Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10410 del 02/05/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 02/05/2018, (ud. 08/03/2018, dep.02/05/2018),  n. 10410

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’avv. F.M. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 944/2016, pubblicata il 27 ottobre 2016 (e non notificata).

L’intimato C.G. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

La controversia ha avuto origine con la proposizione di un ricorso, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 e L. n. 794 del 1942, art. 28, da parte dell’avv. F.M., con il quale egli chiedeva al Tribunale di Foggia la liquidazione dei diritti e degli onorari spettantigli per le prestazioni professionali rese in favore di C.G., da quantificarsi in Euro 28.913, 20 (al netto degli acconti rivenuti) oltre accessori e spese di giustizia, con riferimento alla rappresentanza e difesa in sette giudizi dinanzi alla Sezione lavoro del Tribunale foggiano e in una procedura stragiudiziale con l’INAIL di Manfredonia.

Nella costituzione del resistente (che, tra l’altro eccepiva di aver pattuito con il professionista un importo complessivo per i compensi dovuti nella misura di Euro 6.000,00, interamente versato), il Tribunale di Foggia, con ordinanza del 3 aprile 2015, rigettava la domanda del F.. Quest’ultimo, quindi, proponeva appello (riferito a tre motivi) avverso la predetta ordinanza, sostenendo, in via preliminare, che al provvedimento impugnato dovesse essere conferito il valore di sentenza, per aver deciso il giudice di prime cure sull’an della pretesa creditoria, con conseguente inapplicabilità del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, comma 4.

Decidendo sulla formulata impugnazione, la Corte di appello di Bari, con sentenza n. 944/2016 (pubblicata il 27 ottobre 2016), dichiarava l’inammissibilità dell’appello ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 cit., sul presupposto che l’ordinanza adottata all’esito del giudizio di prima istanza non fosse assoggettabile ad appello, bensì solo ricorribile per cassazione.

Con il primo motivo di ricorso per cassazione, il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 702-quater c.p.c., per aver la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, illegittimamente ritenuto non appellabile l’ordinanza emessa dal Tribunale di Foggia emessa a conclusione del giudizio di prime cure, non potendo ritenersi applicabile – secondo la prospettazione dell’avv. F. – la disciplina del regime impugnatorio prevista dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, comma 4, sul presupposto che con il provvedimento poi appellato il Tribunale dauno aveva statuito anche sull’an del compenso e non soltanto sul quantum.

Con la seconda censura il ricorrente ha denunciato la supposta violazione o falsa applicazione dell’art. 702-ter c.p.c., comma 3, rilevando che la Corte di appello avrebbe dovuto fare applicazione delle norme sul mutamento del rito previsto dalla disposizione censurata.

Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato la violazione o falsa applicazione di (non meglio precisate) norme di diritto, per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto esistente la mancata contestazione su un punto decisivo della controversia.

Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti, riferito alla circostanza della ritenuta sussistenza della mancata contestazione del pagamento, contrariamente alle risultanze documentali in atti.

Su proposta del relatore, che riteneva la manifesta infondatezza del primo pregiudiziale motivo (a cui si sarebbe dovuta correlare la declaratoria di assorbimento delle altre tre censure), con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, in prossimità della quale è stata depositata memoria da parte del ricorrente.

Rileva il collegio che il primo motivo di ricorso deve essere respinto siccome da ritenersi manifestamente infondato e che il rigetto di esso preclude l’esame degli altri tre subordinati motivi, in tal senso trovando conferma la proposta già formulata dal relatore ai sensi del citato art. 380-bis c.p.c..

In quest’ultima, infatti, era stato evidenziato come – malgrado la pregressa formazione di un orientamento giurisprudenziale favorevole alla tesi del ricorrente – la più recente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 4002/2016 e Cass. n. 12411/2017) ha avuto modo di spiegare in modo più convincente e maggiormente compatibile con un’interpretazione in chiave sistematica che, in tema di liquidazione degli onorari e diritti di avvocato in materia civile, l’ordinanza conclusiva del procedimento D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14 non è appellabile, ma impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, sia che la controversia riguardi solamente il “quantum debeatur”, sia che la stessa sia estesa all'”an” della pretesa, trovando anche in tale ultimo caso applicazione il rito di cui al citato art. 14. Ritiene infatti il Collegio che – una volta che si affermi, come si è condivisibilmente asserito con la sentenza n. 4002 del 2016, che le controversie per la liquidazione degli onorari e dei diritti dell’avvocato devono essere trattate con le regole procedurali indicate dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 anche nell’ipotesi in cui la domanda riguardi l’an della pretesa – come sembrerebbe chiaramente implicato dal fatto che il rito di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 150 va applicato anche per la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo (senza previsione di alcuna limitazione) -, sarebbe contraddittorio che, solo per questa ipotesi, dalle regole dettate dal medesimo art. 14 si espunga quella, contenuta nell’ultimo comma, della inappellabilità dell’ordinanza che definisce il giudizio.

D’altra parte, non può non sottolinearsi che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 3, comma 1, prevede che “nelle controversie disciplinate dal Capo III (tra le quali rientrano quelle di cui all’art. 14 del medesimo decreto legislativo) non si applicano l’art. 702-ter c.p.c., commi 2 e 3”, i quali rispettivamente, stabiliscono che “se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’art. 702-bis, il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale” (comma 2) e che “se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l’udienza di cui all’articolo 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II” (comma 3). Da tale apparato normativo deriva che ove si dovesse ritenere limitata l’esperibilità del procedimento di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 alle sole controversie nelle quali si discute di quantificazione dei compensi dell’avvocato, non ci si potrebbe sottrarre all’alternativa per la quale o si rimette al convenuto, attraverso la proposizione di eccezioni o domande riconvenzionali che amplino il thema decidendum, la facoltà di paralizzare la domanda proposta dal professionista ovvero si preclude al convenuto stesso la possibilità di svolgere le proprie difese nel modo suindicato.

A conforto dell’opzione ermeneutica qui preferita, peraltro, con le menzionate ragioni di coerenza letterale concorrono anche ragioni di ordine sistematico.

Ed invero, da un lato, la perdita del grado di appello nelle controversie che involgano accertamenti sull’an debeatur – oltre a non far sorgere dubbi di legittimità costituzionale, giacchè per il principio del doppio grado di giurisdizione non è prevista un’apposita copertura costituzionale – risulta bilanciata dalla collegialità del giudice prevista dal secondo comma dell’articolo 14 (cfr., sulla portata di tale bilanciamento, la sentenza della Corte costituzionale n. 65 del 2014); dall’altro lato, il procedimento sommario di cognizione ex art. 702-ter c.p.c., a cui rimanda il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, garantisce alle parti la possibilità del pieno dispiegamento della loro iniziativa probatoria, tanto più quando, come nel procedimento in esame, sia normativamente preclusa la conversione del rito sommario in rito ordinario (sulle modalità dell’istruttoria e sul regime delle preclusioni istruttorie nel procedimento ex art. 702-ter c.p.c., v. Cass. n. 25547/2015, resa con riguardo alla fase giurisdizionale dei procedimenti disciplinari nei confronti dei notai, ma contenente l’enunciazione di principi validi in tutti i casi in cui il procedimento ex art. 702-ter c.p.c. sia fissato dalla legge senza possibilità di alternativa con quello ordinario).

Sotto altro profilo, va evidenziato che l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011 ha comportato una forte discontinuità nel sistema (sottolineata dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 21675/2013, nella cui motivazione – subito dopo l’enunciazione del principio che l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato per il pagamento dei propri onorari relativi a prestazioni giudiziali in materia civile va proposta con citazione, si legge: “Non può dubitarsi che il principio in parola è destinato ad essere radicalmente rivisitato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150″), così da giustificare una revisione profonda dei paradigmi ermeneutici consolidatisi sotto la disciplina previgente.

Infine il Collegio osserva che – nell’ambito di un sistema di applicazione generalizzata e necessaria del procedimento di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 a tutte le controversie per la liquidazione degli onorari e dei diritti dell’avvocato in materia giudiziale civile, secondo i principi fissati da Cass. n. 4002 del 2016 differenziare il regime di impugnazione dell’ordinanza conclusiva del procedimento stesso a seconda che il suo oggetto sia limitato al quantum o riguardi anche l’an debeatur – determinerebbe una frammentazione del quadro procedurale certamente contrastante con l’obbiettivo (al quale l’interpretazione giurisprudenziale deve sempre, per quanto possibile, tendere, come sottolineato, proprio in questa materia, dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 12609/2012) dell’armonizzazione del sistema mediante il superamento delle sue distonie o criticità.

Deve quindi, conclusivamente riaffermarsi il principio secondo cui le controversie per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti dell’avvocato nei confronti del proprio cliente previste dalla L. n. 794 del 1942, art. 28 – come risultante all’esito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34 e dell’abrogazione della medesima L. n. 794 del 1942, artt. 29 e 30 – devono essere trattate con la procedura prevista dal suddetto D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14,anche nell’ipotesi in cui la domanda riguardi l'”an” della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda (cfr. anche Cass. n. 5843/2017, ord.), con la conseguente esclusiva assoggettabilità dell’ordinanza con cui la si definisce al ricorso straordinario per cassazione (come correttamente ritenuto dalla Corte di appello nella sentenza oggetto di ricorso in questa sede).

L’indirizzo a cui si è aderito ha trovato, da ultimo, avallo anche nella sentenza di questa Corte n. 4485 del 2018, resa a Sezioni unite, che -nel dirimere il contrasto sulla questione in esame individuato con l’ordinanza interlocutoria di questa Sezione n. 13272/2017 – ha fissato i seguenti principi:

1) a seguito dell’introduzione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, come sostituito dal citato D.Lgs., può essere introdotta con un ricorso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale” disciplinato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, artt. 3,4 e 14,o con il procedimento per decreto ingiuntivo ex artt. 633 c.p.c. e ss. (e l’eventuale opposizione si dovrebbe proporre ai sensi dell’art. 702 bis ss. c.p.c. e nel relativo procedimento troverebbero applicazione gli artt. 648,649,653 e 654 c.p.c.), essendo, invece, esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui agli artt. 702 bis c.p.c. e ss.;

2) la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, introdotta sia ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, resta soggetta al rito di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, anche quando il cliente sollevi contestazioni riguardo all’an;

3) soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale), la trattazione di quest’ultima dovrà avvenire, ove si presti ad un’istruttoria sommaria, con il rito sommario (congiuntamente a quella proposta ex art. 14 D.Lgs. n. 150 dal professionista) e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena, previa separazione delle domande;

4) qualora la domanda introdotta dal cliente non appartenga alla competenza del giudice adito, troveranno applicazione gli artt. 34,35 e 36 c.p.c. dettate in tema di spostamento della competenza per connessione.

Dal complessivo impianto argomentativo riportato consegue che -applicandosi nella fattispecie il procedimento disciplinato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 (il cui comma quarto sancisce l’inappellabilità dell’ordinanza che definisce il relativo giudizio) – il primo motivo proposto dall’avv. F. è destituito di fondamento. Da tale pronuncia deriva la correlata inammissibilità delle altre tre censure, il cui oggetto – riguardante, la prima, l’ulteriore profilo processuale dell’inapplicabilità del mutamento del rito ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c., comma 3, e, le altre due, aspetti di merito relativi alla mancata contestazione sulla predeterminazione del compenso professionale e sul pagamento di quest’ultimo – presupponeva, per l’appunto, che l’ordinanza fosse appellabile (e, quindi, l’accoglimento del primo motivo pregiudiziale motivo) e non solo ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost..

In difetto di costituzione dell’intimato non vi è luogo a provvedere sulle spese della presente fase di legittimità.

Dal rigetto del ricorso deriva che ricorrono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato parti a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 8 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2018

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