Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10380 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 10380 Anno 2015
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 13826-2009 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
2015
403

ELISABETTA LANZETTA, GUGLIELMO TITA, giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

MARTINO GIANFRANCO;

Data pubblicazione: 20/05/2015

- intimato

avverso la sentenza n. 70/2009 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 23/03/2009 r.g.n. 608/2008
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/01/2015 dal Consigliere Dott. IRENE

udito l’Avvocato CIRIELLO CHERUBINA per delega verbale
LANZETTA ELISABETTA;
udito il P.M. in persona. del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

TRICOMI;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La
Corte
d’
Appello
di Torino, con la sentenza n. 70/09 del 23 marzo 2009,
1.
pronunciando sull’ impugnazione proposta dall’ INPS nei confronti di Martino
Gianfranco, avverso la sentenza del Tribunale di Pinerolo, resa tra le parti, n. 338/2007,
rigettava l’ appello.
2. Il Martino aveva adito il Tribunale esponendo di aver lavorato alle
dipendenze dell’ INPS dal 1971 al 2006 e lamentando che l’ Istituto gli aveva
trattenuto dalle competenze di fine rapporto la somma di euro 2.381,24 a titolo di
rivalsa contributiva, quale importo della contribuzione aggiuntiva prevista dall’ art. 3
della legge n. 297 del 1982. Pertanto chiedeva che fosse affermata l’ illegittimità della
rivalsa contributiva operata dall’ INPS con condanna di quest’ ultimo al pagamento
della somma indebitamente trattenuta.
3. Il Tribunale accoglieva la domanda.
La decisione era confermata dalla Corte d’ Appello che statuiva quanto segue.
L’ istituto del TFR nel rapporto di lavoro privato ha natura, funzione, modalità
di calcolo (art. 2120 cc) diverse dalla natura, funzione e modalità di calcolo del TFS del
rapporto di pubblico impiego (per il personale degli enti pubblici economici, quale l’
INPS, v. art. 13 della legge n. 70 del 1975 e succ. mod.) applicato all’ appellato.
La formulazione letterale dell’ art. 3, ultimo comma, della legge n. 297/1982,
che testualmente limita la rivalsa della contribuzione aggiuntiva al solo TFR e la sedes
materiae della nonna, collocata nella legge di riforma del TFR del lavoro privato, dove
non si rinvengono norme dedicate al TFS del pubblico impiego, sono chiaramente
indicative della volontà del legislatore di applicare la rivalsa al solo TFR dei lavoratori
privati.
4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre l’ INPS
prospettando un motivo di ricorso.
5. Il Martino è rimasto intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso, assistito dal quesito di diritto, è dedotta
violazione e falsa applicazione dell’ art. 3, commi 14 e 15, della legge n. 297 del 1982
(art. 360, n. 3, cpc).
Espone il ricorrente che la lettura delle norme richiamate dalla Corte d’Appello
di Torino esclude le conclusioni cui la stessa è pervenuta.
La disposizione di cui all’ art. 3 della legge n. 297 del 1982, infatti, non è
– inserita in un contesto di disciplina del trattamento di fine rapporto, bensì in un
contesto di benefici pensionistici, il cui costo viene attribuito al lavoratore, senza
distinzione tra datore di lavoro pubblico e datore di lavoro privato. La disposizione,
quindi, si applica in tutti i casi in cui il lavoratore sia iscritto all’ AGO, unico criterio
determinativo del campo di applicazione della legge. Ciò, ancor più, ove si consideri
che l’ art. 4 della legge estende l’ applicabilità dell’ art. 2120 cc a tutti i lavoratori
dipendenti per i quali sia prevista all’ atto della cessazione del servizio una qualche
forma di “indennità di anzianità, fine lavoro, di buonuscita, comunque denominata e da
qualsiasi fonte disciplinata.
Il riferimento al TFR è effettuato al solo fine di individuare la fonte sulla quale
operare il prelievo, essendo il prelievo connesso a benefici pensionistici.
In senso favorevole a tale ricostruzione, l’ INPS ricorda la giurisprudenza
amministrativa che ha ritenuto irrilevante la natura pubblica o privata del rapporto din
lavoro, ritenendo invece significativo il regime positivo dei trattamenti pensionistici e
previdenziali.
3

-

(1.7.

2. Il motivo è fondato e deve essere accolto.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, con orientamento al quale si
intende dare continuità, in tema di contribuzione aggiuntiva sulle quote di trattamento di
fine rapporto, prevista dall’ art. 3 della legge n. 297 del 1982, è legittima la trattenuta
operata dall’ INPS a carico dei propri dipendenti, sebbene costoro siano soggetti alla
disciplina dell’ indennità di fine servizio, e non a quella del trattamento di fine rapporto,
atteso che la contribuzione aggiuntiva è destinata a finanziare l’ aumento delle pensioni
di assicurazione generale obbligatoria a perequazione automatica, con la conseguenza
che tutti gli iscritti all’ AGO vanno a tal fine equiparati in quanto se uguale è il
trattamento pensionistico, uguale deve essere l’ onere contributivo (Cass., ordinanze n.
4225 del 2012, n. 4838 del 2013).
Ilia~eizerd~emche ai dipendenti Inps, qual’ attuale ricorrente l si
applicai_ l’ indennità di fine servizio e non il TFR. Lo ha chiaramente affermato la
sentenza dì questa Corte n 11604 del 2008, nei seguenti termini:
fI La legge n. 70, art. 1, disponeva “Lo stato giuridico e il trattamento economico
di attività e di fine servizio del personale dipendente degli enti pubblici individuati ai
sensi dei seguenti commi sono regolati in conformità alla presente a legge”. La nuova
disciplina recava quindi un trattamento retributivo omogeneo per i dipendenti di “tutti”
gli enti interessati (tramite accordi sindacali, come già avveniva per i dipendenti statali)
e, quanto al trattamento di quiescenza, si disponeva all’ art. 13, che “all’ atto della
cessazione del servizio spetta al personale un’ indennità di anzianità, a totale carico dell’
ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento quanti
sono gli anni di servizio prestato”. Pertanto, questa divenne ormai, per tutti i dipendenti
del parastato, la disciplina applicabile per la quiescenza, con conseguente abolizione di
quelle, diversamente stabilite, dalle varie, molteplici delibere dai consigli di
amministrazione.
Per affermare la perdurante vigenza della legge n. 70 del 1975, art. 13, non
appaiono sufficienti le argomentazioni già svolte, essendo necessario anche escludere
che la materia sia stata diversamente regolata da altre disposizioni intervenute nelle
more. E noto che, a seguito della privatizzazione del rapporto, il trattamento economico
dei dipendenti degli enti pubblici non economici, tra cui si annovera l’ Inps, viene
regolato dai contratti collettivi; tuttavia la materia relativa alle spettanze che maturano
alla fine del rapporto non è stata oggetto di accordo tra le parti. Ci si chiede allora se
valgano per i dipendenti “privatizzati” le regole civilistiche che presiedono al
trattamento di fine rapporto dei dipendenti privati, dal momento che il d.lgs. 30 marzo
2001, n. 165, art. 2, comma 2, richiama le disposizioni del capo 1A, titolo 2A, del libro
5A del codice civile e le leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’ impresa, tra cui è
sicuramente ricompreso l’ art. 2120 c.c., sul TFR.
Al quesito va data risposta negativa, come già ha avuto modo di osservare la
sentenza di questa Corte n. 15998 del 14 luglio 2006. Infatti la legge 8 agosto 1995, n.
335, (“Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”), nel quadro
complessivo di omogeneizzazione introdotto, sia pure gradualmente, tra lavoro pubblico
e privato anche per quanto riguarda gli aspetti previdenziali, all’ art. 2, nei commi 5 e 7,
dettava in materia disposizioni riguardanti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche
contemplati nel d.lgs. n. 29 del 1993, art. 1, assunti rispettivamente dal 1 gennaio 1996
ovvero già occupati alla data del 31 dicembre 1995. Per i primi era stabilito che “i
trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sono regolati in base a quanto
previsto dall’ art. 2120 c.c., in materia di trattamento di fine rapporto”. Per i secondi
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erano rimesse alla contrattazione collettiva nazionale le modalità per P applicazione
della disciplina del trattamento in materia di fine rapporto. In entrambe i casi, la
disciplina di eseCuzione era affidata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri.
Si desume da tali disposizioni che solo per i lavoratori che fossero stati assunti
nel corso del 1996 avrebbero trovato applicazione, in base alla legge n. 335 del 1995, le
regole civilistiche in tema di trattamento di fine rapporto.
La restrizione a tale categoria era giustificata dal rilievo che per gli altri, ossia
per quelli già occupati alla data del 31 dicembre 1995, l’ applicazione di tali regole era
esplicitamente condizionata all’ intervento della contrattazione collettiva nazionale.
Vale la pena di aggiungere che la legge 27 dicembre 1997, n. 449, (“misure per la
stabilizzazione della finanza pubblica”), ali’ art. 59, comma 56, mantenendo fermo
quanto previsto dalle legge n. 335 del 1995, e successive modificazioni in materia di
applicazione delle disposizioni relative al trattamento di fine rapporto ai dipendenti
–delle pubbliche amministrazioni, ha previsto la possibilità di richiedere la
trasformazione dell’ indennità di fine servizio in trattamento di fine rapporto,
collegando a tale opzione la destinazione alla previdenza complementare. Questa facoltà
è stata confermata dall’ Accordo Quadro nazionale in materia di TFR e previdenza
complementare del-27 luglio 1999, per cui i dipendenti assunti prima de 1996, possono
optare per il TFR, in luogo della previgente disciplina, ma nella specie, detta opzione
non è stata esercitata.
Successivamente il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 2, ha previsto
che, in attesa di una nuova regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma per i
dipendenti pubblici, la disciplina vigente in materia di trattamento Hi fine rapporto. Non
operando dunque l’ art. 2120 c.c., ne’ avendo ancora provveduto a contrattazione
collettiva, si deve applicare, ai fini del trattamento di fine rapporto del dipendenti Inps,
la disciplina legale, ossia la legge n. 70 del 1975, art. 13, che regola l’ indennità di
anzianità per i dipendenti degli enti pubblici economici, nel quadro di
omogeneizzazione di cui sopra si è detto, dei trattamenti differenziati dalle singole
discipline regolamentari vigenti presso ciascuno.
Vale la pena di rilevare che la regola per cui l’ indennità di anzianità viene
calcolata su una base non onnicomprensiva, ossia limitata allo stipendio base, con
esclusione di altre indennità, conduce comunque ad un trattamento molto più favorevole
rispetto a quello relativo al TFR spettante ai dipendenti privati giacché i destinatari della
legge n. 70 del 1975, citato art. 13, hanno il vantaggio di moltiplicare “l’ ultimo
stipendio” per il numero degli anni di servizio prestati, in luogo del sistema del TFR,
che si compone della somma di accantonamenti annuali, che riproducono, non già i più
alti compensi percepiti al termine della carriera, ma solo la quota di quelli ricevuti anno
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viene qui in applicazione una disposizione in
materia previdenziale, precisamente in materia contributiva, che pone a carico dei
dipendenti la trattenuta per cui è causa. Trattenuta che vale per “tutti” gli iscritti all’
assicurazione generale obbligatoria, perché è in corrispondenza dell’ aumento della
misura delle pensioni, aumento che deve trovare necessariamente copertura nen’
aiimento dei contributi, anche di quelli a carico dei dipendenti. In relazione al carico
contributivo pertanto, tutti gli iscritti all’ AGO vengono equiparati: se uguale è il
trattamento pensionistico uguale deve essere l’ onere contributivo e non sarebbe logico
discriminare solo in forza del diverso meccanismo di calcolo vigente in ordine al
5

e

computo della indennità spettante alla fine del rapporto di lavoro, che nessuna
connessione ha con il rapporto assicurativo.
3. Il ricorso deve essere accolto, atteso che la Corte d’Appello non ha fatto
applicazione dei suddetti principi di diritto.
La sentenza impugnata deve essere cassata e non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto la causa è decisa nel merito con il rigetto della domanda di cui al
ricorso introduttivo.
4. In ragione delle questioni trattate, sono compensare tra le parti le spese
dell’intero processo nella prospettiva introdotta dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263
(Cass., n. 661 del 2015).
PQM
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito
rigetta la domanda di cui al ricorso introduttivo. Compensa tra le parti le spese
dell’intero processo.
Così deciso in Roma il 27 gennaio 2015
Il Presidente

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