Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10384 del 27/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 27/04/2017, (ud. 03/02/2017, dep.27/04/2017),  n. 10384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12310/2015 proposto da:

CARIGE ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo procuratore speciale

sig. Dott. A.C., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA G. FERRARI 4, presso lo studio dell’avvocato MAURILIO

PRIORESCHI, rappresentata e difesa dagli avvocati FLAVIO DE

GIROLAMO, VINCENZO BRUNO, SILVIA TORTORELLA, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.P., D.M.A., D.M.F., considerati

domiciliati ex lege in ROMA, presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato POMPONIO Angelo,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

P.A., N.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1231/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 26/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Carige Assicurazioni S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila, depositata il 26 novembre 2014, con cui – in accoglimento del gravame proposto da D.M.A., F. e P. originari attori ed eredi di T.E., deceduta in un sinistro stradale avvenuto in data (OMISSIS) tra la Fiat Panda della predetta e dalla medesima condotta e la Toyota Runner, di proprietà di N.D., condotta da P.A. e assicurata con la Carige Assicurazioni S.p.a., avverso la sentenza del Tribunale di Chieti, depositata il 20 giugno 2013, di rigetto della domanda proposta nei confronti delle controparti dai D.M. – ritenuto il concorso di colpa preponderante della vittima al 75%, quella Corte ha condannato “in solido gli appellati al risarcimento dei danni iure proprio per ciascuno degli appellanti, della somma di Euro 72.888,75 oltre rivalutazione Istat ed interessi legali dalla data del deposito… (di quella) sentenza al saldo; nonchè della somma di Euro 1.000,00 con interessi legali da… (detta sentenza) al saldo per danni patrimoniali ed al D.M.A. l’ulteriore somma di Euro 750,00”, ha compensato le spese del primo e del secondo grado del giudizio per la metà e ha condannato gli appellati in solido per la restante metà.

D.M.A., F. e P. hanno resistito con controricorso illustrato da memoria.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. E’ infondata l’eccezione di inesistenza della notifica del ricorso, proposta dai controricorrenti, sul rilievo che tale notifica sarebbe stata effettuata presso il domiciliatario, non munito di procura ad litem ma indicato – come si evince dalle relate di notifica ai D.M. – quale procuratore e domiciliatario. Ed invero, qualora l’atto d’impugnazione debba essere notificato presso il procuratore costituito della parte, a norma dell’art. 330 c.p.c. e tale procuratore abbia eletto domicilio presso un collega, la notificazione è validamente effettuata mediante consegna di copia dell’atto a detto domiciliatario del difensore, mentre resta irrilevante che il medesimo, nella relata, sia erroneamente indicato come codifensore – ovvero come procuratore e domiciliatario, come nel caso all’esame – anzichè come mero domiciliatario, dato che tale annotazione ha carattere aggiuntivo e non tocca l’abilitazione del domiciliatario stesso a ricevere l’atto per conto del procuratore costituito (Cass. 15/01/2007, n. 626; v. pure Cass. 14/11/2014, n. 24334) e, comunque, il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicchè i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario – il che non è nel caso all’esame -, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata – come nella specie avvenuto – (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c. (Cass., sez. un., 20/07/2016, n. 14916).

3. Risulta irrilevante che, come lamentato dai controricorrenti, in tutte le copie notificate del ricorso manca la p. 2, con conseguente non conformità all’originale, atteso che la mancanza nella copia notificata del ricorso per cassazione, il cui originale risulti tempestivamente depositato, di una o più pagine non comporta l’inammissibilità del ricorso, ma costituisce vizio della notifica sanabile, con efficacia ex tunc, mediante nuova notifica di una copia integrale, su iniziativa dello stesso ricorrente o entro un termine fissato dalla Corte di cassazione, ovvero per effetto della costituzione dell’intimato, salva la possibile concessione a quest’ultimo di un termine per integrare le sue difese (Cass., sez. un., 14/09/2016, n. 18121), nella specie neppure richiesto, evidenziandosi, peraltro, che p. 2 del ricorso contiene la mera l’indicazione delle parti del giudizio di cassazione, della sentenza impugnata e riporta il primo rigo del dispositivo di detto provvedimento.

4. Con il primo motivo si deduce “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2054 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto sussistente il concorso di colpa del signor P., nella misura del 25%, nella causazione dell’incidente stradale del(l)'(OMISSIS) – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

5. Con il secondo motivo si lamenta “Omesso esame di un fatto decisive della controversia per avere la Corte d’Appello ritenuto di attribuire in capo al signor P. un concorso di colpa del 25% nella causazione dell’incidente – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

6. Entrambi i motivi che, essendo strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

6.1. Gli stessi infatti, al di là del pur effettuato richiamo nella rubrica del primo di essi alla violazione di legge sostanziale e processuale, pongono questioni di fatto e tendono chiaramente, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede.

Si osserva che, secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, al quale va data continuità in questa sede, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c. (Cass., 25/01/2012, n. 1028). E nella specie la Corte ha motivato la sua decisione e tale motivazione non risulta idoneamente censurata.

6.2. Nel caso all’esame, infatti, risultano inammissibili le censure motivazionali proposte, evidenziandosi al riguardo che, essendo la sentenza impugnata in questa sede stata pubblicata in data 26 novembre 2014, nella specie trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

Alla luce del nuovo testo della richiamata norma del codice di rito, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie, con le censure formulate nell’illustrazione del secondo motivo, la ricorrente non propone doglianze motivazionali nel rispetto del paradigma legale di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., nè può ravvisarsi nella specie un omesso esame di fatti decisivi, pure indicato nella rubrica del detto mezzo, vizio, questo, effettivamente riconducibile al vigente n. 5 del citato art. 360, ma non dedotto in conformità all’interpretazione di detta norma operata dalla giurisprudenza di legittimità.

7. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

8. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti, in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2017

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