Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10409 del 12/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 12/05/2011, (ud. 09/03/2011, dep. 12/05/2011), n.10409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

R.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 46/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 11/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato FIORENTINO SERGIO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero dell’economia e finanze e l’agenzia delle entrate impugnano, con un unico motivo, la sentenza della CTR della Lombardia, n. 46/6/05 dell’8.6.2005, che accoglieva il gravame di R.M. avverso la decisione della CTP, con cui era stato rigettato il ricorso introduttivo contro la cartella di pagamento dell’Irpef ed accessori per il 1992, emessa a seguito di rettifica della dichiarazione del reddito per mancato adeguamento al cd.

“contributo diretto lavorativo”, essendo agente di commercio.

Il contribuente non si è costituito.

Motivi della decisione Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto anche da esso va dichiarato inammissibile.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate stessa, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

Pei quanto poi attiene alla posizione dell’agenzia, essa, deducendo violazione di legge per erronea e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., si duole che il giudice “a quo” non teneva nel debito conto i rilievi che erano stati mossi dal contribuente con l’appello alla decisione di primo grado, cadendo in tal modo nel vizio di estrapetizione, con l’esaminare soltanto il merito della questione, senza avere invece delibato la doglianza prospettata circa la decadenza in cui l’ufficio sarebbe incorso per l’emissione della cartella di pagamento.

Il motivo è fondato. La CTR osservava che la ditta, per conto della quale R. aveva svolto l’attività lavorativa, aveva rilasciato un attestato da cui risultava che egli aveva percepito dei compensi inferiori rispetto a quelli presunti in base al contributo diretto, e pertanto la cartella non poteva essere spiccata. L’assunto non è esatto, dal momento che invece la censura proposta atteneva alla pretesa tardività dell’atto esecutivo, con la conseguente decadenza in cui l’amministrazione ormai sarebbe incorsa. Si tratta dunque all’evidenza di vizio di estrapetizione, che comporta la nullità della decisione.

In rapporto a tali non corrette valutazioni di merito, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., comma 2, e rigetto del ricorso in opposizione del contribuente avverso la cartella di pagamento di maggiore imposta.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, per quelle relative al rapporto tra il Ministero e l’intimato non va emessa alcuna pronuncia, stante la mancata costituzione di questi, mentre le altre seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze; accoglie quello dell’agenzia delle entrate; cassa la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo, e condanna l’intimato al rimborso delle spese dell’intero giudizio, liquidate in complessivi Euro 700,00 per il primo grado; Euro 900,00 per il secondo, e per il presente in Euro 1.000,00 per onorario, oltre a quelle prenotate a debito; alle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2011

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