Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1040 del 20/01/2014


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Civile Ord. Sez. L Num. 1040 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: D’ANTONIO ENRICA

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 30358-2010 proposto da:
PRUDENZI ENZO PRDNZE47S18C117F, PELLEGRINI ANTONELLA
PLLNNL62B60H501C, CENCIONI MARCO CNCMRC63CO3M082X,
PELLEGRINI ANNA RITA PLLNRT56E63H501P, SALVATORI
VITTORIA SLVVTR55P51H501B, PETTI LETIZIA
PTTLTZ48M04B691F, CANGIANO FRANCESCO CNGFNC62H13M082E,
MARESCHI GIANCARLO MRSGCR62TO1F499U, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA A. DORIA 48, presso lo studio
2013

dell’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che li
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

MINISgRO DELLA GIUSTIZIA C.F. 80184430587, in persona

Data pubblicazione: 20/01/2014

del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,
che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 4140/2009 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/11/2013 dal Consigliere Dott. ENRICA
D’ANTONIO;
udito l’Avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
rimessione alla Corte Costituzionale in relazione
all’art 6 CEDU e 04.117 Cost.

di ROMA, depositata il 16/12/2009 r.g.n. 3097/2007;

ORDINANZA
IN FATTO:
Con sentenza depositata il 16/12/2009 n,4140/2009 la Corte d’appello di Roma, in riforma
della sentenza del Tribunale di Viterbo, ha accolto le opposizioni proposte dal Ministero della
giustizia avverso i decreti ingiuntivi emessi a favore di Cangiano Francesco ed altri tutti dipendenti

dello stesso Ministero ,ritenendo infondata la pretesa di ottenere il compenso ex art 5 della L n

La Corte territoriale ha infatti rilevato che la gravata sentenza aveva accolto la domanda alla luce
dell’ad 5, terzo comma, della legge n 260/1949 ,come modificato dall’art 1 della L n 90/1954 e
che, tuttavia, era intervenuta la L n.266/2005( legge finanziaria 2006) che ,all’art 1 , comma 224,
di interpretazione autentica, aveva elencato il citato ad 5 tra le disposizioni inapplicabili al
pubblico impiego ai sensi dell’art 69 del ellgs.n 165/2001 , una volta stipulati i CCNL per il
quadriennio 98/01.
Il giudice di merito ha quindi concluso che, a seguito di detto intervento legislativo ,passato
indenne al vaglio della Corte Costituzionale ( cfr sent. n 146/2008) , l’inapplicabilità dell’art 5 L n
260/1949 ai rapporti di lavoro pubblico — una volta stipulati i contratti collettivi del quadriennio
1994/1997 o, al più tardi, dal momento della sottoscrizione dei contratti collettivi del quadriennio
1998/2001 — comportava , inevitabilmente, il rigetto delle domande dei lavoratori, stante la natura
interpretativa della norma o comunque il suo contenuto innovativo ma con efficacia retroattiva.
Ricorrono i lavoratori per la cassazione della sentenza. Resiste il Ministero con
controricorso.

IN DIRITTO:
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art 1, comma 224, L. 23 dicembre
2005 n 266. Essi notano come la sentenza impugnata abbia rigettato le loro domande in
applicazione del comma 224 ora cit. , il quale per i pubblici impiegati ha negato il compenso per
le festività civili nazionali ricadenti di domenica. Osservano però che la disposizione, per il
contenuto letterale della sua seconda parte , ha efficacia retroattiva, ossia va applicata a
fattispecie anteriori alla sua entrata in vigore, “salva l’esecuzione dei giudicati”, formatisi
appunto fino alla data della stessa entrata in vigore . Aggiungono che questa efficacia retroattiva
non è giustificata, sul piano costituzionale, da una finalità realmente interpretativa della
disposizione , la quale attribuisce alla norma interpretata ( l’art 69, comma 1, secondo periodo,
dlgs 30 marzo 2001 n 165 ) non già uno dei significati possibili bensì un significato del tutto
nuovo . Che poi — aggiungono ancora i ricorrenti — la Corte costituzionale con la sentenza n,146
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260/1949 ,relativo a festività coincise con la domenica.

del 2008 abbia escluso ogni illegittima disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati , è
circostanza non influente sulla giustificazione costituzionale della detta retroattività.
Con il secondo motivo i ricorrenti sollevano questione di legittimità costituzionale del comma
224 cit. poiché la detta retroattività violerebbe il divieto di ingerenza del potere legislativo
nell’amministrazione della giustizia, ossia influirebbe sulla definizione delle controversie
giudiziarie in corso ( artt. 117, comma 1, Cost. e 6 CEDU), lederebbe l’autonomia e

amministrazione ( art 97 Cost. ).
La violazione dell’art 6 CEDU e quindi del Trattato UE di Lisbona induce i ricorrenti a chiedere
in via subordinata di sottoporre alla Corte di Giustizia UE il quesito interpretativo ai sensi dell’art
234 Trattato CEE.
Questo collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di cui al secondo motivo di
ricorso, avente ad oggetto l’art. 1, comma 224, L. n 266 del 2005. Questione consistente nello
stabilire se l’efficacia che il citato comma 224 debba esplicare sui processi pendenti- come quello
attuale , iniziato con ricorsi per decreto ingiuntivo depositati tra il 20 ottobre ed il 28 novembre
2005- violi il diritto dei lavoratori , parti private, all’equo processo , tutelato dall’art 6 CEDU e
indirettamente dall’art 117 , primo comma, Cost.
Quanto alla rilevanza, essa risulta evidente dalla necessità di diretta applicazione della
disposizione nella presente controversia.
Quanto alla non manifesta infondatezza , occorre premettere l’intero contenuto della
disposizione: ” Tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dall’articolo 69, comma 1, secondo
periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a seguito della stipulazione dei contratti
collettivi del quadriennio 1994/1997 e’ ricompreso l’articolo 5, terzo comma, della legge 27
maggio 1949, n. 260, come sostituito dall’articolo 1 della legge 31 marzo 1954, n. 90, in
materia di retribuzione nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. E’ fatta salva
l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Il citato art 69 recita a sua volta “Salvo che per le materie di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c),
della legge 23 ottobre 1992, n. 421, gli accordi sindacali recepiti in decreti del Presidente della
Repubblica in base alla legge 29 marzo 1983, n. 93, e le norme generali e speciali del pubblico
impiego, vigenti alla data del 13 gennaio 1994 e non abrogate, costituiscono, limitatamente agli
istituti del rapporto di lavoro, la disciplina di cui all’articolo 2, comma 2. Tali disposizioni sono
inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997, in
relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati. Tali disposizioni cessano in ogni caso

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indipendenza della magistratura ( art 104 Cost. ) ed il principio di imparzialità della pubblica

di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, dei contratti
collettivi del quadriennio 1998-2001″.
L’espressa salvezza dell’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della
legge n 266 del 2005, vale a dire la sua necessaria applicazione ai processi ancora pendenti,
esclude ogni possibilità di negare l’efficacia retroattiva della norma, per tentare di adeguarla
all’art 6 CEDU , di cui poco avanti si dirà.

questione di legittimità costituzionale , trova il suo limite nel significato proprio delle parole della
disposizione da interpretare, secondo la connessione di esse , nonché nella chiara intenzione del
legislatore ( art 12, primo comma, preleggi) . Del resto anche la giurisprudenza di questa Corte
afferma l’efficacia retroattiva del comma 224 in questione ( Cass. n_6736 del 2010, n.14048 del
2009 , n.4667 del 2008).
Ancora, non rileva sulla presente questione la sentenza della Corte costituzionale n 146 del 2008,
che negò il contrasto del comma 224 con il principio di eguaglianza, nella specie tra lavoratori
dipendenti pubblici e privati.
Che poi la questione debba essere risolta sottoponendola alla Corte costituzionale risulta dalla
giurisprudenza della stessa Corte .
A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 ( da ultimo sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del
2011), tale giurisprudenza è costante nel ritenere che le norme della CEDU – nel significato ad
esse attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per darne
interpretazione ed applicazione (art. 32, par. 1, della Convenzione) – integrano, quali norme
interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui
impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali.
La Corte costituzionale ha affermato che nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma
interna e una norma della CEDU (che deve essere applicata nel significato attribuito dalla Corte
EDU, cfr. citate sentenze n. 113 e n. 1 del 2011), il giudice nazionale comune deve
preventivamente verificare la praticabilità di un’interpretazione della prima conforme alla norma
convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (sentenze n. 93 del
2010, n. 113 del 2011, n. 311 e n. 239 del 2009). Se questa verifica dà esito negativo e il
contrasto non può essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare
la norma interna ne’ farne applicazione, ritenendola in contrasto con la CEDU e pertanto con la
Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilità proponendo questione di legittimità
costituzionale in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, ovvero all’art. 10 Cost., comma 1, ove si
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La cosiddetta interpretazione adeguatrice , che è necessario sempre tentare prima di sollevare una

tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale
generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n. 311 del 2009).
Sempre il Giudice delle leggi ha affermato che, sollevata la questione di legittimità
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costituzionale, limt ø – dopo aver accertato che il denunciato contrasto tra norma interna e

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norma della CEDU sussiste e non può essere risolto in via interpretativa – è chiamato a verificare
se la norma della Convenzione – norma che si colloca pur sempre ad un livello sub-costituzionale

eccezionale, ipotesi, deve essere esclusa l’idoneità della norma convenzionale a integrare il
parametro costituzionale considerato (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 del 2009,
n. 349 e n. 348 del 2007). Più precisamente, secondo Corte cost. n 264 del 2012 la verifica del
contrasto fra norma interna e norma CEDU non può portare ad una violazione di norme
costituzionali interne, con la conseguenza che la norma CEDU, nel momento in cui integra il
primo comma dell’art 117 Cost. come norma interposta, deve formare oggetto di bilanciamento
secondo le valutazioni di costituzionalità svolte ordinariamente dalla stessa Corte ( vedi anche
sent. n 317 del 2009) .
Ciò induce a prospettare la possibilità di un bilanciamento tra il sacrificio economico imposto al
lavoratore, anche con efficacia retroattiva ossia anche con lesione della posizione processuale
(sacrificio economico modesto ossia non contrastante con la garanzia posta dall’art 36 , primo
comma, Cost.) , e necessità di equilibrio del bilancio dello Stato , da assicurare tenendo conto
della fase avversa del ciclo economico ( art 81, primo comma , Cost.).
Tale questione di bilanciamento appare tuttavia di dubbio esito, giacché non risulta a questa Corte
di legittimità neppure approssimativamente la complessiva spesa necessaria a soddisfare quei
crediti dei pubblici impiegati. Ulteriore ragione per chiedere il giudizio della Corte costituzionale.
Circa il contrasto tra il comma 224 cit. e 1′ art 6 CEDU , dall’esame delle sentenza CEDU relative
a norme di interpretazione autentica possono desumersi i seguenti principi :
a) benché non sia precluso al legislatore disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive,
diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo
equo contenuti nell’art. 6 precludono, tranne che per impellenti motivi di interesse generale,i quali
non possono consistere in mere esigenze finanziarie , l’interferenza del legislatore
nell’amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di
una controversia azionata contro lo Stato . (causa Maggio ed altri c. Italia del 31/05/2011; causa
Anna De Rosa ed altri c. Italia dell’ 11/12/2012; causa Agrati ed altri c. Italia del 7/06/2011, le
ultime due relative al personale ATA ; cfr , inoltre„ tra molti altri precedenti, Stran Greek
Refineries e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994,National & Provincial Building Society,
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– si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione. In questa, seppure

Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. il Regno Unito, 23 ottobre 1997,
Zielinski e Pradal e Gonzalez e Altri c. Francia ).
b) La Corte affermò, ancora, con riferimento alla legge di interpretazione n 296/2006 nella causa
Maggio citata , che la promulgazione di detta legge , mentre i procedimenti erano pendenti, in
realtà era ricaduta sul merito delle controversie, e la sua applicazione da parte dei vari Tribunali
ordinari aveva privato di rilievo, per un’intera categoria di persone che si trovavano nella posizione

definitivamente l’esito del giudizio pendente, nel quale lo Stato era parte, approvando la posizione
dello Stato a svantaggio dei ricorrenti. Mancavano peraltro i suddetti motivi imperativi di interesse
generale .
c) Conclusioni analoghe sono state assunte nella causa citata relativa al personale ATA in cui la
Corte di Strasburgo, dopo aver ribadito il principio più volte affermato che,se in linea di principio
nulla vieta al potere legislativo di regolamentare mediante nuove disposizioni, a carattere
retroattivo, diritti risultanti da leggi in vigore, la preminenza del diritto e la nozione di processo
equo sanciti dall’art. 6 CEDU ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale,
all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito
giudiziario di una controversia. La Corte ha rammentato, inoltre, che l’esigenza della parità delle
armi implica l’obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilità di presentare la propria
causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte. Analoghi
principi sono stati affermati, altresì, nella sentenza del 25 novembre 2010, Lilly c. Francia, e nella
sentenza dell’il febbraio 2010, Javaugue c. Francia.
d ) Al fine di determinare se vi sia stato un motivo impellente di interesse generale in grado di
giustificare tale misura, il rispetto della preminenza del diritto e delle regole del processo equo,
secondo la Corte di Strasburgo, impone che le ragioni addotte per giustificare tale misura siano
valutate con il massimo grado di cautela possibile . Considerazioni di carattere finanziario non
possono da sole giustificare che il legislatore si sostituisca al giudice al fine di risolvere le
controversie ( causa Maggio ed altri citata ).
e) La Corte ha osservato ( causa Arras citata ) che” Il problema sollevato nel caso di specie è
fondamentalmente quello del giusto processo, e ,secondo la Corte, ciò coinvolge la responsabilità
dello Stato sia nella sua funzione legislativa, se vizia il processo o influenza l’esito giudiziario della
controversia, sia nella sua funzione di autorità giudiziaria se è violato il diritto a un giusto processo,
compreso in questioni private tra soggetti privati “.
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dei ricorrenti, la prosecuzione del giudizio. Perciò, la legge aveva avuto l’effetto di modificare

Nella già citata pronuncia n 264 del 2012 la Corte costituzionale ha rilevato che l’ impostazione
della giurisprudenza ECU risulta sostanzialmente coincidente con i principi enunciati dalla stessa
Corte con riguardo al divieto di retroattività della legge, che, pur costituendo valore fondamentale
di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost. (sentenze
n. 15 del 2012, n. 236 del 2011 e n. 393 del 2006). Il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può
emanare – come rilevato nelle citate sentenze – disposizioni retroattive, anche di interpretazione

diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti <> ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU. La richiamata disposizione
convenzionale, come applicata dalla Corte europea, integra, quindi, pianamente il parametro
dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione.
Alla luce dei citati principi elaborati dalla giurisprudenza CEDU in riferimento all’interpretazione
dell’art 6 della Convenzione citato ritiene in definitiva questo collegio che si prospetti il dubbio
di legittimità costituzionale della L n 266/2005 art 1, comma 224, non essendo possibile adottare
un’interpretazione della disposizione citata conforme alla Convenzione.
La norma in questione è intervenuta nel corso del giudizio ,determinando la modifica dell’esito del
giudizio favorevole ai ricorrenti secondo una giurisprudenza consolidata che riconosceva ai
dipendenti pubblici il diritto ad un compenso aggiuntivo in caso di coincidenza della festività con la
domenica.
Le argomentazioni svolte dal Ministero non sembrano poter rappresentare gli “impellenti motivi di
interesse generale ” di cui sopra . L’applicazione della legge in questione si traduce nel privare i
ricorrenti di un emolumento che essi avrebbero potuto pretendere e si riverbera sull’esito dei
processi in corso.
Le finalità indicate dal Ministero secondo cui la legge retroattiva tende a “razionalizzare” o
“omogeneizzare” il trattamento del pubblico impiego costituiscono espressioni del tutto generiche
mentre lo stesso Ministero non nega l’intento di sola compressione della spesa pubblica.
La tesi ,sostenuta da una parte della dottrina, della disapplicabilità , da parte del giudice comune,
di norme contrastanti non solo con l’art 6 CEDU ma anche con gli artt. 47, secondo comma, e 52,
terzo comma, della Carta dei diritti fondamentali UE, non è generalmente condivisa e contrasta
con le citate sentt. N 348 e 349 del 2007 della Corte Cost.. Essa non ha dato luogo a ” diritto
vivente” onde a questo collegio sembra meglio procedere secondo le indicazioni di queste due
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autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi,

pronunce ( vedi anche Corte giust. UE, 24 aprile 2012 n. C 571/10 Kamberaj; 26 febbraio 2013 n.
617/10, Fransson ) .
PQM

La Corte

Visti l’art 134 Cost. e la L 11 marzo 1953 n 87 , art 23, dichiara rilevante e non manifestamente
infondata — in riferimento all’art 117 Cost, comma 1, in relazione all’art 6 della Convenzione

con L. 4 agosto 1955, n 848, la questione di legittimità costituzionale della L. 23 dicembre 2005 n.
266 art 1 , comma 224, ( legge finanziaria 2006) .
Dispone la sospensione del procedimento n 30358/2010.
Ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Ordina alla Cancelleria che la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di legittimità,
ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che essa sia comunicata al Presidente del Senato della
Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati.
Così deciso in Roma il 5/11/2013

Il Presidente

Europea dei Diritti dell’Uomo ( CEDU) , sottoscritta dall’Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva

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