Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10394 del 19/05/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10394 Anno 2016
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 3537-2014 proposto da:
POLI REMO PLORME641,04E289E, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA QUINTINO SELLA 41, presso lo studio dell’avvocato C .
CAMILLA BOVELACCI, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA
B1-] LINI giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DI BOLOGNA;
– intimata
avverso la sentenza n. 104/2013 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di BOLOGNA del 16/09/2013,
depositata il 24/10/2013;

Data pubblicazione: 19/05/2016

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
17/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

N

Ric. 2014 n. 03537 sez. MT – ud. 17-03-2016
-2-

CARACCIOLO.

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. eiv., è stata depositata in cancelleria la
seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caraccialo,

osserva:
La CTR di Bologna ha respinto l’appello di Poli Remo -appello proposto contro la
sentenza n.8/01/2013 della CTP di Ravenna che aveva respinto il ricorso del predetto
contribuente- ed ha così confermato l’avviso di accertamento (adottato a seguito della
richiesta di chiarimenti a mezzo di questionario) per IRPEF relativa agli anni 20062007, avviso nel quale venivano ripresi a tassazione ricavi non dichiarati a mezzo
della rideterminazione con metodo sintetico del reddito presunto, in ragione della
capacità contributiva desunta dalla proprietà di beni-indice.
La predetta CTR ha motivato la decisione evidenziando, da un canto, che appariva
priva di pregio l’eccezione del contribuente concernente il difetto di un
contraddittorio preprocessuale (avendo lo steso contribuente ricevuto un questionario
poi restituito insieme con i documenti dal medesimo contribuente considerati utili e
dei quali l’Ufficio aveva dimostrato di avere tenuto conto) e, d’altro canto, che la
parte contribuente non aveva fornito sufficienti giustificazioni degli insufficienti
redditi dichiarati (nullo per l’anno 2006 e pari ad € 7.037,00 per l’anno 2007), a
fronte della dimostrata capacità di spesa.
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato tre motivi e poi ha
richiesto l’urgente trattazione della lite a mezzo di memoria depositata il 31.3.2014.
L’Agenzia si è costituita con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 epe.

letti gli atti depositati,

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art.12
comma 7 della legge n.212/2000) la parte ricorrente —dopo avere evidenziato che
appena 47 giorni dopo la restituzione del questionario di cui si è detto gli era stato
notificato l’avviso di accertamento- si duole del fatto che l’avviso medesimo fosse
stato emesso prima della scadenza dei 60 giorni dalla fine delle operazioni prevista

acquisizione istruttoria dei dati con il contraddittorio, ritenendo quest’ultimo
integrato dal primo”.
Il motivo appare infondato e da disattendersi e, prima ancora, inammissibilmente
proposto.
Ben vero, anche a voler tacere del fatto che la parte ricorrente non ha fornito la
opportuna delucidazione (nel rispetto del canone di autosufficienza del ricorso per
cassazione desumibile dall’art.366 cpc) delle modalità con le quali la questione della
violazione dell’art.12 dianzi menzionato è stata proposta sin dal primo grado di
giudizio, resta comunque che la prospettazione del vizio deriva da una lettura del
tutto erronea della disciplina valorizzata.
Dovendosi muovere proprio dalla premessa che l’accertamento di cui trattasi è il più
tipico di quelli adottati dall’amministrazione “a tavolino” (per voler utilizzare la
stessa terminologia di parte ricorrente), basta qui significare che anche di recente
(Cass. Sent. n. 7957 del 4 aprile 2014; Cass. Sent. 13.6.2014 n.13588; Cass. Ord.
n. 9176 del 23 aprile 2014; rispondono ad analoghi principi Cass. 26 settembre
2012, n. 16354, che ha riferito le garanzie previste dall’articolo 12 al solo soggetto
sottoposto ad accesso nonché Cass. 4 dicembre 2013, n. 22700) codesta Suprema
Corte ha ritenuto che:”L’ambito di applicabilità dei «diritti e delle garanzie del
contribuente sottoposto a verifiche fiscali» stabiliti dall’articolo 12 dello statuto dei
diritti del contribuente, postula, a norma del 1° comma della norma, Io svolgimento di
«accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività
commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali» del contribuente. La
ragione sta nel fatto che, in questi casi, lo statuto di diritti e garanzie fa da

dall’anzidetta nonna e del fatto che il giudice del merito avesse “confuso la fase di

contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua
pertinenza, dando corpo ad una specifica esigenza di dare spazio al
contraddittorio, al fine di conformare e adeguare l’interesse dell’amministrazione
alla situazione del e ontribuente, come delineata dagli elementi raccolti
dall’ufficio grazie alle attività di verifiche, accessi ed ispezioni nei locali; e

d’impulso, a ricercare gli elementi che reputa utili a verificare, o ad escludere,
la sussistenza di attività non dichiarata (differente è, dunque, l’ipotesi in esame,
in cui la pretesa impositiva sia scaturita dall’esame degli atti sottoposti
all’amministrazione dallo stesso contribuente e all’amministrazione esaminati in
ufficio, in quanto la società contribuente, esercente attività di autotrasporto per
conto terzi, presentò le dichiarazioni concernenti i consumi di gasolio, al fine
di usufruire dei benefici fiscali previsti dal decreto legge numero 265 del 2000,
convertito dalla legge 343 del 2000. Successivamente, in esito ad un controllo
della regolarità delle dichiarazioni, l’ufficio verificò che la contribuente aveva
proceduto a compensare il credito d’imposta ad essa spettante oltre i termini
all’uopo stabiliti. In seguito a tale accertamento, l’amministrazione notificò un
avviso di pagamento concernente i maggiori importi indebitamente
compensati)”.
Le stesse Sezioni Unite hanno chiaramente valorizzato il suddetto argomento
letterale laddove, enunciando il principio di diritto della sentenza n. 18184/2013,
hanno precisato che il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione
dell’avviso di accertamento decorre

“dal rilascio al contribuente, nei cui

confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali
destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura
delle operazioni”.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, quindi, le ipotesi del
controllo eseguito presso la sede del contribuente e del controllo c.d. a tavolino
non possono essere assimilate giacche, come si è detto, “la naturale vis expansiva
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ciò in quanto in queste ipotesi è l’amministrazione, in base ai propri poteri

dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e
contribuente non giunge fino al punto da imporre termini dilatori all’azione di
accertamento che derivi da controlli fatti dall’Amministrazione nella propria sede,
in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente”.
Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sull’omesso esame di fatti

rese ma la commissione non ha tenuto conto, omettendo del tutto l’esame logico”
degli aspetti poi riassunti nel contesto del ricorso per cassazione.
Il motivo appare inammissibilmente formulato perché la parte ricorrente (sotto
le spoglie del vizio di omesso esame) intende sostanzialmente chiedere alla
Corte il riesame del giudizio di merito già debitamente effettuato dal giudice di
appello, con riferimento all’idoneità delle giustificazioni rese dalla parte
contribuente ai fini del rapporto di congruità del dichiarato con gli indici di
capacità contributiva, atteso che il giudicante (dopo averle riassunte nella parte
narrativa della pronuncia) ha dato atto di avere tenuto conto di tutte le
giustificazioni in questione ai fini del raggiungimento del proprio convincimento,
concludendo nel senso che le giustificazioni ridette non potevano considerarsi
“sufficienti” alla luce della considerevole incoerenza tra reddito dichiarato e
capacità di spesa.
D’altronde, neanche in punto di decisività il motivo di ricorso appare
inammissibilmente formulato, non avendo la parte ricorrente chiarito (con le
opportune analiticità) quale diverso risultato il giudicante avrebbe dovuto
raggiungere nel rapportare la capacità di spesa desunta dai beni-indici e le
asserite disponibilità economiche idonee a giustificare il possesso dei detti beni,
ed essendosi invece limitata ad una semplice rassegna delle giustificazioni rese
avanti ai giudici del merito.
Con il terzo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art.38 del
DPR n.600/1973) la parte ricorrente si duole assumendo che “contrariamente a
quanto affermato dal giudice di appello, le regole del nuovo redditometro sono

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decisivi) la parte ricorrente si duole del fatto che “ampie giustificazioni erano state

applicabili anche prima dell’anno d’imposta 2009 se sono più favorevoli al
contribuente”….”l’intervento operato con il D.L. 78/2010 deve essere catalogato
tra quelli riguardanti norme procedimentali e pertanto è facoltà del contribuente
richiederne l’applicazione anche retroattiva (quindi per accertamenti ante 2009) se
più favorevole”.. .”nella fattispecie, come da simulazione agli atti, l’applicazione

conseguente nullità degli accertamenti”.
Il motivo appare infondato.
Premesso che non è agevole intendere a quale specifica disposizione normativa
il ricorrente faccia riferimento a mezzo della generica menzione delle norme di
legge dianzi richiamate (con le locuzioni esattamente trascritte dal ricorso, onde
dar conto preciso delle vaghe modalità con le quali dette discipline sono state
identificate), basti qui evidenziare che l’art.22 del D.L. 78/2010 (se è a questo
articolo che la parte ricorrente si riferisce), prevede espressamente che:”Al fine
di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico, mutato nel
corso dell’ultimo decennio, rendendolo piti efficiente e dotandolo di garanzie per il
contribuente, anche mediante il contraddittorio, all’articolo 38 del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, con effetto per gli
accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non e’
ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto, i commi
quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo, sono sostituiti dai seguenti:…”
Non resta che evidenziare che i periodi di imposta qui in esame non risultano
coinvolti dalla modifica normativa introdotta con la predetta disciplina,
apparendo per essi scaduto il termine di dichiarazione, alla data dell’entrata in
vigore del D.L. n.78/2010.
Si ritiene —perciò- che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio
per manifesta infondatezza ed inammissibilità.
Roma 25 giugno 2014
ritenuto inoltre:
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del nuovo redditometro comporterebbe la congruità dei redditi dichiarati e la

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che la sola parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa il cui contenuto non
induce questa Corte a rimeditare le ragioni dedotte dal relatore a sostegno della
proposta di soluzione della lite;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i

riguardo dei motivi di impugnazione ivi proposti. Tuttavia la Corte —provvedendo
d’ufficio sulla sollecitazione dalla parte ricorrente contenuta nella memoria
illustrativa (in termini si veda, per tutte, Cass. 8243/2008) e rilevato il mutamento in
melius del trattamento sanzionatorio della fattispecie di cui si tratta (falsa
dichiarazione) derivante dalla novella ex art.15 del D.Lgs.n.158/2015, così che
l’attuale previsione dell’art.1 del D.Lgs.471/1998 appare più favorevole alla parte
contribuente di quella vigente all’epoca di adozione del provvedimento impositivotenuta a provvedere, in applicazione della previsione dell’art.3 del D.Lgs.472/1997,
all’annullamento del capo del provvedimento che irroga le sanzioni, con conseguente
restituzione della controversia al giudice del merito, affinché rinnovi l’apprezzamento
in punto di determinazione della sanzione alla luce della disciplina sopravvenuta, in
applicazione della regola del “favor rei”;
che le spese di lite saranno regolate dallo stesso giudice del rinvio.
P. Q . M .

La Corte rigetta i motivi di ricorso e, provvedendo sul ricorso medesimo,
annulla il provvedimento impositivo a riguardo del capo di irrogazione delle
sanzioni. Rinvia a riguardo della questione derivante dall’anzidetto
annullamento alla CTR Emilia-Romagna che, in diversa composizione,
provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 17 marzo 2016.

motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato a

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