Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10414 del 20/05/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10414 Anno 2016
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: PELLECCHIA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 11994-2015 proposto da:
NISI ANNA, BELLI SERGIO, BELLI MIRIAM,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA POMPO= LETO 2,

presso

lo

studio dell’avvocato CLAUDIO STRONATI, che li
rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrenti contro

CASA

DI

CURA PIACENZA SPA, in persona del legale

rappresentante dott. Gianfranco Agamennone,
elettivamente domiciliata in ROMA, VICOLO ORBITELLI

Data pubblicazione: 20/05/2016

31, presso lo studio dell’avvocato MICHELE CLEMENTE,
che la rappresenta e difende giusta procura speciale
in calce al controricorso;
BONACCORSI PIERO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA LIMA, 41, presso lo studio dell’avvocato

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELO
PERINI giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– controricorrenti nonchè contro

ALLIANZ RAS SPA;
– intimataavverso la sentenza n. 2506/2014 della CORTE
D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/12/2014,
R.G.N. 839/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/12/2015 dal Consigliere Dott.
ANTONELLA PELLECCHIA;
udito l’Avvocato CLAUDIO STRONATI;
udito l’Avvocato FRANCESCO AMERIGO CIRRI SEPE QUARTA;
udito l’Avvocato MICHELE CLEMENTE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso Nisi e l’accoglimento dei
ricorsi Belli (Cass. sent. n. 8546/2008).

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FRANCESCO AMERIGO CIRRI SEPE QUARTA, che lo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.
1. Nel dicembre del 2002, Anna Nisi, Sergio e Miriam Belli convennero
in giudizio il prof. Bonaccorsi e la casa di cura Piacenza s.p.a. per
ottenere il risarcimento dei danni derivanti dai postumi di un intervento
chirurgico. Espose l’attrice che nel 1993, a causa delle crisi di cefalee di

noto specialista in materia di ce falce, che gli aveva consigliato un
intervento chirurgico di settoetmoidosfenectomia decompressiva
neurovascolare entronasale radicale di terzo grado con l’obiettivo di
risolvere con altissima probabilità la sua patologia. Ma l’intervento,
eseguito presso la casa di cura Piacenza, non solo non aveva guarito la
Nisi ma anzi aveva aggravato la situazione, creando problemi di
respirazione, diminuzione di olfatto, infiammazioni della rinofaringe e
sintomi depressivi, fenomeni del tutto inesistenti prima e neanche
eliminati a seguito delle numerose e lunghe cure cui si era sottoposta la
paziente su indicazione del Bonaccorsi.
Pertanto, ritenuta inadeguata la scelta del trattamento chirurgico posto
in essere dal sanitario, fortemente aggressivo tanto da aver comportato
l’asportazione di strutture anatomiche integre, e prospettata una lesione
del diritto della paziente alla completa ed adeguata informazione sui
rischi dell’intervento subito, l’attrice chiese la condanna dei convenuti in
solido fra loro al risarcimento di tutti danni non patrimoniali patiti da lei
e dai propri congiunti (marito e figlia) per un importo complessivo di
curo 1.000.000,00, danni che venivano ricondotti a svariate tipologie
quali danno biologico, morale, esistenziale, estetico, alla vita di
relazione, alla libertà personale, alla salute.
Si costituirono in giudizio i convenuti per resistere e chiedere il rigetto
delle avverse pretese ritenute infondate sull’an e sul quantum.
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cui soffriva sin da quando era bambina, si era rivolta al Bonaccorsi,

Su richiesta del Bonaccorsi veniva esteso il contraddittorio alla RAS
Assicurazioni, indicata quale compagnia della casa di cura
contrattualmente obbligata anche alla copertura della responsabilità
civile dei medici operanti nella struttura. Tuttavia nessuno si costituì per
la terza chiamata.

domanda attorea ritenendo che ancorché l’intervento fosse stato
eseguito senza errori la terapia chirurgica non era adeguata rispetto alle
concrete condizioni patologiche in cui versava la paziente che, tra
l’altro, non era stata neanche compiutamente informata, dei rischi cui
sarebbe andata incontro. Pertanto ritenne responsabili in solido sia il
Bonaccorsi che la Casa di Cura riconoscendo sussistenti in capo alla
Nisi i danni accertati a mezzo di c.t.u. (pari a 18% di danno biologico,
oltre sei mesi di invalidità temporanea 50% e sei mesi di invalidità
temporanea al 25%) giudicandoli esaustivi e comprensivi della
sofferenza morale patita dalla danneggiata e di ogni altro profilo di
danno non patrimoniale dedotto in atto. Provvedeva quindi alla relativa
liquidazione sulla base delle cosiddette tabelle di Milano, con interessi
sul capitale computati a decorrere da una data intermedia tra il fatto e
la sentenza. Rigettava la domanda risarcitoria proposta dai congiunti
Sergio e Miriam Belli in quanto infondata, così come la domanda di
rnanleva avanzata dal Bonaccorsi nei confronti della Ras.
2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Bologna,
con sentenza n. 2506 del 16 dicembre 2014.
3. Avverso tale decisione, Anna Nisi, Sergio e Miriam Belli propongono
ricorso in Cassazione sulla base di 4 motivi, illustrati da memoria.

3.1 Resistono con controricorso autonomi, il Bonaccorsi e la Casa di
Cura Piacenza. Il Bonaccorsi ha depositato memoria.
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Il Tribunale di Piacenza con la sentenza numero 687/2009, accolse la

MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la “violazione e falsa
applicazione dei criteri di valutazione dei danni da invalidità
permanente ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.”.
Lamentano che i giudici del merito avrebbero negato l’esistenza del

ricompreso nelle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, che il
giudice di primo grado avrebbe adottato per la liquidazione dei danni
patiti dalla Nisi. E che a tale conclusione sarebbero pervenuti
interpretando in maniera fuorviante ed errata la nota sentenza di questa
Corte la numero 26972/2008.
Il motivo è infondato.
E’ principio di questa Corte che il danno biologico (cioè la lesione della
salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamicorelazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel
peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in
cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona)
costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e
tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà
del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008
delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacché quel principio
impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una
considerazione atomistica dei suoi effetti.
I giudici del merito in linea con tale principio hanno liquidato sia il
danno biologico sia quello morale perché nella valutazione della
percentuale di invalidità permanente effettuata dal ctu è stato esplicitato
che nella percentuale assegnatale del 18% dovevano dirsi ricompresi

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danno morale al di fuori ed oltre il danno biologico, ritenendolo

tutti i postumi di natura fisica e latamente psichica derivanti
dall’inappropriato trattamento chirurgico subito.

4.2. Con il secondo motivo, denunciano il danno da mancanza
dell’informazione da parte del medico è mancanza del consenso da
parte della signora Nisi.

non ravvisano come autonoma e distinta voce di risarcimento la
mancanza di informazione e di consenso informato della Nisi
assumendo che la mancanza del consenso informato costituisca di per
sé un danno nei confronti della paziente che deve essere di risarcito in
maniera autonoma ed a prescindere dal danno alla salute e dagli altri
danni ad esso connessi.
Il motivo è fondato.
E’ principio consolidato di questa Corte che in tema di attività medicochirurgica, è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione
del consenso informato del paziente in ordine all’esecuzione di un
intervento chirurgico, ancorché esso apparisse, ” ex ante”, necessitato
sul piano terapeutico e sia pure risultato, “ex post”, integralmente
risolutivo della patologia lamentata, integrando comunque tale
omissione dell’informazione una privazione della libertà di
autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto
preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative
all’espletamento dell’atto medico e di beneficiare della conseguente
diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi
vengano in alcun modo compensati dall’esito favorevole dell’intervento
(Cass. n. 12205/2015).
Infatti in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica,
il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole
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I ricorrenti sostengono che sono errate le sentenze del merito laddove

adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che
quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte
le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che
intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le
relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, col
solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite

accidie, in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad
interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento
lesivo (Cass. n. 27751/2013).
L’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del
sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente
ad oggetto l’intervento terapeutico, di talché l’errata esecuzione di
quest’ultimo dà luogo ad un danno suscettibile di ulteriore e autonomo
risarcimento rispetto a quello dovuto per la violazione dell’obbligo di
informazione, anche in ragione della diversità dei diritti rispettivamente, all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed
all’integrità psicofisica – pregiudicati nelle due differenti ipotesi. (Cass. n.
2854/2015).
Nel caso di specie la motivazione della corte d’appello è contraddittoria
ed ha violato i principi sopra espressi nella parte in cui prima afferma
che la Nisi non è stata debitamente informata e poi ha tratto la
conclusione che sebbene l’inadempimento del sanitario si sia
caratterizzato nel caso specifico per negligenza, imprudenza o imperizia
sia nella scelta della terapia chirurgica effettuata che nell’omissione di
adeguata preventiva informazione della paziente e sui rischi del
trattamento, non sussistono profili di danno non patrimoniale che la
Nisi abbia patito che non siano stati già ricompresi e valutati nella

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del fortuito, che non assumono rilievo secondo l’ “id quod plerumque

quantificazione in misura percentuale del 18% del danno permanente
riscontrato in sede di c.t.u. e fatto proprio dal giudice di primo grado.

4.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la mancata liquidazione
dei danni a Sergio e Miriam Belli, rispettivamente marito e figlia della
signora Nisi.

aver negato il risarcimento al marito della ricorrente e alla figlia, titolari
di diritti costituzionalmente garantiti, in quanto costretti a subire le
ingiuste conseguenze derivanti dall’inqualificabile comportamento del
medico sulla persona a loro più cara, comprensibilmente stressata,
delusa e incattivita da tutto tale patire.
Il motivo è infondato
La corte d’appello ha rigettato il motivo di gravame rilevando che il
danno lamentato non sia stato provato. Infatti non sono state date
indicazioni specifiche su quali in concreto sarebbero state le modifiche
peggiorative della loro condizione soggettiva anche riferimento al
rapporto coniugale filiale che rispettivamente li lega alla ricorrente. La
Corte d’Appello infatti ha affermato che in sede istruttoria i familiari
della Nisi non hanno neanche offerto di provare il danno da loro solo
apoditticamente lamentato.

4.4. Con il quarto motivo lamentano la liquidazione dell’interessi.
Si dolgono i ricorrenti che le sentenze di merito errano visibilmente
anche nella liquidazione dell’interessi legali inspiegabilmente fatti
decorrere dalla data intermedia rispetto alla data dell’intervento
chirurgico da cui invece dovrebbero decorrere correttamente.
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.

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Lamentano col suddetto motivo l’iniquità della sentenza di merito per

5. Pertanto la Corte rigetta il primo e il terzo motivo del ricorso,
accoglie il secondo e dichiara assorbito il quarto motivo, cassa in
relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna
in diversa composizione che decider anche in merito alle spese di
questo giudizio.

la Corte rigetta il primo e il terzo motivo del ricorso, accoglie il
secondo e dichiara assorbito il quarto motivo, cassa in relazione la
sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna in diversa
composizione che deciderà anche in merito alle spese di questo
giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte suprema di Cassazione in data 18 dicembre 2015.

P.Q.M.

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