’incolpazione non essendo stato ritenuto necessario verificare se il dott. R. avesse inteso ottenere documenti nonostante la (e pur nella consapevolezza della) loro natura riservata – ma sarebbe stato sostituito (ancora rispetto all’incolpazione) il reale scopo della richiesta di aiuto: non più la redazione di “una propria nota diretta allo stesso Parlamento… con l’obiettivo di dimostrare la falsità della versione prospettata” dall’on. Al., quanto piuttosto il sostegno della (OMISSIS) per ostacolare in sede parlamentare la concessione dell’immunità.

4.1. – La riassunta censura è infondata.

Occorre premettere che nel procedimento disciplinare a carico di magistrati, si ha modificazione del fatto, dalla quale scaturisce la mancanza di correlazione tra l’addebito contestato e la sentenza, soltanto quando venga operata una trasformazione o sostituzione degli elementi costitutivi dell’addebito, non quando gli elementi essenziali della contestazione formale restano immutati nel passaggio dalla contestazione all’accertamento dell’illecito, variando solo elementi secondari e di contorno, ovvero quando ai primi si aggiungono altri elementi sui quali l’incolpato abbia comunque avuto modo di difendersi nel procedimento (Cass., Sez. U., 28 settembre 2009, n. 20730).

Nella specie non sono configurabili nè la denunciata mancanza di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza disciplinare, nè la lamentata nullità della pronuncia di condanna per acquisizione sostitutiva dell’evento della condotta.

Infatti, il capo di incolpazione formalmente contestato al dott. R. consiste nell’avere usato la propria qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, attraverso la ripetuta richiesta all’avv. A. (del quale gli erano noti i rapporti con esponenti politici di vertice del partito della (OMISSIS), avente propri rappresentanti anche in sede europea) di avere copia dei documenti o memorie, di natura riservata, presentati dal parlamentare europeo Al.Ga. (controparte del magistrato in giudizi civili e indagato in un procedimento penale nel quale il magistrato era parte offesa).

E proprio per questo la Sezione disciplinare del CSM ha condannato l’incolpato: per essersi il dott. R. rivolto all’avv. A. – difensore di alcuni indagati nel procedimento di cui era assegnatario (ed appartenenti ad un partito rappresentato nella giunta del Parlamento europeo deputata a decidere sulla richiesta di immunità dell’on. Al.) – al fine di conseguire, al di fuori dei canali e dei modi previsti, la disponibilità di copia di atti riguardanti la richiesta di quella immunità.

Vi è piena corrispondenza tra il capo di incolpazione (come emendato a seguito della richiesta della Procura generale del 21 aprile 2016) e le ragioni poste dalla sentenza disciplinare a base della condanna nel ritenere integrati tutti gli elementi costitutivi dell’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, comma 1, lett. a): l’avere il dott. R. chiesto all’avv. A., vale a dire ad un difensore di alcuni indagati in un procedimento di cui era assegnatario, “informazioni e documenti che non avrebbe altrimenti potuto agevolmente conseguire e, comunque, utili ai fini di un proprio interesse personale”.

Non è addebitabile alla Sezione disciplinare di avere erroneamente omesso di effettuare qualunque verifica circa l’ostensibilità, o meno, degli atti che il dott. R. intendeva ottenere per il tramite dell’avv. A.. Il giudice a quo ha infatti sottolineato che quello che rileva ai fini del presente procedimento disciplinare “è che la acquisizione di tali atti abbia, comunque, costituito un vantaggio per il magistrato, circostanza, invero, dimostrata per tabulas dalla avvertita necessità del dott. R. di rivolgersi al difensore… al fine di ottenerli”; e ciò dopo avere comunque dato atto – attraverso la puntuale analisi delle risultanze probatorie – della difficoltà di conseguire facilmente la disponibilità, nei modi ordinari, di tale documentazione (sono infatti riportate, nella sentenza: la telefonata del (OMISSIS), alle ore 18,30, tra l’avv. A. e la dott.ssa G., funzionaria europea, in cui, alla richiesta dell’avvocato, la G. rispondeva “non sono documenti che qui dal Parlamento possiamo far uscire anzi non mi metta in difficoltà”; la telefonata del (OMISSIS), alle ore 10,35, tra Sp. e A., nel corso della quale il primo riferiva della difficoltà di rilasciare i documenti; ancora, la telefonata tra il dott. R. e l’avv. A., nella quale viene pronunciata la frase “Se riusciamo a leggerla riservatamente siamo a cavallo”).

E neppure è configurabile, nella sentenza di condanna, la lamentata modificazione della condotta sotto il profilo teleologico, sul rilievo che, rispetto al capo di incolpazione, sarebbe stato valorizzato un diverso orientamento finalistico dell’azione (il condizionamento del voto sull’immunità presso il Parlamento).

In realtà, il vantaggio ingiusto per sè che il magistrato aveva la finalità di conseguire – necessario e sufficiente ai fini dell’integrazione dell’illecito e la cui sussistenza, prefigurata nel capo di incolpazione, è stata riscontrata in concreto dalla Sezione disciplinare – concerne la disponibilità, grazie all’interessamento dell’avv. A., di documentazione di copia degli atti riguardanti la richiesta di immunità presentata al Parlamento europeo dall’on. Al., controparte processuale del magistrato.

Che, poi, quella richiesta di aiuto mirante all’ottenimento di quel vantaggio ingiusto corrispondesse non semplicemente (come si legge nel capo di incolpazione) all’interesse del magistrato di utilizzare il contenuto della documentazione acquisita in una propria nota diretta allo stesso Parlamento, argomentando in senso contrario a quanto sostenuto dal parlamentare europeo, con l’obiettivo di dimostrare la falsità della versione da quest’ultimo prospettata, ma tendesse (come accertato nella sentenza di condanna) ad un sostegno in vista del rigetto dell’istanza dell’on. Al. da parte del Parlamento europeo, non determina un venir meno della necessaria correlazione tra l’addebito contestato e la sentenza.

Difatti, nell’economia complessiva della sentenza, questa tensione volitiva finale dell’autore della condotta disciplinarmente illecita (l’aiuto affinchè “la procedura di immunità non avesse esito favorevole per l’on. Al.”) costituisce un elemento secondario e di contorno, che la Sezione disciplinare ha tratto dal penetrante esame di risultanze istruttorie (la riservatezza del colloquio iniziale tra il dott. R. e l’avv. A. e l’attivarsi di quest’ultimo ad ampio spettro) sulle quali l’incolpato ha avuto occasione di interloquire e di difendersi ampiamente nel corso del procedimento, risultanze istruttorie evidentemente indicative “di una gestione comune dell’intero affare che andava oltre la sola acquisizione documentale, ma si estendeva alla rappresentazione e al sostegno in quella procedura delle ragioni del dott. R.”.

5. – Il quinto mezzo del ricorso del magistrato denuncia mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo, con riferimento al secondo capo di incolpazione (art. 606 c.p.p., lett. e). Ad avviso del ricorrente, la sentenza, travisando le prove, giungerebbe a ritenere accertati fatti che non trovano riscontro alcuno nelle fonti richiamate e ricevono invece incontrovertibile smentita in altre, obliterate del tutto.

Il ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia posto un “suggestivo collegamento” fra le condotte oggetto dei due capi di incolpazione: “nel senso che il secondo, successivo pure nel tempo ma esaminato per primo, avrebbe avuto ad oggetto una vicenda… di cui il dott. R. sarebbe stato già a conoscenza allorquando, nel (OMISSIS), trasferiva (in tesi) notizie riservate all’avv. A.”.

Sostiene il ricorrente che la proposizione secondo cui “la tesi difensiva secondo la quale il dott. R. sarebbe venuto a conoscenza della procedura di immunità dell’on. Al. solamente il (OMISSIS)… non trova alcun riscontro negli atti”, sarebbe “in principio illogica”, perchè, trattandosi di un fatto negativo (la non conoscenza fino ad una certa data), esso non può trovare riscontri.

Inoltre, la sentenza avrebbe equiparato senza motivazione l’inserimento dell’istanza dell’on. Al. all’ordine del giorno della Commissione giuridica del 10 (recte 17) dicembre 2012 “ad una forma di diffusione mediatica universale ed estremamente penetrante, tale da avere necessariamente raggiunto, il giorno stesso…, anche il dott. R.”.

Al contempo, la sentenza ometterebbe del tutto di considerare tre elementi di prova da cui sarebbe invece emerso il contrario: (a) il fax del 30 gennaio 2012 con cui l’avvocato dell’on. Al. trasmetteva a quello del dott. R. la comparsa di costituzione da cui questi apprendeva dell’esistenza della richiesta di immunità; (b) la certificazione della società Reputation Manager, attestante che sul Web non sono stati trovati articoli, citazioni o riferimenti inerenti la presentazione della richiesta di immunità avanzata dall’on. Al. nel periodo di ricerca dal 1 luglio 2012 al 30 gennaio 2013; (c) la medesima certificazione negativa, per il medesimo periodo e con le medesime chiavi di ricerca, rilasciata dalla società SIFA s.r.l. per quanto concernente gli archivi on line del (OMISSIS), La (OMISSIS) e (OMISSIS).

5.1. – Il motivo è infondato.

Il secondo capo di incolpazione si riferisce a fatti commessi nel (OMISSIS), in ordine al quale la Sezione disciplinare afferma essere stata acquisite “prove dirette di significato incontrovertibile”. Secondo la puntuale ed analitica ricostruzione operata dal giudice a quo, la richiesta da parte del dott. R. all’avv. A. di “informazioni e documenti che non avrebbe potuto altrimenti conseguire e, comunque, utili ai fini del perseguimento di un proprio interesse personale” emergono:

dalla telefonata in data (OMISSIS), ore 11,59, in cui il dott. R. chiama l’avv. A. domandandogli “se ha un attimo di tempo oggi per passare qui senza impegno”, visita che poi si verifica come accertato con i riscontri sul taxi e dalle ulteriori telefonate intercettate sull’utenza dell’ A.;

dalla telefonata del (OMISSIS), ore 15,36, tra l’avv. A. e l’on. M., nel corso della quale A., dopo avere riferito che l’on. Al. aveva chiesto l’immunità, esponeva a M. la necessità di entrare in possesso di questa richiesta perchè questa cosa “serve come piacere alla persona che ti ho nominato ieri”;

– dalla telefonata dello stesso giorno, alle ore 15,45, tra l’avv. A. e l’on. Sa., di analogo tenore a quella precedente, durante la quale l’ A. riferisce che ” Bo. poi ti dirà a chi interessa” e Sa. gli riferisce che il membro della Commissione dell’immunità è l’on. Sp., mentre G.V. è la funzionaria che si occupa delle immunità a Bruxelles, contestualmente dettandogli il numero telefonico;

dalla telefonata in data (OMISSIS), alle ore 17,34, fatta dall’avv. A. al dott. R., nella quale il primo rende noto all’incolpato l’esito del suo interessamento presso i vertici della (OMISSIS) per l’acquisizione di informazioni sulla richiesta di immunità da parte dell’on. Al. (“ho fatto quel riscontro e la richiesta risulta pendente e non è stata ancora decisa”):

nell’ambito di detta conversazione – ha precisato la Sezione disciplinare – il dott. R. fornisce all’interlocutore inequivo – che indicazioni (“sarebbe bene capire in che termini ha chiesto la procedura di immunità”), puntualmente riscontrate dal professionista (“non c’è problema lunedì mi danno la copia”) ed ulteriormente avvalorate dal magistrato (“se lunedì riusciamo a leggerla riservatamente siamo a cavallo”);

dalla telefonata del (OMISSIS), alle ore 18,30, tra l’avv. A. e la dott.ssa G., funzionaria della Comunità europea;

dalla telefonata in data (OMISSIS), ore 19,15, in cui il dott. R. telefona all’avv. A. per informazioni circa l’esito della deliberazione della Commissione europea sull’immunità (telefonata che si apre con “Grande avvocato A.”, nella quale il magistrato manifesta all’avv. A. la sua intenzione di procedere per calunnia nei confronti dell’on. Al., l’avv. A. risponde “Procediamo procediamo”, il dott. R. dice al suo interlocutore “Sì, ma poi ci vediamo da vicino, facciamo un commento personale noi due”, e alla domanda “A che ora passo?”, il magistrato risponde “A braccia aperte caro mio, io alle nove e mezza normalmente…. l’aspetto con grande piacere, grazie di tutto”).

La Sezione disciplinare, nel giungere alla conclusione della sussistenza dell’illecito, ha compiuto valutazioni comprese nel perimetro del merito ad essa riservato e non suscettibili di controllo in sede di legittimità sotto nessuno dei profili sollevati con il motivo di ricorso.

E’ da escludere il denunciato vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui avrebbe instaurato un collegamento tra le due condotte oggetto dei due capi di incolpazione, anticipando al (OMISSIS) la conoscenza, da parte del dott. R., dell’istanza per la procedura di immunità avanzata dall’on. Al. e con ciò ravvisando un anello di congiunzione tra l’illecito del primo e l’illecito del secondo capo di incolpazione.

Il prospettato vizio motivazionale è privo del carattere della decisività (cfr. Cass. pen., Sez. 2, 26 settembre 2012-28 settembre 2012, n. 37709; Cass. pen., 25 novembre 2015-27 gennaio 2016, n. 3724): la sentenza non fonda la propria ratio sul rilievo che il magistrato ha trasferito notizie riservate all’avv. A. perchè voleva chiedere informazioni sulla procedura di immunità dell’on. Al., ma sulla considerazione che la richiesta di “importanti favori” era rivolta ad un soggetto – l’avv. A. – che non solo nutriva un “sentimento di stima professionale” nei confronti del dott. R., ma che era anche consapevole “di avere ricevuto una utilità che in qualche misura poteva essere adeguatamente compensata dalla prestazione che in quel momento” gli veniva domandata.

La sollecitazione di una diversa valutazione in ordine alla data in cui il magistrato venne a conoscenza della presentazione, da parte dell’on. Al., dell’istanza di immunità (se nel (OMISSIS), come afferma la sentenza in un passaggio secondario ed incidentale; o non prima del (OMISSIS), come prospetta il motivo di ricorso) investe un profilo non rilevante nel contesto della complessiva motivazione della pronuncia della Sezione disciplinare. La quale, lungi dall’incorrere nel denunciato vizio di mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, ricostruisce con congruo e ponderato apprezzamento delle risultanze di causa il senso inequivoco delle azioni poste in essere: la richiesta da parte del dott. R. al professionista “di recarsi da lui, con formula sintetica, ma che nella sua asciuttezza è indicativa della necessità di un incontro personale, nel quale sarebbero state del tutto verosimilmente affrontate questioni che non era il caso di discutere al telefono”; il successivo incontro, nel quale il magistrato “chiese all’avv. A. informazioni e documenti che non avrebbe altrimenti potuto conseguire”, relativi alla istanza di immunità avanzata dall’on. Al., “controparte processuale del magistrato”; “l’attivarsi dell’ avv. A. ad ampio spettro”; la “gestione comune dell’intero affare”.

6. – Passando all’esame del ricorso del Procuratore generale, il primo motivo denuncia, in riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti specificamente indicati, in relazione all’assoluzione dell’incolpato dall’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a), contestato al terzo capo. Il Procuratore generale premette che la relazione di consulenza tecnica che l’avv. A. voleva ottenere era stata svolta nell’ambito del procedimento a carico di Be., di Bo.Um. e di altre persone legate a quest’ultimo per i reati di associazione a delinquere finalizzata alle truffe, di truffa e di appropriazione indebita, che persona offesa dei suddetti reati contro il patrimonio era la (OMISSIS), il cui difensore fiduciario era l’avv. A., e che tale relazione, come tutti gli altri atti del procedimento, era coperta da segreto ai sensi dell’art. 329 c.p.p., comma 1, perchè le indagini preliminari erano in corso. Il ricorrente sostiene che l’iter argomentativo che sorregge l’impugnata decisione sarebbe radicalmente incompleto, per non avere considerato che – una volta che l’istanza volta ad ottenere copia non era stata accolta – il dott. R. ha rassicurato il legale dicendogli che nel citato documento “non ci stava niente di particolare” e ha rivelato al medesimo – che espressamente gli domandava quali sarebbero stati i tempi di chiusura dell’indagine, con conseguente deposito degli atti che una parte della indagine sarebbe stata chiusa in quindici o venti giorni. D’altra parte, le argomentazioni della sentenza sarebbero meramente apparenti, perchè era evidente che il legale non poteva ottenere legittimamente la relazione in questione, in quanto coperta dal segreto. La sentenza assolutoria neppure avrebbe argomentato in merito alle peculiari circostanze del fatto (immediata disponibilità manifestata dal dott. R. alle richieste del difensore, suggerimenti circa il contenuto dell’istanza, elementi evincibili dal contenuto e dalla scansione temporale delle telefonate indicate nella sentenza).

6.1. – La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha innanzitutto ripercorso il contenuto delle risultanze probatorie, rilevando che nella giornata del (OMISSIS) erano state intercettate tre conversazioni telefoniche – rispettivamente delle ore 15,44, delle ore 16,27 e delle ore 17,45 – nel corso delle quali dapprima l’avv. A. preannunciava al dott. R. che il giorno seguente il settimanale (OMISSIS) avrebbe pubblicato tutta l’indagine di Milano su Be. e, successivamente, chiedeva allo stesso R. di avere copia della consulenza tecnica indicata dallo stesso settimanale, ricevendo come risposta un’indicazione sulle modalità con le quali avanzare l’istanza all’Ufficio della Procura per ottenere copia del documento richiesto.

Su questa base, la Sezione disciplinare ha escluso che la condotta dell’incolpato valga ad integrare il necessario elemento dell’illecito disciplinare costituito dall’indebito vantaggio” che avrebbe dovuto conseguire il difensore, e ciò sul rilievo che il magistrato si è, in sostanza, “limitato ad indicare al professionista le modalità con le quali pervenire alla legittima acquisizione del documento”.

L’esclusione della responsabilità per questo capo di incolpazione è frutto, non di una mera asserzione, ma del convincimento – espresso dal giudice disciplinare con congrua motivazione – “che nessun danno venne cagionato agli indagati e nessuna scorrettezza venne commessa dal dott. R. con riferimento al rilascio di copia di una consulenza tecnica all’avv. A.”.

L’apprezzamento della Sezione disciplinare lascia chiaramente intendere le ragioni per le quali nella condotta dell’incolpato non è stata ravvisata la fonte nè di un ingiusto danno (per gli indagati) nè di un indebito vantaggio (per il professionista): e ciò in quanto il magistrato ha, per un verso, semplicemente suggerito l’unica via – la formale richiesta all’Ufficio di rilascio della copia – attraverso la quale era possibile pervenire alla legittima acquisizione del documento in questione, e si è per altro verso limitato – una volta che l’istanza presentata non è stata accolta (essendo stato ritenuto, da parte di altri magistrati del pubblico ministero, che l’atto richiesto non fosse ostensibile alla persona offesa poichè non noto agli indagati) – ad una generica frase di circostanza (nella consulenza “non ci stava niente di particolare”), senza affatto divulgare o riferire lo specifico contenuto della consulenza stessa.

Nè, d’altra parte, può ritenersi illecita, per violazione dei doveri di imparzialità, di correttezza e di riserbo, la rassicurazione che l’indagine sarebbe stata chiusa dall’organo inquirente in quindici o venti giorni: essa non è divulgazione preferenziale di una strategia investigativa dell’Ufficio, ma conferma dell’osservanza del dovere funzionale del pubblico ministero di svolgere e di concludere in un tempo ragionevole le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale.

7. – Il secondo motivo del medesimo ricorso denuncia, in riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato in relazione all’assoluzione dell’incolpato dall’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. d), contestato al quarto capo. Il giudice disciplinare non avrebbe svolto nessuna argomentazione sulla questione relativa alla grave scorrettezza nei confronti dei colleghi dell’ufficio, concretatasi nell’avere riferito all’avv. A. che il rigetto della richiesta era imputabile ai suoi colleghi. La sentenza di assoluzione avrebbe finito per focalizzare l’attenzione su aspetti diversi, eccentrici e non rilevanti ai fini in esame. La condotta scorretta non atteneva al rilascio di copia di una consulenza tecnica all’avv. A., evento peraltro mai verificatosi, ma al diverso aspetto consistito nell’avere il dott. R. rivelato al professionista che non avrebbe potuto ottenere la suddetta copia per responsabilità di altri magistrati, i quali non avevano assecondato la volontà dello stesso incolpato di esaudire i desiderata del difensore.

Con il terzo motivo (erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. d, in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b.) il Procuratore generale ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non abbia considerato che il dott. R. non solo ha anticipato il suo favorevole orientamento sull’istanza, ma ha comunicato al difensore che la reiezione della domanda era stata determinata dal fatto che gli altri assegnatari del provvedimento, i sostituti procuratori dott. Pe. e dott. Fi., si erano opposti alla sua volontà di provvedere al rilascio, e che il contrasto determinatosi era stato, infine, risolto dal procuratore della Repubblica dott. Br.Li..

7.1. – I due motivi – che possono essere esaminati congiuntamente, stante la stretta connessione – sono infondati.

La Sezione disciplinare, con riguardo alla contestazione di cui al quarto capo di incolpazione, ha affermato che “nessuna scorrettezza venne commessa dal dott. R. con riferimento al rilascio di una copia di una consulenza tecnica al dott. A.” e che non è dato “di ravvisare alcun comportamento scorretto dell’incolpato nei confronti degli altri magistrati dell’ufficio ed, in particolare, nei confronti dei sostituti Pe. e Fi., contitolari del procedimento, e del procuratore Br.Li.. Le dichiarazioni rese dai dott. Pe. e Fi. sono, infatti, inequivoche e consentono di ritenere provato che l’incolpato ebbe a consultarsi con i colleghi sul tema dell’eventuale rilascio della copia della consulenza al difensore”.

Sulla premessa che “l’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. d), è norma elastica, che impone al giudice disciplinare una delicata operazione valutativa, finalizzata a determinare se la inosservanza dell’obbligo di correttezza sia o meno “grave”, il giudice a quo ha escluso “che il comportamento del dott. R. sia stato gravemente scorretto nei confronti degli altri magistrati dell’ufficio, poichè è rimasto confinato nel perimetro delle norme processuali, senza ledere le prerogative assegnate dal codice di rito al singolo pubblico ministero”.

Così decidendo, la Sezione disciplinare ha posto a base della decisione assolutoria la circostanza di fatto dell’essersi il magistrato consultato con i colleghi ai fini dell’eventuale rilascio della copia della consulenza al difensore e la ponderata valutazione – frutto di apprezzamento di merito in questa sede non ulteriormente sindacabile – che nessuna “grave” scorrettezza era imputabile all’incolpato: e ciò sul rilievo, evidentemente, che, avendo il dott. R. preventivamente espresso la sua disponibilità in via di principio a consegnare il documento al difensore la copia della consulenza contabile, la stessa comunicazione del rigetto dell’istanza lasciava intendere che il mancato accoglimento della richiesta era dovuto al parere contrario degli altri componenti dell’Ufficio del pubblico ministero, le cui determinazioni il dott. R. ha rispettato.

E’ bensì esatto che – come ricorda il ricorrente Procuratore generale – questa Corte (Cass., Sez. U., 23 aprile 2012, n. 6328) ha statuito che, in tema di illeciti disciplinari riguardanti i magistrati, costituisce comportamento gravemente scorretto nei confronti dei colleghi, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), l’avere anticipato al difensore della parte interessata il prevedibile rigetto di un’istanza a causa dell’orientamento contrario degli altri componenti del collegio, attesa la (almeno potenziale) violazione del segreto della camera di consiglio, concretizzabile anche prima dell’adozione del provvedimento, e l’indebita attribuzione ai colleghi del previsto esito del procedimento.

Ed è del pari condivisibile la sottolineatura del Procuratore generale ricorrente, secondo cui tale principio, enunciato in una fattispecie riguardante un ufficio giudicante, è applicabile, allo stesso modo, anche all’ufficio del pubblico ministero, dovendo analoga protezione disciplinare contro comportamenti gravemente scorretti essere accordata in caso di violazione del segreto posto a presidio della delicatissima fase delle indagini preliminari (si pensi all’ipotesi, cui allude esemplificativamente il ricorso, in cui venga palesato, attraverso la rivelazione confidenziale fatta al difensore di uno degli indagati o delle parti offese, che la volontà di richiedere una misura cautelare personale o di respingere un’istanza di revoca della medesima è imputabile ai colleghi codelegati o al procuratore della Repubblica).

Sennonchè, al fondo della decisione assolutoria della Sezione disciplinare vi è, non il discostamento da quel principio, ma, piuttosto, l’equilibrata valutazione della complessiva vicenda in termini di “non gravità” della scorrettezza: giacchè – come emerge dalla articolata motivazione della sentenza – nella specie non sono stati rivelati atti di indagine coperti dal segreto, ma soltanto palesata, in termini non idonei a compromettere l’unitarietà funzionale dell’Ufficio, la decisione dei colleghi pubblici ministeri di non rendere ostensibile un documento della cui esistenza aveva già dato notizia un periodico settimanale.

8. – Prima dell’esame del quarto e del quinto motivo del ricorso del Procuratore generale, riguardanti il trattamento sanzionatorio, occorre tornare al ricorso del dott. R., che nella parte finale prospetta che lo scrutinio dei motivi di ricorso da lui proposti dovrebbe quanto meno evidenziare che si è di fronte a “condotte non significative e dunque non sanzionabili ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis attesa la scarsa rilevanza dei fatti (fra quelli contestati) realmente accertati”. Il ricorso del magistrato sollecita così un “rinvio alla Sezione disciplinare del CSM, affinchè… provveda a (ri)valutare l’irrilevanza disciplinare delle condotte tenute dal dott. R. per la scarsa rilevanza dei fatti accertati ex art. 3-bis…, già per non essere oltremodo suscettibili di venir unitariamente considerat(i) ai fini della certa gravità, a conforto della quale la sentenza di condanna opera attualmente una valutazione necessariamente contestual(e)”.

8.1. – La richiesta non può essere accolta.

In tema di illeciti disciplinari riguardanti i magistrati, l’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis presuppone che la fattispecie tipica si sia realizzata ma che, per particolari circostanze, anche non riferibili all’incolpato, il fatto risulti di scarsa rilevanza (Cass., Sez. U., 24 giugno 2010, n. 15314; Cass., Sez. U., 5 luglio 2011, n. 14665; Cass., Sez. U., 19 luglio 2016, n. 14800).

Nella specie la Sezione disciplinare del CSM ha compiuto una valutazione della concreta offensività del comportamento del magistrato: sottolineando che il quadro emerso, “nel contesto delle complessive condotte ascritte all’incolpato, riconducibili ad un unico filo conduttore”, “è indicativo della violazione dei fondamentali doveri del magistrato, fra i quali rientrano l’imparzialità, la correttezza, il riserbo e l’equilibrio, che impongono al pubblico ministero di omettere di intrattenere rapporti non trasparenti con i difensori, tantomeno avvalendosi di canali privilegiati”; ed affermando che l’effettiva lesione dei beni giuridici presidiati dalla norma incriminatrice disciplinare” esclude la possibilità di affermare la scarsa rilevanza del fatto.

Si tratta di una valutazione congrua, sufficientemente e logicamente motivata, che non consente di ravvisare i presupposti per un ulteriore approfondimento in sede di merito.

9. – Il quarto motivo del ricorso della Procura generale censura, in riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato in relazione all’irrogazione della sanzione accessoria del trasferimento ad altra sede ma con destinazione ad ufficio requirente e a funzioni identiche a quelle in precedenza esercitate. Ad avviso del ricorrente, il giudice disciplinare non avrebbe esplicitato le ragioni per le quali il dott. R. possa continuare ad espletare, sia pure in una diversa sede giudiziaria, le originarie funzioni requirenti, una volta accertata la sua responsabilità per due degli illeciti disciplinari oggetto della incolpazione ed a fronte di una specifica richiesta, sul punto, formulata in udienza dal Procuratore generale. Ulteriormente, la Sezione disciplinare non avrebbe fornito motivazione alcuna per giustificare, nell’ambito della funzione requirente mantenuta, l’attribuzione al dott. R. anche delle specifiche funzioni semidirettive di procuratore aggiunto della Procura di Torino.

9.1. – Il motivo è infondato, sotto entrambi i profili in cui è articolato.

Analogamente a quanto accade per la determinazione della sanzione principale, anche l’opportunità della sanzione accessoria del trasferimento del magistrato è oggetto, salva la necessaria sussistenza del presupposto logico legato alla sanzione principale inflitta (che deve essere diversa dall’ammonimento e dalla rimozione), di un apprezzamento di fatto riservato alla Sezione disciplinare del CSM, non censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass., Sez. U., 19 agosto 2009, n. 18374).

Il giudice disciplinare ha ritenuto congrua, accanto alla sanzione principale della perdita di anzianità di mesi sei, la sanzione accessoria del trasferimento d’ufficio, nella forma del trasferimento ad altra sede.

Il presupposto per l’applicazione di questa sanzione accessoria è stato ravvisato dalla Sezione del CSM nel rilievo “che le condotte illecite poste in essere dall’incolpato trovano nel particolare e sensibile ambito territoriale in cui l’incolpato ha esercitato le proprie funzioni… (un) elemento di connessione”, e nella considerazione “che la pubblicità dei fatti determinata da numerosi articoli di stampa ha contribuito ad ampliare la loro notorietà il che determina un attuale pregiudizio al buon andamento dell’amministrazione della giustizia nella sede originariamente ricoperta dal magistrato oltre che una incisione del necessario coefficiente fiduciario che deve presiedere, in generale, all’esercizio della funzione requirente, nei rapporti con i colleghi, con la polizia giudiziaria e con il personale amministrativo della sede nella quale si svolgono le funzioni”.

Dalla motivazione che assiste la scelta del tipo di sanzione accessoria in concreto applicata (trasferimento d’ufficio limitato alla sede), traspare in modo evidente che il giudice disciplinare ha riscontrato il pregiudizio attuale al buon andamento dell’amministrazione della giustizia nel mantenimento delle funzioni nel territorio nel quale esse erano originariamente svolte dall’incolpato, e ciò non solo per la “connessione” delle condotte illecite poste in essere con quel “particolare e sensibile ambito territoriale”, ma anche per la perdita dell’immagine del magistrato e per la incisione del necessario coefficiente fiduciario nell’ufficio di provenienza.

Ma da tale motivazione risulta anche – implicitamente ma chiaramente – che nessuna incompatibilità ha ravvisato la Sezione disciplinare al mantenimento in sè (nella diversa sede giudiziaria) delle originarie funzioni requirenti esercitate dall’incolpato, non essendovi alcun riscontro che proprio l’esercizio delle specifiche funzioni requirenti sia stato pregiudicato dagli illeciti disciplinari accertati.

D’altra parte, l’assoluzione del dott. R. dal terzo e dal quarto capo di incolpazione – riferiti a condotte del magistrato tese, secondo la prospettazione dell’organo titolare dell’azione disciplinare, ad avvantaggiare il difensore della persona offesa in danno degli indagati o a compromettere l’unitarietà e l’impersonalità dell’ufficio del pubblico ministero – dimostra la coerenza della sentenza là dove non ha considerato in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia la conservazione al magistrato delle funzioni requirenti.

Nè migliore fondamento ha la censura rivolta alla statuizione con cui al dott. R. sono state mantenute le specifiche funzioni semi-direttive di procuratore aggiunto, avendo questa Corte (Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24825) già affermato che mentre, alla stregua del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 13, comma 2, il trasferimento, in via cautelare e provvisoria, del magistrato incolpato può determinarne la destinazione a funzioni diverse rispetto a quelle in atto ricoperte (nella specie, da funzioni requirenti semidirettive a funzioni giudicanti di primo grado), l’irrogazione della definitiva sanzione accessoria di cui al comma 1 del medesimo articolo può soltanto comportare il trasferimento del magistrato ad altra sede ed altro ufficio, ma non anche la perdita delle suddette funzioni esercitate, non risultando altrimenti garantito, anche in rapporto al criterio di tipicità e tassatività delle sanzioni, il razionale coordinamento con la previsione di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 109 cit. in merito a sanzione principale di analogo contenuto oggettivo.

10. – Con il quinto mezzo il ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), violazione di legge in relazione alla irrogazione di sanzione disciplinare accessoria con la quale sono state assegnate funzioni requirenti nella medesima sede giudiziaria in cui erano in atto esercitate funzioni giudicanti, in violazione del divieto di cui al D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160, art. 13, comma 3.

10.1. – Il motivo è infondato.

10.2. – La Sezione disciplinare ha ritenuto la destinazione del dott. R., con misura cautelare, allo svolgimento di funzioni di giudice al Tribunale di Torino non ostativa alla applicazione del trasferimento di sede con funzioni di procuratore aggiunto presso lo stesso Tribunale, e ciò perchè, in materia di sanzioni disciplinari, non troverebbe applicazione il disposto del D.Lgs. n. 160 del 2006, art. 13, comma 3.

A tale conclusione il giudice a quo è pervenuto muovendo, innanzitutto, dalla premessa che “il divieto di passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, ai sensi del D.Lgs. n. 160 del 2006, art. 13 non ha carattere assoluto”, poichè esso non trova applicazione nei casi in cui la legge vi deroghi espressamente, in ipotesi di deroga implicita ovvero nei casi in cui una diversa disciplina si giustifichi in ragione della necessità di assicurare la tutela di valori di rango superiore rispetto a quelli di cui alla citata disposizione speciale”. Vengono al riguardo citati: (a) la disposizione del D.Lgs. n. 160 del 2006, art. 13, comma 6 a norma del quale “le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’art. 10, commi 15 e 16, nonchè, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui allo stesso art. 10, commi 6 e 14 che comportino il mutamento da giudicante e requirente e viceversa”; (b) il caso del trasferimento d’ufficio ai sensi della L. 4 maggio 1998, n. 133, la quale consente ai magistrati, una volta assegnati alle sedi disagiate, di ritornare a svolgere dopo quattro anni le medesime funzioni nell’ufficio di provenienza; (c) l’ipotesi del tramutamento ai sensi della L. 5 febbraio 1992, n. 104, in vista dell’assistenza alle persone in condizione di handicap, “pacificamente attuabile in deroga al citato art. 13, comma 3”.

Alla luce di tale premessa, la Sezione disciplinare, nell’affermare il carattere recessivo del divieto di cui al D.Lgs. n. 160 del 2006, art. 13, comma 3, rispetto alla parametrazione sanzionatoria fornita nel D.Lgs. n. 109 del 2006, ha considerato:

– che la normativa relativa al procedimento disciplinare “non pone espressi vincoli al trasferimento”, sia quando esso è disposto come misura cautelare, sia quando è applicato come sanzione accessoria;

– che “le esigenze cautelari e sanzionatorie sottese ai trasferimenti disciplinari sono direttamente funzionali alla tutela di valori di fondo non solo dell’ordinamento giudiziario, ma dello stesso ordinamento democratico”;

– che “la legge disciplinare e la stessa applicazione della sanzione, che è espressione della funzione disciplinare e la concretizza, è funzionale alla diretta attuazione” dell’art. 101 Cost., commi 1 e 2, e art. 104 Cost., comma 1 “e, quindi, avendo funzione attuativa degli alti valori che è diretta a presidiare, è certamente titolata, in ragione della primaria necessità di assicurare il rispetto di tali principi, a derogare al regime previsto dall’art. 13, comma 3, citato”;

– che “non può essere, infine, pretermesso il diritto dell’incolpato, assegnato all’ufficio giudicante in forza di disposizione cogente del giudice disciplinare, a non andare incontro ad ulteriori conseguenze sfavorevoli, come quella di un mutamento di sede per ragioni del tutto indipendenti dalla sua volontà, il che varrebbe ad attribuire al provvedimento cautelare una specifica ed autonoma valenza afflittiva non rinvenibile nel sistema processuale”.

10.3. – Il D.Lgs. n. 160 del 2006, art. 13 contiene, al comma 3, la disciplina del passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa, passaggio che: (a) non è consentito all’interno dello stesso distretto, nè all’interno di altri distretti della stessa regione, nè con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’art. 11 c.p.p. in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni; (b) può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo avere svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata; (c) è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario.

Regole particolari, e meno rigorose, sono poi previste, al successivo comma 4, per il caso di passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili e viceversa.

Tali disposizioni – nell’introdurre la regola per cui il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, importa un cambiamento di sede – sono espressione di una scelta di politica legislativa finalizzata a meglio garantire il principio di imparzialità, nel convincimento che esso possa essere vulnerato, in termini di effettività o anche solo di percezione esterna, dal libero transito dall’una all’altra funzione.

10.4. – La questione che il ricorso pone in termini generali è se il divieto di passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti ponga un limite suscettibile di applicarsi, per la sua valenza generale, al sistema sanzionatorio disciplinare, rappresentandone una etero-integrazione a mezzo di una fonte pari ordinata; o se le limitazioni territoriali previste dall’art. 13 si riferiscano esclusivamente al passaggio dalle funzioni su domanda dell’interessato, senza riguardare il trasferimento ad altro ufficio disposto in via disciplinare, quale sanzione accessoria, essendosi di fronte ad un’ipotesi di indifferenza fra disposizioni appartenenti a sistemi normativi non interferenti per essere l’esercizio del potere disciplinare fenomeno diverso, del tutto estraneo all’ambito applicativo del divieto prefigurato dal legislatore in tema di passaggio di funzioni.

10.5. – Ai fini dell’economia della presente decisione non occorre affrontare detta questione.

La risoluzione di essa sarebbe infatti rilevante ove ci si trovasse di fronte ad un’ipotesi di irrogazione della sanzione disciplinare accessoria del trasferimento di ufficio, sotto forma di mutamento delle funzioni, da requirenti a quelle giudicanti, o viceversa: solo in tal caso dovendosi stabilire se ad essa debba accompagnarsi, per effetto della contemporanea operatività della disciplina sul passaggio di funzioni, il trasferimento (extraregionale o, a seconda dei casi, extraprovinciale) di sede.

10.6. – Nella specie, invece, la sanzione disciplinare applicata è quella del trasferimento di sede, da Milano a Torino, sempre con funzioni di procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il Tribunale.

La Sezione disciplinare non ha disposto il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, ma unicamente la sanzione accessoria del trasferimento di sede.

La riassegnazione del dott. R. alle originarie funzioni di pubblico ministero rappresenta esclusivamente – come sottolinea la difesa dell’incolpato – la naturale ed inevitabile conseguenza del venir meno, a seguito della sentenza sul merito disciplinare, dell’efficacia provvisoria della misura cautelare del trasferimento ad altra sede e della destinazione ad altre funzioni.

D’altra parte, anche ove si dovesse seguire la tesi, sostenuta dal ricorrente Procuratore generale, della integrazione della disciplina sul trasferimento d’ufficio in sede disciplinare ad opera della coeva normativa ordinaria sul passaggio di funzioni, in ogni caso la sede, rispetto alla quale sarebbero destinati a operare i limiti di cui al D.Lgs. n. 160 del 2006, art. 13 non potrebbe essere quella provvisoria (nella specie, Torino) occupata per effetto della applicazione della misura cautelare (del trasferimento ad altra sede con destinazione alle funzioni giudicanti).

Diversamente opinando, si assisterebbe ad una spirale di sanzioni accessorie a catena, contraria ad ogni principio di razionalità-equità: la misura del trasferimento d’ufficio disposta in via cautelare dal giudice disciplinare – ancorchè caducata per effetto del trattamento sanzionatorio irrogato dalla Sezione disciplinare in esito al dibattimento (che ha riconosciuto la responsabilità del magistrato soltanto per due dei quattro addebiti originariamente contestatigli) – varrebbe a conformare e modellare, condizionandolo, l’effetto sanzionatorio finale, imponendo la necessità di un “nuovo” cambiamento di sede, per la non compatibilità con le funzioni giudicanti esercitate nella sede giudiziaria provvisoriamente assegnata.

E’ pertanto condivisibile quanto ha affermato, in conclusione, la Sezione disciplinare del CSM, là dove ha per un verso sottolineato che il sistema ordinamentale e processuale non consente di attribuire questa “specifica ed autonoma valenza afflittiva” al provvedimento cautelare, e ha per l’altro verso riconosciuto “il diritto dell’incolpato, assegnato all’ufficio giudicante in forza di disposizione cogente del giudice disciplinare, a non andare incontro ad ulteriori conseguenze sfavorevoli, come quella di un ulteriore cambiamento di sede per ragioni del tutto indipendenti dalla sua volontà”.

11. – I ricorsi sono, entrambi, rigettati.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi.

Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017

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