Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10412 del 20/04/2021

Cassazione civile sez. I, 20/04/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 20/04/2021), n.10412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13543/2017 proposto da:

P.V., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

Roma, Via L. Mantegazza n. 24, presso lo studio del Dott. Gardin

Marco, rappresentati e difesi dagli avvocati Vito Minelli, e

Costantino Ventura, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Anas s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 329/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

pubblicata il 30/3/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

3/2/2021 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.A.V., + ALTRI OMESSI, evocavano in giudizio avanti al Tribunale di Foggia ANAS s.p.a. chiedendo che fosse loro corrisposta l’indennità di occupazione di alcuni suoli, di cui erano proprietari, sui quali la convenuta aveva nel frattempo realizzato un vincolo autostradale.

Gli attori domandavano nel contempo il risarcimento del danno subito per l’irreversibile trasformazione dei medesimi suoli senza che al decreto di occupazione fosse seguito un tempestivo provvedimento di esproprio.

Il tribunale declinava la propria giurisdizione in favore del giudice amministrativo.

Il tribunale amministrativo regionale per la Puglia, avanti al quale le domande erano state riproposte, si dichiarava a sua volta carente di giurisdizione rispetto alla domanda di corresponsione dell’indennità di occupazione legittima.

2. Le Sezioni unite di questa Corte, nel risolvere il conflitto negativo così venutosi a creare, dichiaravano, con sentenza n. 1714/2013, la competenza del giudice ordinario a decidere sulla domanda volta a far determinare l’indennità spettante ai ricorrenti per il periodo di occupazione legittima dei terreni di loro proprietà.

3. La Corte d’appello di Bari, adita in riassunzione, determinava con sentenza pubblicata il 30 marzo 2017 – l’indennità di occupazione dovuta ai signori P. nella misura di Euro 5.279,75, ordinando all’A.N.A.S. di provvedere al deposito della relativa somma.

4. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso P.A.C., + ALTRI OMESSI, prospettando sei motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso ANAS s.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi previsti dagli artt. 362,37,41,367,382 e 112 c.p.c., che attribuiscono alla Corte di Cassazione il compito di risolvere le questioni di giurisdizione e al giudice il dovere di pronunciare su tutte le domande, nonchè la violazione e falsa applicazione dei principi generali di legge in materia di espropriazione e occupazione parziale, di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 20,L. n. 2359 del 1865, art. 40,D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 22-bis – 50 e 33: la Corte di appello, malgrado la domanda di determinazione dell’indennità di occupazione legittima presentata ab origine al Tribunale di Foggia facesse riferimento a due distinti decreti prefettizi succedutisi nel tempo (l’uno del 27 giugno 1990, l’altro del 5 febbraio 1992), aveva preso in esame la richiesta solo rispetto all’ultimo dei due provvedimenti, ritenendo che la pretesa relativa al primo decreto investisse un’occupazione illegittima, in mancanza di occupazione nei tre mesi successivi all’adozione del provvedimento, e non rientrasse così nell’ambito della giurisdizione determinato da questa Corte.

Una simile statuizione aveva fatto sì – in tesi di parte ricorrente – che la domanda per la determinazione del risarcimento relativa al primo decreto rimanesse priva di qualsiasi giudice, in quanto la Corte d’appello (dopo il Tribunale e il T.A.R.) aveva rifiutato di prendere in esame la stessa nonostante che la Corte di cassazione avesse stabilito – con efficacia di giudicato e con accertamento esteso anche al merito – che la giurisdizione spettava al giudice ordinario.

4. Il motivo è fondato.

4.1 La Corte di merito, nel definire le domande sottoposte al suo esame, ha reputato che l’occupazione di 1600 mq. fino al 1992 dovesse ritenersi illegittima, poichè il primo decreto prefettizio aveva perso efficacia per non essere stato seguito dall’occupazione nei tre mesi successivi.

Sulla base di questa constatazione i giudici di merito hanno ritenuto loro compito definire l’ambito dell’occupazione legittima indennizzabile avanti al giudice ordinario, in quanto il T.A.R., con statuizione ribadita da questa Corte in sede di regolamento di giurisdizione, aveva declinato la propria giurisdizione in riferimento alla domanda di occupazione legittima “senz’altra specificazione in fatto”.

4.2 Questa Corte, quando decide una questione di giurisdizione, “statuisce” su di essa, a mente dell’art. 382 c.p.c., comma 1, vale a dire individua il giudice fornito di potere giurisdizionale in relazione a quella specifica controversia e, se riscontra il vizio denunziato, sostituisce la propria alla statuizione cassata, procedendo ad una diretta applicazione, nel caso concreto, della legge processuale; di conseguenza, se il giudizio prosegue, al giudice di rinvio non resta che prendere atto di tale statuizione, con la quale la questione di giurisdizione è stata risolta una volta per tutte, e riprendere il corso del procedimento.

Da ciò deriva che, in questa ipotesi, come in ogni altro caso in cui la censura abbia ad oggetto la violazione di una norma processuale, la Corte è anche giudice del fatto, in quanto l’applicazione della norma postula la verifica dell’esistenza, nel caso concreto, della fattispecie astrattamente prevista dal legislatore, ed ha, pertanto, il potere di procedere al diretto esame degli atti e delle risultanze processuali, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari per la soluzione della questione sottoposta al suo esame (Cass., Sez. U., 13397/2007, Cass., Sez. U., 10840/2003).

La statuizione di questa Corte non è dunque avulsa dal caso concreto, ma ad esso si parametra, prendendo in esame la domanda presentata dalla parte, e trova il suo limite nell’estensione oggettiva del giudicato, nel senso che se la statuizione sulla giurisdizione è fondata sulla qualificazione del rapporto dedotto in giudizio e sugli accertamenti di fatto che hanno condotto ad essa, il giudicato sulla giurisdizione è inscindibile da tale qualificazione, che diviene quindi vincolante per il giudice di merito, rimettendosi altrimenti in discussione la giurisdizione stessa (Cass. 6850/2010, Cass. 15721/2005).

E l’efficacia panprocessuale della statuizione emessa, di carattere definitivo e vincolante, copre la questione di giurisdizione presa in esame rispetto al dedotto e al deducibile (cioè rispetto a tutte le possibili questioni che, seppur non specificamente dedotte, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari alla pronuncia).

Non è dato quindi al giudice di cui è stata riconosciuta la giurisdizione di rivedere la vicenda in fatto al fine di declinare, ancora una volta, la propria giurisdizione piuttosto che prendere atto della decisione assunta e procedere alla definitiva risoluzione, nel merito, della controversia.

4.3 Nel caso di specie il conflitto negativo di giurisdizione è stato risolto dalle Sezioni Unite in conformità alla statuizione del tribunale amministrativo, cioè individuando nel giudice ordinario quello competente a provvedere sulla domanda avente ad oggetto la determinazione dell’indennità spettante ai ricorrenti per il periodo di occupazione qualificata come legittima dei terreni di loro proprietà.

Una simile statuizione processuale – e dunque in fatto rispetto ai profili rilevanti – impediva al giudice di merito di tornare a riesaminare la questione valorizzando ulteriori circostanze sulla base delle quali declinare, ancora una volta, la propria giurisdizione in favore del giudice amministrativo.

5. Rimane così assorbito il secondo mezzo, con cui i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 42 Cost. e art. 1 prot. Add. della CEDU, perchè la Corte d’appello, nel qualificare la prima occupazione come illegittima, ha aderito all’eccezione sollevata di sua iniziativa dal C.T.U. e mai proposta dall’ANAS avanti al Tribunale di Foggia, al T.A.R. e alla Cassazione, incorrendo così nella violazione prevista dall’art. 112 c.p.c..

6. Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte di merito, senza fornire adeguata motivazione, ha ritenuto occupata la minor superficie di mq. 2814, frutto di un frazionamento catastale, anzichè quella di mq. 3000 indicata nel verbale di occupazione.

7. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

Nessuna contraddizione interna può essere individuata all’interno della sentenza impugnata laddove la Corte di merito ha descritto la consistenza dell’immobile oggetto di occupazione legittima, in quanto il riferimento alla consistenza di 3000 mq. fatto a più riprese altro non è che il rinvio alle risultanze del verbale di consistenza e immissione in possesso, dove la superfice da occuparsi era indicata in via di approssimazione (“mq. 3000 circa” a dire degli stessi ricorrenti).

La quantificazione in 2814 mq. della superficie effettivamente occupata costituisce invece il frutto della condivisione degli specifici calcoli compiuti dal C.T.U..

A questo proposito non era necessaria alcuna ulteriore motivazione.

Il giudice del merito infatti, ove aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni, poichè l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il rinvio, anche implicito, all’elaborato implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente. Diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Cass. 15147/2018).

Per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito è necessario però che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti, onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass. 11482/2016).

Nessuna indicazione è riportata in questo senso in ricorso, dove gli odierni ricorrenti si limitano a rappresentare di aver sollevato osservazioni con la memoria del 25.11.2014.

8.1 Il quarto motivo prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dei principi generali di legge (di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 40 e D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33) e giurisprudenziali in materia di espropriazione parziale nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa considerazione di ogni indennità dovuta per la perdita dell’accesso e l’inutilizzabilità della casa colonica esistente.

Il consulente tecnico nominato aveva predisposto due stime dell’indennità di occupazione legittima, tenendo conto in un caso del valore della sola superficie occupata, nell’altro del minor valore rimanente dell’intera proprietà in considerazione della maggiore difficoltà di accesso e della necessità di demolire la casa colonica per ricostruirla in un’altra posizione.

La Corte distrettuale – in tesi di parte ricorrente – ha optato per la prima soluzione sostituendo gli elementi oggettivi di valutazione individuati dal consulente con le sue considerazioni soggettive.

8.2 Il quinto mezzo assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5-bis in quanto il giudice di merito non ha considerato la possibilità di utilizzazioni alternative a quelle agricole e non rapportate all’edificazione, per come accertate dal C.T.U..

Il consulente d’ufficio aveva infatti rilevato come non potesse escludersi per l’area in questione una potenziale utilizzazione per scopi diversi da quelli agricoli e afferenti alla logistica nel campo dei trasporti o alle destinazioni produttive.

L’accertamento, però, è stato ignorato dalla Corte di merito, che in questo modo ha disapplicato il principio secondo cui il terreno non edificabile comunque deve essere valutato secondo criteri oggettivi idonei a premiare utilizzazioni alternative.

9. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, risultano in parte inammissibili, in parte infondati.

9.1 I giudici distrettuali, dopo aver richiamato i principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte in merito alla necessità di indennizzare ogni effettiva influenza negativa che vi sia stata sulla residua parte del fondo intimamente legata con quella occupata da un vincolo strumentale ed oggettivo, hanno negato che un simile influsso vi fosse stato, sia perchè la sottrazione di una minima percentuale (1,10%) dell’intera superficie non interrompeva la continuità del fondo e non arrecava alcun danno al relitto, sia perchè, in disparte la questione del danno da perdita del fabbricato a seguito dell’irreversibile trasformazione sollevata davanti al T.A.R., non risultava se e a quale scopo la casa colonica presente sul fondo residuo, in stato di totale abbandono, fosse utilizzata.

La Corte di merito, nella quantificazione del valore venale reale del bene occupato, ha poi ritenuto di dover prendere a parametro le prime indicazioni fornite dal C.T.U., trascurando possibilità di utilizzazione diverse dalle culture agricole effettivamente praticate sul fondo al momento dell’occupazione, fondate su elementi ritenuti non probanti.

9.2 In questo modo i giudici distrettuali non hanno negato, in diritto, la fondatezza dei principi richiamati dall’odierno ricorrente, ma hanno escluso, in fatto, l’esistenza di fattori da indennizzare, in assenza di elementi che dimostrassero una diversa utilizzabilità dell’area e a causa della mancanza di un pregiudizio alla parte residua vuoi per l’accesso, vuoi per l’utilizzo della casa classificata come non utilizzabile.

Si tratta di una valutazione in fatto non coincidente, in entrambi i casi, con le indicazioni offerte dal consulente d’ufficio e con gli auspici degli odierni ricorrenti, ma che non si presta, per questo motivo, a censure in questa sede.

E’ difatti consentito al giudice di merito, in applicazione del principio judex peritus peritorum, disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio, sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, basate sulla diversa valorizzazione degli elementi disponibili, con l’unico onere incontrato dal giudice è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto (Cass. 17757/2014, Cass. 11440/1997). Le critiche sollevate non rientrano in questo limitato ambito di critica, dato che finiscono per dedurre non un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge, bensì un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, situazione che è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità se non sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 22707/2017, Cass. 195/2016).

Del pari la denuncia dell’esame dei fatti non conforme alla lettura che il ricorrente vorrebbe dare delle emergenze processuali non è coerente con la censura sollevabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che consente di lamentare l’omissione dell’esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non la valorizzazione di tale fatto in un senso differente da quello voluto.

10. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 3, in quanto tale norma, dopo la sentenza n. 181/2011, non può essere interpretata come base legale che nega ogni rilevanza all’edificabilità di fatto.

La Corte distrettuale, essendo chiamata a valutare le aree secondo il loro effettivo valore di mercato al fine di garantire un ragionevole rapporto fra il valore del bene e l’indennità corrisposta, doveva tenere conto – in tesi di parte ricorrente – del fatto che la superficie in questione, pur avendo destinazione agricola, ricadeva in un comprensorio edificabile vicino al centro abitato e caratterizzato da uno sviluppo edilizio delle zone adiacenti, di modo che la stessa, se fosse stata venduta, avrebbe potuto generare plusvalenze, in quanto il mercato avrebbe potuto riconoscere a un’area contigua all’abitato un valore maggiore rispetto alla mera valutazione agricola.

11. Il motivo non è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte ai fini della determinazione del pregiudizio per la perdita del godimento di aree occupate in forza di un provvedimento legalmente dato assume valore decisivo la suddivisione tra aree agricole (cui sono equiparate quelle non classificabili come edificatorie) ed aree edificabili, dovendosi individuare queste ultime in base alle possibilità legali ed effettive di edificazione (Cass., Sez. U., 7454/2020).

Rientrando nella nozione tecnica di edificazione l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area secondo il regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione, ai fini indennitari si deve certo tenere conto – rispetto all’area occupata – delle possibilità di utilizzazione intermedia tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti, ecc.), ove le stesse siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Cass. 3168/2019).

Non ha invece rilievo il fatto che la destinazione zonale consenta altrove la costruzione di edifici o attrezzature pubbliche, in quanto il concetto di edificazione preso in considerazione dalla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis a fini indennitari va inteso – come estrinsecazione dello ius edificandi connesso al diritto di proprietà ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario – sempre rispetto all’area in questione.

La destinazione dell’area in discorso a verde agricolo e a viabilità all’epoca del decreto di occupazione impediva al giudice di merito di valorizzare l’edificabilità di fatto del terreno.

12. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello dell’Aquila in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021

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