Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10395 del 01/06/2020

Cassazione civile sez. I, 01/06/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 01/06/2020), n.10395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9179/2019 proposto da:

P.J.A., elettivamente domiciliato in Roma Via

Augusto Riboty, 23 presso lo studio dell’avvocato Gerace Valeria che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 19/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/02/2020 da DI MARZIO MAURO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – P.J.A. ricorre per tre mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro il decreto del 9 febbraio 2019 con cui il Tribunale di Ancona ha respinto la sua impugnazione avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale di rigetto della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.

2. – L’amministrazione intimata non svolge difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’esigenza di accordare una forma gradata di protezione al ricorrente o altre forme residuali.

Il secondo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso/errato esame della storia del ricorrente in relazione alla condizione degli omosessuali in Bangladesh.

Il terzo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della direttiva Europea 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’onere probatorio.

2. – Il ricorso è inammissibile.

Esso si fonda sulle dichiarazioni rese in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale, sul provvedimento adottato dalla Commissione e sul ricorso al Tribunale di Ancona, con cui egli aveva esposto le proprie ragioni a sostegno della domanda spiegata. Nessuno di tali atti è localizzato, sicchè il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475).

3. – In ogni caso ciascuno dei tre motivi è inammissibile.

3.1. – Il primo motivo svolge argomentazioni di ordine generale riguardanti simultaneamente, e per di più confusamente, le tre forme di protezione, senza nessuna comprensibile connessione con la vicenda del richiedente, del quale, alla lettura del motivo, si sa soltanto che viene dal Bangladesh, ma si ignora se e perchè egli si ritenga esposto a persecuzione, vera o motivatamente supposta, tale da giustificare il riconoscimento della protezione maggiore; se e perchè egli si ritenga esposto a danno grave, tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria; se e perchè egli si ritenga individualmente vulnerabile, così da meritare la protezione umanitaria.

3.2. – Il secondo motivo non ha nulla a che fare con l’art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè non indica un qualche specifico fatto decisivo e controverso e il Tribunale avrebbe omesso di considerare, ma sollecita una rivalutazione “della storia del ricorrente”, peraltro anche in questo caso sulla base di considerazioni soltanto di ordine generale, e senza alcuno specifico riferimento alla vicenda del richiedente.

In particolare, nella rubrica si fa riferimento alla condizione degli omosessuali in Bangladesh, ma dal ricorso non si riesce neppure a capire se questa sia la condizione allegata dal P.J.A. (si noti che nel provvedimento impugnato si fa riferimento alla militanza del soggetto in un partito politico, del quale peraltro egli non conosceva neppure il programma, senza il benchè minimo riferimento all’omosessualità).

3.3. – Il terzo motivo è una generica doglianza concernente l’inosservanza da parte del giudice del proprio dovere di cooperazione istruttoria, ma non è dato comprendere cosa in particolare il Tribunale (che ha tra l’altro giudicato della situazione del Bangladesh sulla base di fonti specificamente indicate) avrebbe omesso di fare.

4. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2020

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