Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10400 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10400 Anno 2015
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: NAPPI ANIELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Fintecna

s.p.a.,

domiciliata

in

Roma,

via

G.Montanelli 11, presso cgli avv. Alessandro Annola e Pietro Salotti, che la rappresentano e difen›o.

dono, come da mandato in calce al ricorso
– ricorrente Contro
Regione Campania, dimiciliata in Roma, via Poli 29,
rappresentata e difesa dall’avv. Corrado Grande,
come da mandato a margine del controricorso
– controricorrente –

59 a
2,c)15

Data pubblicazione: 20/05/2015

avverso
la sentenza n. 825/2007 della Corte d’appello di

.
Napoli, depositata il 20 marzo 2007
Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott.
Aniello Nappi

Udite le conclusioni del P.M., Rosario Giovanni
Russo, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità
ex art. 366 c.p.c., con condanna aggravata alle
spese.
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Na- poli ha confermato la condanna della Regione Campania a versare alla Fintecna s.p.a. il saldo del
contributo per un progetto di formazione professionale autorizzato nel 1991, determinando in C.
478.362,68 oltre interessi legali il credito residuo della società attrice, così ridotto rispetto al
credito di C. 860.288,21 riconosciuto in primo grado.
Hanno ritenuto i giudici d’appello che l’importo
del contributo per la così detta “docenza esterna”
dovesse essere liquidato sulla base dei costi ef-

ì

fettivamente sostenuti, anziché con riferimento al

Udito per la ricorrente il difensore avv. Andriola

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limite massimo di spesa ammessa per £. 120.000
l’ora.
A
Contro la sentenza d’appello ha proposto ricorso
per cassazione Fintecna s.p.a., deducendo tre motivi d’impugnazione illustrati anche da memoria, cui

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce vizi di
motivazione della decisione impugnata, lamentando
che i giudici d’appello abbiano erroneamente ridotto l’importo del credito riconosciuto in primo grado per la “docenza esterna”.
,

Sostiene che la convenzione stipulata con la regione esigeva un rendiconto basato sul numero di ore
di insegnamento effettivamente prestate, fermo restando l’importo di £. 120.000/ora per il personale
esterno e £. 35.000/ora per il personale interno. E
per questa ragione era previsto che il rendiconto
fosse redatto esclusivamente con riferimento alle
fatture della società ricorrente. Sennonché la regione aveva contraddittoriamente riconosciuto questa impostazione per la docenza interna, mentre
l’aveva disconosciuta per la docenza esterna.
Non è chiaro dunque perché la corte d’appello, diversamente dal tribunale, abbia ritenuto che il

resiste con controricorso la Regione Campania.

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compenso di £. 120.000 rappresentasse l’importo
massimo erogabile per ciascuna ora di insegnamento
anziché il costo orario fisso e predeterminato del
corso, posto che in realtà il limite massimo del
budget era determinato con riferimento al numero

all’importo del compenso orario.
Il motivo è inammissibile.
Viene qui in discussione l’interpretazione di una
convenzione contratto stipulata dalla società ricorrente con la Regione Campania. Trovano dunque
applicazione gli art. 1362 e s. c.c., che privilegiano l’intenzione delle parti, anche oltre il senso letterale delle parole, i loro interessi, i loro
comportamenti anche successivi, il principio di
buona fede.
In realtà nella giurisprudenza di questa corte, riconosciuto che l’interpretazione dei contratti pone
una questione di fatto(Cass., sez. L, 25 febbraio
2004, n. 3772, m. 570512, Cass., sez. III, 20 gennaio 2003, n. 732, m. 559863, Cass., sez. III, 13
febbraio 2002, n. 2074, m. 552238), si ritiene che
tale giudizio sia sindacabile solo per vizio di motivazione o per violazione dei criteri legali di
interpretazione. Tuttavia, una volta ammesso che si

delle ore di insegnamento, non con riferimento

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tratta di regole legali del giudizio di fatto, ne
consegue che anche la violazione di queste norme dà
luogo a un vizio della motivazione. Si può certo
distinguere tra «il rispetto dei canoni legali di
ermeneutica e la coerenza e logicità della motiva-

9091, m. 572836), ma non pare possa discutersi che
anche la violazione dei criteri legali di interpretazione rilevi solo quale vizio della giustificazione del giudizio di fatto, perché sono norme queste che non regolano la decisione, bensì solo la
sua giustificazione.
E’ infatti indiscusso in giurisprudenza che la violazione dei criteri legali di interpretazione «deve
dedursi con la specifica indicazione nel ricorso
per cassazione del modo in cui il ragionamento del
giudice si sia discostato dai suddetti canoni, altrimenti la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si traduce nella mera proposta di
una interpretazione diversa da quella censurata,
inammissibile come tale in sede di legittimità»(Cass., sez. III, 18 novembre 2003, n. 17427, m.
568253, Cass., sez. L, 5 novembre 2003, n. 16646,

m. 567930, Cass., sez. H, 15 ottobre 2001, n.
12518, m. 549622, Cass., sez. II, 28 maggio 2001,

zione addotta»(Cass., sez. III, 13 maggio 2004, n.

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n. 7242, m. 547064.). E si riconosce che «per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal
giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma
una delle possibili e plausibili interpretazioni,

possibili due o più interpretazioni (plausibili),
non è consentito, alla parte che aveva proposto
l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata
privilegiata l’altra»(Cass., sez. III, 23 maggio
2006, n. 12123, m. 591080, Cass., sez. III, 17 luglio 2003, n. 11193, m. 565195, Cass., sez. I, 24
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gennaio 1966, n. 277, m. 320526).
Nel caso in esame la ricorrente non ha dedotto la
violazione di alcun criterio legale di interpretazione della convenzione controversa. Si è limitata
a prospettare un’interpretazione alternativa a
quella proposta nella sentenza impugnata, che è
certamente plausibile, in quanto, trattandosi di un
contributo pubblico alla formazione professionale
dei dipendenti della società attrice, è ragionevole
ritenere che i fondi erariali siano erogati per
sollevare l’impresa dai costi effettivamente sostenuti, non per consentirle un profitto.

per cui, quando di una clausola contrattuale sono

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Si tratta dunque di motivo d’impugnazione incompatibile con il sindacato di legittimità.
2. I rimanenti motivi vanno esaminati congiuntamente, in quanto attengono entrambi alla liquidazione
degli interessi.

zione dell’art. 112 c.p.c., lamentando l’omessa
pronuncia o comunque l’omessa motivazione sulla domanda di riconoscimento del maggior danno a norma
dell’art. 1224 comma 2 c.c., da liquidare nella misura del tasso di interessi prima rate ABI.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce vizio di
motivazione della decisione impugnata, lamentando
che i giudici del merito abbiano erroneamente fatto
decorrere dalla decisione gli interessi legali riconosciuti.
Sostiene che anche ai debiti della pubblica amministrazione si applicano le norme di diritto privato
sull’esatto adempimento delle obbligazioni
I motivi sono entrambi palesemente infondati.
I giudici del merito, sia di primo sia di secondo
grado, hanno invero escluso che potesse addebitarsi
all’amministrazione

convenuta

un

ritardo

nell’adempimento della sua obbligazione, perché solo in sede giudiziale era stato possibile il defi-

Con il secondo motivo la ricorrente deduce viola-

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nitivo accertamento dei costi effettivi del corso
di formazione sovvenzionato. Per questa ragione entrambi i giudici del merito hanno riconosciuto gli
interessi legali sulla somma liquidata, ma solo a
decorrere dalla sentenza pronunciata. Sicché per la

manca il presupposto della mora del debitore.
Infatti «la costituzione in mora è un elemento costitutivo della pretesa avente ad oggetto gli interessi e l’eventuale maggior danno da svalutazione
monetaria, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare» che della mora sussiste
il fatto costitutivo (Cass., sez. I, 18 settembre
2013, n. 21340, m. 627738). Mentre nel caso in esame la ricorrente neppure ha dedotto di avere reso
possibile l’accertamento del suo credito prima del
giudizio.
3. Si deve pertanto concludere con il rigetto del
ricorso e la condanna della ricorrente alle spese.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi C. 14.200, di cui
C. 14.000 per onorari, oltre spese generali e ac•

cessori come per legge.

/i

pretesa del maggior danno ex art. 1224 comma 2 c.c.

Roma, 27 marzo 2015

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