Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10401 del 20/04/2021

Cassazione civile sez. I, 20/04/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 20/04/2021), n.10401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1634/2019 proposto da:

O.K., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Vittorio D’Angelo, giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Ancona depositato il 28/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/1/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il tribunale di Ancona, con decreto del 28 novembre 2018, rigettava il ricorso proposto da O.K., proveniente da (OMISSIS), avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonchè del suo diritto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14, o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il collegio di merito, in particolare, riteneva che le dichiarazioni del migrante, anche laddove credibili, restassero “confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune, atteso che gli aspetti evidenziati in ricorso integrano personali timori privi di elementi concreti di riscontro”.

2. Per la cassazione di tale decreto O.K. ha proposto ricorso prospettando tre motivi di doglianza.

Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c., al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

3. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di quanto dedotto nel ricorso introduttivo e nel verbale delle dichiarazioni rese avanti alla commissione territoriale con riferimento al culto (OMISSIS).

Il migrante, falsamente ritenuto responsabile della morte della compagna, sorella di un membro del culto, era fuggito per la paura della ritorsione dei membri del culto (OMISSIS) e nella consapevolezza del fatto che le forze di polizia non lo avrebbero protetto, a causa del timore e della connivenza con questo tipo di organizzazioni.

Ciò nonostante il decreto impugnato non ha speso una parola con riferimento al culto (OMISSIS) e alla sua connivenza con le forze di polizia, malgrado la circostanza fosse idonea a giustificare la concessione della protezione richiesta.

4. Il secondo motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis, poichè il tribunale ha erroneamente ritenuto che i fatti narrati fossero attinenti a una vicenda meramente privata, quando invece avrebbe dovuto considerare, anche facendo ricorso ai propri poteri di integrazione probatoria, che le autorità statali nigeriane non sono in grado di offrire adeguata protezione ai cittadini che denuncino di essere vittime di minacce provenienti da appartenenti a sette od a bande criminali.

5. Il terzo motivo di ricorso prospetta, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè l’omesso esame del fatto che il ricorrente sia ricercato dalla polizia per la falsa accusa dell’omicidio della compagna, situazione che lo esporrebbe al rischio di essere sottoposto alla pena capitale.

6. I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.

L’odierno ricorrente ha rappresentato alla commissione territoriale di aver abbandonato il proprio paese in ragione della situazione venutasi a creare dopo che la sua compagna era morta a causa di un aborto, dato che era ricercato dalla polizia ed il fratello della donna, già ostile alla relazione, era membro di un pericoloso culto.

A fronte di questa prospettazione dei fatti, ripresa all’interno del ricorso introduttivo, il tribunale ha del tutto omesso di apprezzare con le necessarie puntualità e precisione le dichiarazioni del migrante al fine di verificare il ricorrere dei presupposti per il riconoscimento della protezione richiesta.

Il decreto impugnato difetta infatti della dovuta esposizione, in maniera chiara ed ordinata, dei fatti allegati a fondamento del diritto preteso, e si limita a sostenere che le dichiarazioni del ricorrente, “anche laddove credibili, restano confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune” (pag. 4).

Il medesimo provvedimento, per di più, spende ripetitivamente formule valutative di irrilevanza giuridica nette ma totalmente prive di qualsivoglia riferimento alla fattispecie esaminata (la cui ricostruzione è il primario compito del giudice di merito) ed abbonda in locuzioni di omessa allegazione di tutti i requisiti astrattamente richiesti dalla legge per la previsione positiva delle forme di protezione senza però riportare, quantomeno secondo un nucleo descrittivo minimo, i fatti narrati dal ricorrente.

Si tratta, in sostanza, di una scelta decisoria che si risolve non in un effettivo esame dei fatti rappresentati a suffragio della domanda di protezione, ma nel ricorso a una formula astratta e stereotipata, valevole per un numero indefinito di casi.

Una simile tecnica argomentativa, proprio perchè fondata su argomenti che nulla hanno a che vedere con la singola vicenda portata all’attenzione del giudice di merito, non consente di ritenere le circostanze rappresentate dal migrante realmente esaminate (oltre che di verificare la correttezza del ragionamento logico-giuridico posto a base della decisione) e si espone quindi alle critiche sollevate sia in punto di vizio di motivazione, sia rispetto al prospettato vizio di sussunzione, posto che la riconduzione della fattispecie alla norma non può che passare attraverso la preventiva fissazione in fatto delle caratteristiche delle circostanze portate all’attenzione del giudicante.

7. Il provvedimento impugnato va dunque cassato, con rinvio al Tribunale di Ancona, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Ancona in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021

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