Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10393 del 27/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 27/04/2017, (ud. 15/02/2017, dep.27/04/2017),  n. 10393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3906/2015 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE

22, presso lo studio dell’avvocato IGOR TURCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato LORENZO SPINNATO, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE

22, presso lo studio dell’avvocato IGOR TURCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato LORENZO SPINNATO giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.M.A.;

– intimati –

nonchè da:

D.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE

ACERO 2-A, presso lo studio dell’avvocato GINO BAZZANI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

S.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 30/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 16/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2004, S.P. convenne in giudizio D.M.A., esponendo di aver concluso con la stessa un contratto di locazione di un terreno in (OMISSIS), destinato a campeggio; che tale contratto era stato dichiarato risolto con sentenza del Pretore di Agrigento del 1998, confermata nel 1999 dal Tribunale di Agrigento; che in esecuzione di tali sentenze il terreno era stato forzosamente rilasciato nel 1999; che le citate sentenze erano state cassate senza rinvio dalla Corte di Cassazione con sentenza del 24 febbraio 2003 n. 27777. Chiese quindi, ai sensi dell’art. 389 c.p.c., la riconsegna del terreno, la restituzione delle spese legali pagate alla controparte nei giudizi precedenti, il risarcimento del danno derivante dal mancato godimento dell’immobile e dalla perdita dell’avviamento, dalla data del rilascio forzoso alla riconsegna, il riconoscimento delle migliorie apportate al terreno.

Si costituì in giudizio la D.M., eccependo l’avvenuta risoluzione del contratto per effetto della disdetta del 23 ottobre 1997, con decorrenza dal 31 ottobre 1998 e domandando la condanna del convenuto al pagamento del canone di locazione da tale data a quella del rilascio. Quanto alle spese legali, sostenne che le stesse si riferivano alla procedura di esecuzione forzata che aveva dovuto intentare per il mancato spontaneo rilascio e trovavano causa nel comportamento dello stesso attore. Inoltre, affermò che nessuna somma doveva essere riconosciuta a titolo di risarcimento del danno conseguente alla restituzione del fondo, posto che egli non avrebbe avuto titolo a detenerlo dal 31 ottobre 1998 e riferì di aver già corrisposto all’attore l’indennità di avviamento L. n. 392 del 1978, ex art. 34, pari ad Euro 6.662,29. Relativamente alla domanda per le migliorie, affermò che la stessa era stata già rigettata con sentenza passata in giudicato.

Il Tribunale di Agrigento, con la sentenza n. 191/2007, condannò D.M.A. alla restituzione, in favore del S., del citato terreno e delle spese legali sostenute in relazione all’esecuzione forzata delle sentenze del 1998-1999, nonchè al risarcimento del danno da lucro cessante rappresentato dall’utile di impresa che l’attore avrebbe potuto conseguire disponendo del bene locato, calcolato facendo riferimento ai redditi risultanti dalle dichiarazioni fiscali antecedenti al rilascio del medesimo bene. Condannò inoltre l’attore al pagamento dei canoni non corrisposti. Il Tribunale, invece, ritenne non dovuta l’indennità di avviamento L. n. 392 del 1978, ex art. 34, non risultando risolto il rapporto locativo, nonchè le somme per le migliorie al fondo, poichè la relativa domanda era stata già rigettata con sentenza passata in giudicato.

2. La decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 30 del 16 gennaio 2014.

La Corte di Appello, per quel che qui rileva, ha confermato la condanna alla restituzione dell’immobile in favore del S., ribadendo l’inidoneità della disdetta del 23 ottobre 1997 a comportare la cessazione del vincolo contrattuale, in quanto sorretta da esigenze di ristrutturazione dell’immobile prive della relativa concessione edilizia, e l’inammissibilità della domanda di risoluzione del rapporto in relazione all’ulteriore scadenza del 31 ottobre 2004, in quanto non ritualmente proposta dinanzi al primo giudice. Di conseguenza, la Corte ha confermato pure la condanna alla restituzione degli esborsi sopportati dal S. in relazione al giudizio di esecuzione delle sentenze del 1998-1999.

La Corte palermitana ha tuttavia rigettato, per carenza di prova, le domande risarcitorie proposte dall’attore originario, rilevando che il S. esercitava, all’epoca di riferimento, varie attività imprenditoriali e che lo stesso non aveva prodotto documentazione reddituale successiva al rilascio coatto del terreno, idonea a dimostrare l’effettiva flessione degli introiti derivanti della propria attività imprenditoriale.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione il signor S.P., sulla base di tre motivi.

3.1. Resiste con controricorso, la signora D.M.A., la quale formula ricorso incidentale fondato su di un unico motivo. Deposita anche memoria.

3.2. Il S. resiste con controricorso al ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta “difetto di motivazione perchè insufficiente e contraddittoria”.

Dalla visura prodotta dalla D.M. solo in appello, su cui tuttavia la Corte di Palermo ha fondato la propria decisione, nonchè da una visura più dettagliata e da una comunicazione dell’Azienda dei Monopoli di Stato, successiva alla sentenza di appello, che vengono prodotte unitamente al ricorso per cassazione, emergerebbe che, durante la conduzione del camping, il S. avrebbe esercitato tutte le proprie attività imprenditoriali all’interno del camping, mentre quelle esercitate altrove sarebbero state avviate solo dopo il rilascio coattivo del camping alla D.M..

Di conseguenza le ulteriori attività esercitate nel periodo di conduzione del camping sarebbero cessate automaticamente al momento della perdita del terreno.

La produzione della documentazione reddituale relativa agli anni successivi al rilascio dell’immobile non avrebbe potuto dimostrare alcunchè, perchè da esse sarebbe emerso un reddito derivante dalle altre attività.

Deve innanzitutto dichiararsi inammissibile la documentazione prodotta dal ricorrente per la prima volta in questa sede (docc. A5-A6).

Nel giudizio di legittimità, infatti, è preclusa la possibilità di allegare nuovi documenti diretti a corroborare le censure prospettate nel ricorso poichè, in tal modo, si violerebbe la disciplina di cui all’art. 372 c.p.c. (Cass. civ. Sez. 6-1 Ordinanza, 26/05/2015, n. 10819).

Il motivo, poi, è in parte inammissibile nella parte in cui lamenta l’insufficienza della motivazione (Sez. Un., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830) e per il resto infondato.

Il giudice dell’appello, rilevato che il ricorrente, nel periodo di gestione del campeggio, esercitava anche altre attività imprenditoriali, ha ritenuto che, sulla base della documentazione fiscale agli atti (dalla quale emergeva il reddito complessivo ottenuto dal ricorrente nel suddetto periodo) non fosse provato il guadagno che il medesimo ricorrente traeva dall’attività di gestione del campeggio.

Al riguardo il ricorrente sostiene che le diverse attività da lui esercitate prima del rilascio del terreno nell’agosto del 1999 sarebbero state tutte svolte all’interno del campeggio tanto che sarebbero automaticamente cessate per effetto dell’esecuzione delle sentenze del 1998-1999.

La circostanza dedotta dal ricorrente implicherebbe che tutto il reddito ottenuto dal ricorrente nel periodo di gestione del campeggio (documentato dalle dichiarazioni fiscali in atti) dovrebbe ritenersi interamente dipendente dal godimento del terreno.

Tuttavia, tale circostanza, oltre a non risultare dedotta nei precedenti gradi di giudizio (in particolare, a fronte della contestazione della D.M. circa l’esercizio, da parte del S., di plurime attività), risulta smentita dalla documentazione agli atti, da cui emerge:

– che l’impresa individuale del ricorrente esercitava, sin dal 1993, attività di impresa di pulizia locale e pulizia cabine telefoniche stradali; dal 1994, attività di rivendita generi di monopolio; dal 1997, attività di noleggio biciclette; dal 1998 attività di cui alla L. n. 46 del 1990, art. 1, lett. a) e b), attività di bar, caffè e trattoria, commercio al minuto di libri, articoli per sistemi di sicurezza e per la protezione dei beni dagli incendi, nonchè attività di disinfezione e sanificazione (cfr. visura storica pp. 5-6);

– che di tali attività, a seguito del rilascio del terreno del campeggio, avvenuto nell’agosto del 1999, sono cessate solo le attività di rivendita di generi di monopolio, bar, caffè e trattoria (cfr. visura storica p. 6, denuncia del 14/09/1999).

Risulta quindi che l’esercizio delle altre attività non era legato al godimento del terreno e, pertanto, il relativo reddito non può essere considerato ai fini della determinazione del danno da lucro cessante.

Di conseguenza, con motivazione scevra da vizi logico giuridici la Corte di Appello, di fronte alla mancanza di prove circa lo specifico reddito che il ricorrente aveva tratto dal godimento del terreno (nemmeno in via comparativa, non essendo state prodotte le dichiarazioni dei redditi del S. relative agli anni successivi al rilascio dello stesso terreno), ha escluso il risarcimento del danno da lucro cessante.

4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta “violazione o falsa applicazione art. 2697 c.c.”.

Il ricorrente avrebbe fornito in giudizio la prova di un concreto pregiudizio economico, essendo stato provato, con la produzione della documentazione fiscale relativa ai redditi dal 1992 al 1998, che esisteva un guadagno, cessato con il rilascio dell’immobile e la chiusura dell’azienda.

La circostanza che il medesimo ricorrente esercitasse all’epoca varie attività imprenditoriali potrebbe al più aver reso difficile o impossibile la quantificazione del danno, ma non la sussistenza dello stesso danno.

Inoltre, il S., producendo copia della relazione ctu, non contestata dalla controparte, dalla quale emergevano gli investimenti di lavoro e di denaro che lo stesso aveva sopportato per il camping, avrebbe fornito in giudizio anche prova del danno derivante dalla perdita dell’avviamento.

Il motivo è infondato.

Infatti, la Corte di Appello ha rilevato la carenza di prova non solo in ordine all’entità, ma alla stessa sussistenza del danno da lucro cessante, non essendo possibile distinguere, in base alla documentazione in atti, quale parte del reddito complessivo ottenuto nel periodo 1992-1998 sarebbe riferibile alle attività relative al campeggio.

Nè è ammissibile la censura relativa all’omessa valutazione della c.t.u. resa nel precedente giudizio.

Infatti, a questo Collegio è precluso il controllo della decisività dei fatti che emergerebbero dall’elaborato, non essendo stati trascritti i passaggi dello stesso elaborato che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito, in violazione del principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione art. 1226 c.c.”.

Il S. avrebbe fornito tutti gli elementi probatori ed i dati di fatto dei quali poteva disporre, idonei a dimostrare l’esistenza del danno.

Di conseguenza, la Corte di Appello, in osservanza degli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, di fronte all’impossibilità o alla rilevante difficoltà di provare il danno nel suo preciso ammontare, avrebbe dovuto esercitare il potere di liquidare il danno in via equitativa.

Anche tale motivo risulta infondato, per quanto osservato in relazione al motivo precedente.

La stessa giurisprudenza citata dal ricorrente esclude che, con l’esercizio del potere di liquidare il danno in via equitativa, il giudice possa surrogare la prova dell’esistenza del danno (cfr. anche Cass., 08/01/2016, n. 127).

Peraltro, nel caso, non sussisterebbe nemmeno il requisito dell’impossibilità o della rilevante difficoltà della prova, poichè il S. ben avrebbe potuto produrre la documentazione contabile del campeggio e delle attività ad esso collegate, consentendo così al giudice di verificare l’esistenza e l’entità dei guadagni ricavati da simili attività.

5.1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la controricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 392 del 1978, artt. 27, 28, 29, per la risoluzione del contratto di locazione ad uso commerciale”.

La Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere non ritualmente proposta la domanda di risoluzione del contratto alla scadenza del 31 ottobre 2004.

Infatti, non riconoscendo la validità alla disdetta inviata per la data del 31 ottobre 1998, il Giudice avrebbe dovuto indicare la data di scadenza contrattuale, avendo la conduttrice comunque formulato diniego alla prosecuzione del contratto.

Il motivo è inammissibile in quanto dalla sentenza di primo grado del Tribunale di Agrigento non risulta richiesto in subordine l’accertamento della validità del recesso della locatrice per la seconda scadenza contrattuale e a fronte della tardività della relativa domanda, ritenuta dalla C.A., la locatrice aveva l’onere di trascrivere dove e quando aveva chiesto detto accertamento. In mancanza la censura è inammissibile.

6. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. In ragione della reciproca soccombenza le spese sono compensate.

PQM

Ella Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017

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