Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1040 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 20/02/2018, dep. 17/01/2019), n.1040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13810/2015 proposto da:

F.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

ACACIE 13 CENTRO CAF, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI

GENIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCA DI GENIO

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A., AZIENDA SANITARIA LOCALE SALERNO, NUOVA TIRRENA SPA

(poi GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA), PRESIDIO OSPEDALIERO (OMISSIS),

ASSICURAZIONI GENERALI ITALIA SPA;

– intimati –

nonchè da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE SALERNO, in persona del Direttore Generale e

legale rappresentante p.t., Dott. SQ.AN., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ALESSANDRIA 208, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMILIANO CARDARELLI, rappresentata e difesa dagli

avvocati GENNARO SASSO, VALERIO CASILLI giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

GENERALI ITALIA SPA, a seguito di conferimento in INA Assitalia Spa

del complesso aziendale costituito dal portafoglio assicurativo

della Direzione per l’Italia di Assicurazioni Generali Spa e

contestuale modifica della denominazione, in persona dei procuratori

speciali C.P. e P.V., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio

dell’avvocato MARCO VINCENTI, che la rappresenta e difende giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

F.N., S.A., GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA (già

NUOVA TIRRENA SPA), PRESIDIO OSPEDALIERO (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

GENERALI ITALIA SPA, a seguito di conferimento in INA Assitalia Spa

del complesso aziendale costituito dal portafoglio assicurativo

della Direzione per l’Italia di Assicurazioni Generali Spa e

contestuale modifica della denominazione, in persona dei procuratori

speciali C.P. e PO.MA., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio

dell’avvocato MARCO VINCENTI, che la rappresenta e difende giusta

procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

ASL (OMISSIS) SALERNO, GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA (già NUOVA TIRRENA

SPA), PRESIDIO OSPEDALIERO (OMISSIS), F.N.,

S.A.;

– intimati –

nonchè da:

S.A., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato LORENZO BOCCHINO giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

F.N., GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA (già NUOVA TIRRENA

SPA), AZIENDA SANITARIA SALERNO (OMISSIS), PRESIDIO OSPEDALIERO

(OMISSIS), ASSICURAZIONI GENERALI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 88/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 26/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/02/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data (OMISSIS) F.N., all’epoca ventenne, si procurò un “grave sfacelo traumatico” della mano destra a causa di un petardo. Ricevuta una prima assistenza presso la Clinica (OMISSIS), venne trasferito con urgenza presso il Presidio Ospedaliero di (OMISSIS), dove fu sottoposto a intervento chirurgico, eseguito dal chirurgo di turno, Dott. S.A. e consistito nell’amputazione delle dita della mano destra, ad eccezione della 1^ falange ungueale.

Il F., una volta constata l’impossibilità di recuperare l’originaria funzionalità della mano con un intervento di chirurgia estetica, asseritamente preclusogli dalla tipologia di intervento praticatagli presso l’Ospedale di (OMISSIS), convenne in giudizio il Dott. S., medico chirurgo di turno chiamato d’urgenza, che aveva eseguito l’intervento, l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) di (OMISSIS), la A.S.L. SA (OMISSIS) e la rispettiva compagnia assicuratrice, Generali Assicurazioni S.p.a., per sentirli condannare al risarcimento in proprio favore dei danni patiti all’esito di un erroneo intervento chirurgico, cui era stato sottoposto senza essere stato previamente informato di tutte le possibili conseguenze.

Autorizzata la chiamata in causa della Nuova Tirrena Assicurazioni S.p.a., su istanza del Dott. S., ed espletata consulenza tecnica di ufficio, il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 1685/06 del 5 gennaio 2006, depositata il 28 aprile 2006, preliminarmente dichiarò prescritto il diritto del sanitario di vedersi manlevare dalla propria compagnia di assicurazione, la Nuova Tirrena S.p.a.; ritenne legittimamente convenuta in giudizio la Generali Assicurazioni S.p.a., negò ogni responsabilità dell’Azienda ospedaliera e rigettò la domanda avanzata nei confronti della stessa. Il Tribunale, inoltre, escluse ogni errore medico, da parte del S., nell’esecuzione di un intervento che si prospettava come l’unico idoneo a scongiurare ogni ulteriore complicanza, nonostante la sua invasività, ma lo condannò, unitamente alla ASL SA (OMISSIS), al risarcimento dei danni, in favore dell’attore, per la mancata assunzione del consenso informato del paziente; danni che liquidò in via equitativa in Euro 40.000,00 e che, per la ASL convenuta, pose a sostanziale carico della compagnia assicuratrice, compensando tra le parti le spese di lite.

Il S. impugnò la sentenza.

La Generali Assicurazioni S.p.a. resistette all’appello e propose appello incidentale, eccependo la nullità della sua chiamata diretta in giudizio, vertendosi in fattispecie estranea all’ipotesi di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 18 e comunque l’ultrapetizione in cui sarebbe incorso il primo giudice nel riconoscere all’attore un diritto (quello alla compiuta informazione) non richiesto, dal momento che il petitum originario ineriva unicamente al danno alla salute, nelle sue diverse declinazioni. Per questi motivi la predetta società assicuratrice chiese la riforma della sentenza nel senso di riconoscere la mancanza di legittimazione passiva di essa assicurazione, ovvero di revocare la domanda risarcitoria.

F.N. propose a sua volta appello incidentale, insistendo per il riconoscimento a carico del sanitario anche della responsabilità medico professionale e per il risarcimento integrale dei danni, come indicati in citazione.

La ASL SA (OMISSIS), con autonomo appello incidentale, fece proprie le difese del sanitario, anche in tema di consenso informato, ribadendo la richiesta di riforma della sentenza nei termini richiesti dal Dott. S., ovvero chiedendo il pagamento del risarcimento a cura della propria compagnia assicuratrice.

La Corte di appello di Salerno, con sentenza pubblicata il 26 gennaio 2015, decise nei termini appresso indicati: 1) accolse per quanto di ragione l’appello principale del S. e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, rideterminò l’entità del risarcimento dovuto in favore del F. per violazione del dovere di informazione nella somma di Euro 10.000,00, all’attualità, oltre interessi legali a far tempo da quella decisione e sino all’effettivo soddisfo; 2) in accoglimento dell’appello incidentale della Assicurazioni Generali S.p.a., rigettò la domanda proposta dal F. nei confronti dell’appellante incidentale per carenza di legittimazione passiva; 3) confermò nel resto l’impugnata sentenza; 4) condannò S.A., F.N. e l’Azienda Sanitaria Locale Salerno (OMISSIS), in solido, alla rifusione delle spese relative al secondo grado di giudizio in favore della Assicurazioni Generali S.p.a..

Avverso la sentenza della Corte di merito F.N. ha proposto ricorso per cassazione basato su cinque motivi e illustrato da memoria.

S.A. ha resistito con controricorso contenente pure ricorso incidentale basato su tre motivi.

L’Azienda Sanitaria Locale Salerno ha resistito con controricorso contenente pure ricorso incidentale basato su un unico motivo.

Ha resistito con controricorso Generali Italia S.p.a. – a seguito di conferimento in INA Assitalia Spa del complesso aziendale costituito dal portafoglio assicurativo della Direzione per l’Italia di Assicurazioni Generali S.p.a. e contestuale modifica della denominazione -, la quale ha proposto pure ricorso incidentale basato su tre motivi e ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale proposto dall’Azienda Sanitaria Locale Salerno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale proposto da F.N..

1. La memoria depositata dal ricorrente principale è inammissibile per tardività, essendo stata depositata in data 14 febbraio 2018, quindi, oltre il termine fissato dall’art. 380-bis.1 c.p.c., per tale adempimento, sicchè della stessa non può tenersi alcun conto.

2. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 2967,2727,1223e 2729 c.c., nonchè all’art. 115 c.p.c., ed all’art. 24 Cost., per omessa valutazione delle richieste istruttorie e dei principi generali in materia di presunzioni semplici.

In particolare il ricorrente principale lamenta che la Corte di merito, nel ridurre l’ammontare dei danni liquidati in primo grado per il mancato consenso informato, avrebbe fondato tale decisione sul

rilievo che egli non avesse provato che, se fosse stato informato dell’operazione cui sarebbe stato sottoposto, avrebbe sicuramente rifiutato l’intervento di urgenza praticatogli senza che la medesima Corte si fosse mai pronunciata sulle reiterate richieste istruttorie da lui proposte.

Inoltre, la decisione di secondo grado viene censurata anche nella parte in cui, nel ridurre la liquidazione del danno operata dal Tribunale, la Corte avrebbe ritenuto non sufficiente la comprovata attività di bracciante agricolo del F., e ciò in violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 1223 c.c.. Assume il ricorrente che le risultanze della c.t.u. avrebbero evidenziato che la sua mano destra era del tutto compromessa e che anche il braccio presentava un’atrofia muscolare rispetto all’altro braccio dovuta alla mancata funzionalità della mano, e, posto in rilievo che gli arti superiori rappresentano i “mezzi di lavoro” di un bracciante agricolo, il F. sostiene che anche solo in via presuntiva, diversamente da quanto ritenuto dal Giudice di appello, risulterebbe più che evidente che la sua attività di bracciante agricolo sia stata più che compromessa dalla ridotta e/o mancata funzionalità dell’arto sicchè avrebbe dovuto essere riconosciuto il danno di cui all’art. 1223 c.c..

La decisione della Corte di merito sarebbe, in conclusione, ad avviso del ricorrente, illogica ed in violazione della legge in quanto, pur avendo la Corte territoriale – che ben avrebbe potuto fare ricorso a presunzioni semplici – riconosciuto l’illecito perpetrato dal medico per il mancato consenso informato, non avrebbe riconosciuto il danno conseguenza e l’avrebbe comunque ridotto rispetto alla sentenza impugnata in quella sede.

2.1. Secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimità, al quale questo Collegio intende dare continuità, “in tema di attività medico-chirurgica, la manifestazione del consenso informato alla prestazione sanitaria costituisce esercizio di un diritto soggettivo del paziente all’autodeterminazione, cui corrisponde, da parte del medico, l’obbligo di fornire informazioni dettagliate sull’intervento da eseguire, con la conseguenza che, in caso di contestazione del paziente, grava sul medico l’onere di provare il corretto adempimento dell’obbligo informativo preventivo, mentre, nel caso in cui tale prova non venga fornita, è necessario distinguere, ai fini della valutazione della fondatezza della domanda risarcitoria proposta dal paziente, l’ipotesi in cui il danno alla salute costituisca esito non attendibile della prestazione tecnica, regolarmente eseguita, da quella in cui, invece, il peggioramento della salute corrisponda a un esito infausto prevedibile ex ante, nonostante la corretta esecuzione della prestazione tecnico-sanitaria che si rendeva comunque necessaria, nel qual caso, ai fini dell’accertamento del danno, graverà sul paziente l’onere di provare, anche tramite presunzioni, che il danno alla salute è dipeso dal fatto che egli, ove fosse stato compiutamente informato, avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento” (v. ex multis, Cass. 24074/2017; v. anche Cass. 2854/2015; Cass. civ. 24220/2015; Cass. 16503/2017).

E’ stata, quindi, riconosciuta l’autonoma rilevanza, ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria, della mancata prestazione del consenso da parte del paziente, con la precisazione che tale violazione può causare due diversi tipi di danni: a) un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi al trattamento e di subirne le conseguenze invalidanti; b) un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in sè stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute (ex multis v. Cass. 2854/2015; 24220/2015; Cass. 24074/2017; Cass. 16503/2017, già sopra richiamate).

Ciò è a dirsi nell’ottica della legittima pretesa, per il paziente, di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze probabili (ma non anche quelle assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) dell’intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso che la nostra Costituzione sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive (Cass. n. 21748/2007; Cass. 23676/2008, in tema di trasfusioni salvavita eseguite al testimone di Geova contro la sua volontà).

Ad una corretta e compiuta informazione consegue, difatti:

a. il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico;

b. la facoltà di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari;

c. la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post-operatorie;

d. il diritto di rifiutare l’intervento o la terapia – e/o di decidere consapevolmente di interromperla;

e. la facoltà di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell’intervento, ove queste risultino, sul piano postoperatorio e riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanto inaspettate (per il paziente) a causa dell’omessa informazione.

Possono, pertanto, prospettarsi le seguenti situazioni:

1. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni, hic et nunc: in tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale (sul punto, Cass. 901/2018);

2. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente;

3. omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento, sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poichè, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – andrà valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all’intervento e quella (comunque patologica) antecedente ad esso;

4. omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente (e che, di conseguenza, sia stato correttamente eseguito): in tal caso, la lesione del diritto all’autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile, sul piano puramente equitativo, tutte le volte che, e solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse.

Condizione di risarcibilità di tale tipo di danno non patrimoniale sarà quella che esso varchi la soglia della gravità dell’offesa secondo i canoni dettati dagli arresti del 2008 di questa Corte (Cass., sez. un., 26972/2008 e 26975/2008), predicativi del principio per cui il diritto leso, per essere oggetto di tutela risarcitoria, deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento con il principio di solidarietà secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.

Il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potrà conseguire alla allegazione del relativo pregiudizio ad opera del paziente, onerato della relativa prova (Cass. 2874/2010), che potrà essere fornita anche mediante presunzioni (Cass. 16503/2017), fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione.

Ne discende, quindi, che l’indagine potrà estendersi ad accertare se il paziente avrebbe rifiutato quel determinato intervento ove fosse stato adeguatamente informato (Cass. 9/02/2010, n. 2847); ovvero se, tra il permanere della situazione patologica in atti e le conseguenze dell’intervento medico, avrebbe scelto la prima situazione; o ancora, se, debitamente informato, avrebbe vissuto il periodo successivo all’intervento con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali quanto inaspettate conseguenze e sofferenze.

Ci si trova, pertanto, in un territorio (e in una dimensione probatoria) che impone al giudice di interrogarsi se il corretto adempimento, da parte del medico, dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico dal quale, anche senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato, ovvero avrebbe consentito al paziente la necessaria preparazione ad affrontare il periodo post-operatorio nella piena e necessaria consapevolezza di tutte le sue possibili conseguenze.

Ai principi sopra richiamati la Corte di merito risulta essersi attenuta, laddove ha escluso, in base ad un accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede, che il F. “abbia provato, in maniera certa e inconfutabile, che l’inosservanza dell’obbligo di informazione da parte del Dr. S. si sia tradotto, in concreto, in un danno alla salute altrimenti evitabile” e ha, invece, confermato, la decisione del Tribunale quanto alla sussistenza del “danno alla libertà di autodeterminazione, che si traduce in una evidente mortificazione della dignità umana”.

Va pure osservato che le istanze istruttorie non esaminate e comunque non accolte dai Giudici del merito, riportate testualmente in ricorso, non risultano decisive in relazione a quanto evidenziato nella sentenza impugnata e sopra riportato, con riferimento alla carenza probatoria rilevata dalla Corte territoriale, sicchè deve escludersi ogni contraddittorietà insanabile della motivazione della sentenza pure denunciata (v. ricorso p. 20).

Nè, d’altronde, il ricorrente ha dedotto di aver quanto meno tempestivamente allegato fatti dimostrativi ai fini evidenziati dalla Corte di merito.

Quanto poi alle doglianze relative alla revisione in peius della liquidazione del danno alla libertà di autodeterminazione operata dalla Corte di merito e al mancato ricorso a elementi presuntivi nella determinazione del quantum debeatur, va rilevato che tale Corte, in base ad un accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede, ha ritenuto non provato il danno patrimoniale, in difetto di prova specifica al riguardo, non ritenendo sufficiente sul punto la mera allegazione della compromissione dell’attività di bracciante agricolo, e ha rideterminato il danno non patrimoniale in base a criteri equitativi.

A quanto precede va aggiunto che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare o meno ricorso a presunzioni, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione (Cass., ord., 8/01/2015, n. 101; Cass. 2/04/2009, n. 8023; Cass. 21/10/2003, n. 15737).

2.2. Alla luce delle considerazioni che precedono, il motivo è infondato.

3. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., sostenendosi che la Corte di appello si sarebbe “pronunciata su domanda inesistente, quale la riduzione della liquidazione del danno, che non rientrava in alcuno dei motivi di appello nè dell’appellante principale nè dell’appellante incidentale Generali Ass.ni” ed avrebbe, altresì, fatto riferimento, nel ridurre la liquidazione del danno operata dal Tribunale, al fatto che il F. si era autoindotto il trauma raccogliendo un petardo per strada, fatto che non sarebbe stato oggetto di causa.

3.1. Il motivo è infondato.

3.1.1. Ed invero risulta dalle stesse conclusioni dell’appellante principale e incidentale riportate in ricorso che la Corte di merito è stata investita, da entrambe dette parti, della richiesta di rigetto della domanda del F., sicchè ben poteva detta Corte ridurre l’entità del risarcimento dal medesimo preteso, dovendo essa avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalle parti appellanti (Cass. 19/10/2015, n. 21087) e dovendosi tale richiesta di riduzione della liquidazione del danno ritenere insita nelle richieste formulate dalle parti appellanti.

In un caso analogo a quello ora all’esame, questa stessa Corte ha già avuto modo di affermare – e tanto va pure ribadito in questa sede – che il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato può ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti; ne consegue che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate. Nella specie esaminata, questa S.C. ha confermato la sentenza di appello, che aveva ritenuto che la richiesta di riduzione della somma già riconosciuta dal primo giudice in favore dell’attore fosse implicitamente contenuta nell’originaria richiesta di rigetto della domanda attrice e nella integrale contestazione delle pretese della medesima (Cass. 26/10/2009, n. 22595).

3.1.2. Parimenti infondata è pure l’ulteriore doglianza sollevata nel motivo all’esame, considerato che il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa – alla stregua delle risultanze istruttorie – autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, purchè restino immutati il petitum e la causa petendi e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (Cass. 4/02/2016, n. 2209; Cass. 20/06/2008, n. 16809), evidenziandosi che la circostanza in parola emerge dagli atti ed in particolare dalla cartella clinica prodotta e che, peraltro, non risulta, nè è stato neppure allegato, che la stessa abbia avuto un ruolo determinante nella adottata decisione.

4. Con il terzo motivo, rubricato “Violazione dell’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5, in relazione agli artt. 1226, 2056 e 115 c.p.c.”, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello ha ridotto l’importo liquidato dal Tribunale a titolo di danno non patrimoniale alla libertà di autodeterminazione, sostenendosi che a tanto la Corte avrebbe proceduto, ad avviso del F., in modo personalistico, immotivato ed ingiustificato, non attenendosi al logico, giusto e ampiamente motivato ragionamento del Tribunale.

4.1. Il motivo è infondato.

Si osserva che, in tema di liquidazione equitativa del danno, al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum (Cass. 29/07/2005, n. 16094).

Ed infatti, la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria.

Nella specie la Corte di merito ha motivato sul punto senza incorrere nei denunciati vizi, facendo riferimento ai criteri di determinazione cui ha fatto ricorso il Tribunale, ritenendoli espressamente “correttamente individuati nella specificità del caso” e, in base a quanto evidenziato a p. 11 della sentenza impugnata, ha proceduto ad una revisione della liquidazione che ha ritenuto motivatamente più adeguata al caso concreto.

5. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta “Difetto e contraddittorietà di motivazione in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 116 e 112 c.p.c.” per aver la Corte di merito evidenziato, esaminando la questione del mancato consenso informato, la “specificità del caso, contrassegnato dalla opzione alternativa di un intervento meno invasivo ma molto più rischioso” e ritenuto, invece, la correttezza dell’operazione effettuata dal Dott. S., senza considerare la ricordata circostanza anche in sede di accertamento della responsabilità del sanitario connessa all’atto operatorio, in tal modo cadendo in contraddizione.

Inoltre, secondo il ricorrente, nel travisare il petitum e la causa petendi, la medesima Corte avrebbe illogicamente limitato la domanda giudiziale così come posta e ridotto il risarcimento al solo mancato consenso informato.

5.1. Il motivo è infondato.

Non sussiste la lamentata contraddizione intrinseca nella motivazione della sentenza impugnata, evidenziandosi che, in sostanza, il motivo tende pure, inammissibilmente, ad una rivalutazione del merito non consentita in questa sede.

6. Con il quinto motivo, rubricato “Violazione dell’art. 335, nn. 1 e 4 e 5, in relazione agli artt. 112,115 e 91 c.p.c.” (v. ricorso p. 31; a p. 2 del predetto atto il motivo all’esame viene indicato come titolato “Violazione dell’art. 335 nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 112,115 e 91 c.p.c.”), il ricorrente sostiene che la Corte di merito, in modo arbitrario e contra legem, non avrebbe accolto la domanda di manleva proposta dalla ASL nei confronti dell’Assicurazioni Generali S.p.a., in quanto su tale domanda, pur se effettuata irritualmente e non in conformità di quanto previsto dall’art. 269 c.p.c., in assenza di contestazioni ex adverso, vi sarebbe stata accettazione del contraddittorio.

Lamenta, altresì, il F. che la medesima Corte lo abbia condannato alle spese del giudizio, in solido con gli altri convenuti, nei confronti della predetta società assicuratrice, la quale, pur se carente di legittimazione passiva con riferimento alla domanda diretta proposta nei suoi confronti dallo stesso attore, non avrebbe dovuto comunque essere estromessa dal giudizio, stante la domanda di manleva dell’ASL che sarebbe stata implicitamente accettata.

6.1. Il motivo va disatteso, tenuto conto che non risulta essersi verificata la prospettata accettazione del contraddittorio nei confronti di una domanda che, peraltro, non ha trovato rituale ingresso nel processo e considerato che l’appello incidentale proposto dalla già richiamata società assicuratrice non poteva che essere pertinente al decisum del Tribunale.

Inoltre, alla luce dell’accoglimento dell’appello incidentale di Generali Assicurazioni S.p.a. e del conseguente rigetto della domanda del F. nei confronti della predetta società per carenza di legittimazione passiva, l’attuale ricorrente risulta soccombente nei confronti della predetta e, come tale, tenuto alle spese, sicchè non sussiste la lamentata violazione dell’art. 91 c.p.c..

7. Il ricorso del F. va, quindi, rigettato.

Ricorso incidentale proposto da Azienda Sanitaria Locale Salerno.

8. Con l’unico motivo proposto la predetta Azienda, lamentando “Violazione dell’art. 335, nn. 1 e 4 e 5, in relazione agli artt. 112 e 115 e 91 c.p.c.” formula le medesime doglianze sollevate dal F. con il quinto motivo del ricorso principale nella parte in cui si sostiene che la domanda di manleva proposta dalla ASL (OMISSIS) Salerno nei confronti di Assicurazioni Generali S.p.a. fosse ammissibile, pur se proposta al di fuori degli schemi processuali di cui all’art. 269 c.p.c., in assenza di contestazioni da parte della predetta società assicuratrice nella prima udienza utile, sicchè la sentenza di appello sarebbe illegittima nella parte in cui Assicurazioni Generali S.p.a. è stata mandata esente da qualsiasi condanna risarcitoria.

8.1. Il motivo è infondato sulla base delle medesime argomentazioni espresse con riferimento all’analoga censura sollevata dal F..

9. Il ricorso incidentale dell’Azienda Sanitaria Locale Salerno deve,

pertanto, essere rigettato.

Ricorso incidentale proposto da Generali Italia S.p.a..

10. Con il primo motivo si lamenta “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla interpretazione della domanda, proposta da Assicurazioni Generali S.p.A., di restituzione di quanto corrisposto in virtù della sentenza di primo grado”.

Sostiene la società ricorrente incidentale che la Corte di appello, pur accogliendo l’appello incidentale da essa proposto, ha ritenuto che “non merita accoglimento l’ulteriore pretesa della Compagnia di restituzione delle spese pagate, in esecuzione della sentenza, in favore del difensore del F., dichiaratosi antistatario, in quanto la domanda è rimasta sprovvista del minimo fondamento probatorio”, in tal modo erroneamente interpretando la domanda di restituzione che si riferiva non soltanto alle spese corrisposte alla controparte ma a tutto quanto dalla società assicuratrice pagato in esecuzione della sentenza di primo grado e, quindi, anche alla sorte, pari a Euro 41.032,91, da essa corrisposta al F..

11. Con il secondo motivo, lamentando “Omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., laddove la Corte d’Appello ha ritenuto che la domanda di restituzione di quanto corrisposto in virtù della sentenza di primo grado, proposta da Assicurazioni Generali S.p.A. fosse limitata alla restituzione delle sole spese giudiziali pagate, in dipendenza della sentenza medesima, al difensore antistatario del F.”, la società ricorrente chiede che la sentenza impugnata sia cassata per i motivi già esposti anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c..

12. Con il terzo motivo si lamenta “Violazione e falsa applicazione del c.d. “principio di non contestazione” di cui all’art. 115 c.p.c. e art. 167 c.p.c., comma 1, anche in relazione all’art. 88 c.p.c. (dovere di probità processuale) ed all’art. 111 Cost. (semplificazione ed economia processuale nel rispetto del giusto processo), laddove la Corte d’Appello ha ritenuto non provata la domanda, proposta da Assicurazioni Generali S.p.A., di restituzione di quanto corrisposto in virtù della sentenza di primo grado, laddove, invece, avrebbe dovuto ritenere provata la circostanza di specifica contestazione della parte interessata”.

Sostiene la società ricorrente incidentale che, una volta precisato il contenuto della domanda di restituzione da essa proposta in virtù dei motivi che precedono, sarebbe evidente l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel rigettare la domanda in discorso, in quanto, in difetto di ogni contestazione, da parte del F., dell’avvenuto pagamento in suo favore di quanto liquidato con la sentenza di primo grado, la medesima Corte avrebbe disposto in aperta violazione del principio di non contestazione, poichè avrebbe dovuto ritenere la circostanza in parola provata e non necessaria di ulteriore supporto probatorio.

13. I tre motivi del ricorso incidentale all’esame, essendo strettamente connesi, ben possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati, alla luce della domanda di restituzione formulata e non risultando contestata la circostanza dell’intervenuto pagamento, evidenziandosi che nulla ha opposto al riguardo in questa sede il F..

Ricorso incidentale proposto da S.A..

14. Con quello che viene indicato come primo motivo, peraltro neppure rubricato, si deduce l’inammissibilità del ricorso del F. e si sostiene che quest’ultimo non avrebbe impugnato la sentenza della Corte di merito sul capo relativo alla responsabilità medico professionale del S., essendosi limitandosi a censurare solo la riliquidazione di un ristoro per la mancata acquisizione del consenso informato del paziente.

14.1. Trattasi, in realtà, di un non motivo, e, come tale, è inammissibile.

15. Il secondo motivo è così rubricato: “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento all’art. 112 c.p.c., ed all’esimente di cui all’art. 54 c.p., le cui circostanze di fatto, pur dedotte dall’Appellante principale, non sono mai state esaminate dalla Corte”.

Rappresenta il S. di aver, con l’atto di appello, rappresentato che le particolari condizioni del F., la gravità delle lesioni, la necessità di intervenire d’urgenza – pena ulteriori pregiudizi alla salute – costituivano circostanze univoche per poter sostenere che nel caso di specie sussisteva lo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p. e che giustificano e legittimano l’operatore sanitario ad intervenire senza preventiva acquisizione del consenso informato del paziente; lamenta, altresì, che la Corte di merito abbia omesso “qualsiasi relazione tra il “regime di urgenza” che ha governato la scelta medica del sanitario e la conseguente esclusione da ogni sua responsabilità, per l’omessa informazione del paziente”, nonostante “l’eccezione dell’appellante, e la connotazione del fatto da sussumersi nel paradigma normativo di cui all’esimente ex art. 54 c.p.” ed abbia, altresì, “serbato un ingiustificato silenzio perpetrando una grave omissione su circostanze di fatto che hanno formato oggetto del procedimento, e che, per la loro rilevanza, avrebbero comportato l’integrale accoglimento dell’Appello, con declaratoria di inesistenza di responsabilità del S…. anche per l’omessa informazione preventiva del paziente”.

15.1. Il motivo va rigettato, non ravvisandosi la sussistenza delle lamentate omissioni da parte della Corte di merito, la quale, a p. 8 e 9 della sentenza impugnata, ha riportato quanto dedotto sulla questione all’esame dal S. e, richiamandosi alla motivazione del Tribunale anche in relazione a quella che definisce “l’urgenza effettiva” o emergenza, ha escluso che la fattispecie vi rientrasse, così sostanzialmente escludendo anche la configurabilità, nella specie, dell’esimente di cui all’art. 54 c.p..

16. Con il terzo motivo il S., lamentando “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 91 c.p.c.”, censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale, accomunando le posizioni delle diverse parti processuali, lo ha condannato, in solido con il F. e l’Azienda Sanitaria Salerno (OMISSIS), alle spese nei confronti di Generali Assicurazioni S.p.a., nei cui confronti lo stesso S. non ha proposto azioni o formulato domande e la cui partecipazione processuale non sarebbe stata mai invocata o provocata dallo stesso.

16.1. Il motivo è fondato, essendo stata la predetta società assicuratrice evocata in giudizio dal F. e non risultando che il S. abbia avanzato domande nei confronti di tale società.

17. Conclusivamente, va rigettato il ricorso principale e il ricorso incidentale dell’Azienda Sanitaria Locale Salerno; va accolto il ricorso incidentale di Generali Italia S.p.a. e il solo terzo motivo del ricorso incidentale di S.A.; va cassata in relazione la sentenza impugnata e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione.

18. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale Azienda Sanitaria Locale Salerno, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari rispettivamente a quello dovuto per il ricorso principale e il ricorso incidentale della Azienda Sanitaria Locale Salerno, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale dell’Azienda Sanitaria Locale Salerno; accoglie il ricorso incidentale di Generali Italia S.p.a. e il solo terzo motivo del ricorso incidentale di S.A.; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale Azienda Sanitaria Locale Salerno, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari rispettivamente a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale della Azienda Sanitaria Locale Salerno, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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