Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1040 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 17/01/2020), n.1040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.E., rappr. e dif. dall’avv. Alessandro Praticò,

alessandropratico.pec.ordineavvocatitorino.it, come da procura in

calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.

ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici, in

Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato;

– costituito –

per la cassazione del decreto Trib. Brescia 21.8.2018, cron.

3352/2018, R.G. 17031/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 19.12.2019;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta Decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.E. impugna il decreto Trib. Brescia 21.8.2018, cron. 3352/2018, R.G. 17031/2017 che ha rigettato il suo ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. il tribunale ha negato l’attendibilità della narrazione del ricorrente, perchè generica e contraddittoria anche dopo l’affidavit prodotto e riferito a dichiarazioni del cugino, peraltro apprese direttamente dallo stesso ricorrente, circa le circostanze di pericolo di persecuzione a seguito dell’omicidio del padre, cui aveva assistito e che era stato perpetrato da uno zio datosi alla fuga, mentre l’altro zio, parimenti denunciato alla famiglia allargata e alla polizia, era stato incarcerato, così asserendo minacce e ferimenti anche dal primo ma senza implicazione meglio provata; pari inattendibilità concerneva la pretesa morte per avvelenamento della madre, incertamente collegata all’omicidio del padre (di cui non era stata testimone) e la stessa contesa sull’assegnazione proprietaria della terra, ereditata dal comune ascendente e oggetto del litigio scatenante i fatti, assoggettata in Nigeria ad un regime assai attenuato di proprietà privata, di fatto una locazione per 99 anni; dalle stesse dichiarazioni del ricorrente non emergeva il rischio di vita o incolumità per conflitto generalizzato, peraltro confermato dai COI reports della zona di provenienza (il Delta State); difettavano infine, oltre alla attendibilità del racconto sul viaggio e il transito in Libia, situazioni di sicura vulnerabilità per la protezione umanitaria;

3. il ricorso descrive due motivi di censura.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta la mancata concessione delle forme di protezione internazionale, con violazione altresì del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2 e 3 CEDU, anche come vizio di motivazione, per mancato rispetto del dovere di cooperazione istruttoria, esame della situazione personale e della credibilità;

2. con il secondo motivo si censura come violazione di legge (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 2 e 10 Cost., 8 CEDU) la motivazione del rigetto della domanda;

3. il ricorso, esaminati in via congiunta i motivi per la loro connessione, è inammissibile; il tribunale ha condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014) ed anche con riferimenti di condivisione alle lacune della domanda già riscontrate dalla commissione, una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunta non permette una diversa disamina, altresì per i limiti redazionali del ricorso; in realtà il decreto ha motivatamente e in via preliminare escluso la piena attendibilità del ricorrente, in ragione della contraddittorietà delle dichiarazioni progressivamente rese avanti alla commissione e poi nel ricorso, così che la pretesa violazione del dovere di cooperazione istruttoria si fonda su una lettura non corretta del principio, cui il Collegio intende dare continuità, per cui “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019), circostanza nella specie positivamente esclusa e cui non rimedia la pretesa, graduale e contraddittoria messa a punto dei dettagli (Cass. 20580/2019);

4. va inoltre ricordato, ancora sul punto, che “in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass. 4892/2019, 18446/2019); in ogni caso il ricorrente non ha allegato alcuna classe di impedimenti, fatti valere in giudizio ed erroneamente trascurati, giustificanti i limiti del proprio corredo probatorio o contributo istruttorio, posto che sia il racconto delle ricerche ad opera dei parenti da cui sarebbe stato attinto in Nigeria, sia le circostanze di fuga sono apparse oggetto di esposizione confusa e contraddittoria, cui non ha supplito, già per difetto di univocità, l’allegato documento di affidavit del cugino, come insindacabilmente apprezzato dal giudice di merito;

5. escludendo ognuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, il tribunale ha in particolare negato l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona per violenza indiscriminata, anche ai sensi della lett. c) art. cit.; il che rende insuperabile il dato, presupposto nel decreto impugnato, per cui la prospettazione persecutoria al ricorrente è risultata del tutto indiretta e generica; invero, la stessa “nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 13858/2018, 18306/2019); il tribunale, sul punto, ha pienamente motivato (indicando le fonti COI reports) coerentemente adeguandosi al principio, cui va data continuità, per cui “lo straniero non può ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato per il solo fatto che vi siano nel suo paese di origine aree o regioni insicure, qualora la regione o area da cui egli provenga sia immune da rischi di persecuzione” (Cass. 18540/2019);

6. nella specie, nemmeno può dirsi superato il principio di determinatezza della zona di conflitto, presupposto logico per una verifica di potenziale individualizzazione del danno grave di cui al D.Lgs. n. 215 del 2007, art. 14, lett. c), provenendo il ricorrente da area non interessata (Delta State);

7. la censura sul diniego di protezione umanitaria è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente e potendosi aggiungere che l’odierna censura è inammissibile anche per genericità e perchè si risolve in un dedotto vizio di motivazione, oltre il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA