Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1038 del 20/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1038 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 29426-2010 proposto da:
ALESSANDRINO ANGELO SSNGL66P2011991, CANNISTRA’ MARIA
CATERINA CNNMCT53L42F158G, LUPO ANTONIETTA
LPUNNT67D67F158M, MAISANO CONCETTINA MSNCCT57L70F158N,
MESSINA GIANCARLO MSSGCR64M13F158U, PREVITI ADRIANA
PRVDRN63E42F158P, RASO MARIANNA RSAMNN62T52I537Y,
2013
3013

RICCA GRAZIA RCCGRZ50L52F158G,SPADARO LUCA
SPDLCU60C30F1S8T, SPANU FRANCESCO SPNFNC43C13L5090,
TRAINA SANTA TRNSNT54C70F158L, TRIMARCHI ALBERTO
TRMLRT68D21F158S, TRIMARCHI GIOVANNA TRMGNN62S62F1S8B,
TROMBATORE VINCENZO TRMVCN45S06H5741, elettivamente

Data pubblicazione: 20/01/2014

domiciliati in ROMA, VIA DONATELLO 23, presso lo
studio dell’avvocato VILLA PIERGIORGIO, rappresentati
e difesi dall’avvocato SIRACUSANO FILIPPO, giusta
delega in atti;
– ricorrenti –

UNIVERSITA’ STUDI MESSINA C.F. 80004070837, in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i
cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI,

12;
– controricorrente ricorso successivo senza NRG

CALI’ FRANCO C.F. CLAFNC49R2OH842E, LO DUCA ROSARIA
SILVESTRA

LDCRRS53A41F158B,

MALARA

TERESA

MLRTRS53P56H2240, MONDELLO MARIA MNDMRA5548F158G,
domicliati in ROMA, VIA SISTINA 42, presso lo studio
dell’Avvocato VENTURIELLO MICHELE (STUDIO GALOPPI &
PARTNERS), che li rappresenta e difende unitamente
agli avvocati BUZZANCA FLAVIA e GAMBINO MASSIMO,
giusta delega in atti;
– ricorrenti successivi contro

UNIVERSITA’ STUDI MESSINA C.F. 80004070837, in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

contro

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI,
12;
– con trorirrente –

avverso la sentenza n. 1389/2009 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 22/12/2009 r.g.n. 1143/2007;

udienza del 23/10/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato VILLA PIERGIORGIO per delega verbale
SIRACUSANO FILIPPO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto dei ricorsi.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

FATTO
Il Tribunale di Messina accoglieva le domande proposte dagli attuali
ricorrenti i quali – tutti dipendenti dell’Università degli Studi di Messina già
inquadrati alcuni nel VII livello ed altri nel V – avevano lamentato l’ingiusto
inserimento, nel nuovo inquadramento contrattuale di cui al CCNL 98-2001,
rispettivamente: i primi, nella categoria C, posizione economica C4 e non in
quella D posizione economica Dl; i secondi, nella categoria C e non nella

B. In particolare, assumevano ( quelli già ex VII livello) che, a parità di

mansioni svolte, la categoria D posizione D1 era stata riconosciuta dal
nuovo contratto solo a coloro che erano stati assunti mediante concorso
che prevedeva come titolo di studio la laurea. Del pari coloro che erano al V
livello denunciavano che la categoria C era stata attribuita solo agli assunti
in virtù di concorso che prevedeva il diploma di istruzione superiore.
Chiedevano, quindi, il riconoscimento del superiore inquadramento.
L’adito giudice accoglieva la domanda riconoscendo la categoria C
posizione economica C1 a coloro che già possedevano l’inquadramento nel
V livello e la categoria D1 a coloro che erano già inquadrati nel VII livello,
condannando l’Università al pagamento delle differenze retributive dalla
data di entrata in vigore del nuovo contratto.
La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza del 22 dicembre
2009, riformando la decisione del primo giudice, rigettava la domanda dei
dipendenti.
A sostegno del proprio “decisum” osservava che questa Suprema Corte
si era già espressa in relazione ad una fattispecie del tutto uguale a quella
de quo ed affermando il principio secondo cui ” l’art. 74, comma 4, del

c.c.n.l. del comparto Università del 9 agosto 2000 consente
l’inquadramento nella nuova categoria D al solo personale dipendente già
inquadrato nella ex VII qualifica funzionale che sia stato assunto a seguito
di concorso pubblico per la partecipazione al quale era richiesto il diploma
di laurea, non potendosi considerare indifferente la modalità di accesso alla
ex VII qualifica (per concorso pubblico ovvero mediante concorso riservato
interno, che prescindeva dal possesso del titolo di studio) e trovando detta
soluzione conferma negli accordi di interpretazione autentica, intervenuti in
esito alla procedura prevista dall’art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001, del 22
maggio 2003 e del 13 gennaio 2005, che hanno riconosciuto solo
l’anzidetto personale come beneficiario di una progressione verticale. Né
tale soluzione si pone in contrasto con norme imperative o è affetta da altra

1

causa di nullità, giacchè nel settore pubblico le scelte della contrattazione
collettiva in materia di inquadramenti sono sottratte al sindacato giudiziale,
ed il principio di non discriminazione di cui all’ad. 45 del d.lgs. n. 165 del
2001 non costituisce parametro per giudicare delle eventuali
differenziazioni operate in sede di contratto collettivo”.
Per la cassazione di tale decisione sono stati proposti due separati
ricorsi: da Cannistrà Maria Caterina, Malsano Concettina, Raso Marianna,
Alessandrino Angelo, Lupo Antonietta, Messina Giancarlo Previti Adriana,

Ricca Grazia, Spadaro Luca , Spanu Francesco, Traina Santa, Trimarchi
Alberto, Trimarchi Giovanna e Trombatore Vincenzo affidato a tre motivi; da
Cali Franco, Lo Duca Rosaria Silvestra, Malara Teresa e Mondello Maria
fondato su un unico articolato motivo.
Resiste con separati controricorsi l’Università degli Studi di Messina.
DIRITTO
Preliminarmente, i ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa
sentenza, ai sensi dell’ad. 335 c.p.c..
Con il primo motivo del ricorso la Cannistrà e gli altri deducono la
inammissibilità ed l’illegittimità dell’appello avverso la sentenza del Tribunale
di Messina nonché la nullità della sentenza della Corte di Appello o del
procedimento ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c. in relazione all’ad. 64 d.Lgs. n.
165/2001.
Assumono che il giudice di primo grado, su esplicita richiesta della
Amministrazione resistente, aveva sospeso il giudizio alfine di ottenere la
decisione pregiudiziale, ai sensi dell’ad. 64 d.Lgs. n. 165/2001, di una
interpretazione autentica dell’ad. 74 CCNL comparto Università e, poi, aveva
deciso la controversia richiamando per relationem una questione affrontata
dall’ARAN su accordo promosso da altro Tribunale. In siffatta situazione
l’appello dell’Università sarebbe stato inammissibile potendo essere la
decisione del primo giudice impugnata solo con il ricorso per cassazione da
proporsi nel termine di sessanta giorni dal deposito della sentenza.
Il motivo è infondato.
Vale ricordare che questa Corte ha avuto modo di affermare il principio
secondo cui ai fini del ricorso immediato per cassazione ex art. 420 bis cod.
proc. civ. non basta che nel processo si ponga una questione di
interpretazione di una clausola di un contratto collettivo nazionale, ma è
necessario che si sia scelto di discutere e decidere tale questione in via
pregiudiziale; pertanto, se la pronuncia sia intervenuta sul merito della
2

controversia e il giudice abbia deciso con una sentenza di accertamento non
della sola interpretazione del contratto collettivo, bensì della sussistenza del
diritto dei ricorrenti e di condanna della convenuta, sebbene generica, la
situazione processuale va oltre il limite segnato dall’art. 420 bis cod. proc.
civ. e la sentenza emessa deve essere impugnata in appello e non con il
ricorso immediato per cassazione (Cass. n. 3602 del 14/02/2011; Cass. n.
18258 del 05/08/2010).

Tale seconda ipotesi ricorre nel caso in esame, avendo il primo giudice
deciso non solo sulla interpretazione del contratto, ma anche il merito della
lite.
Con il secondo mezzo viene dedotta violazione o falsa applicazione degli
artt. 2103 c.c., 45 d.Lgs. n. 165/2001 e 3 e 35 Costituzione.
Si assume che dipendenti appartenenti alla medesima qualifica e che
svolgevano fino all’entrata del menzionato CCNL le medesime funzioni si
erano trovati inseriti in categorie diverse in virtù del possesso o meno di un
titolo di studio, titolo non richiesto all’atto dell’assunzione. Inoltre, il nuovo
inquadramento, indipendentemente dalla interpretazione fornita dall’ARAN, si
poneva in evidente contrasto con l’art. 2103 c.c., norma che ha inteso
garantire al lavoratore la irriducibilità della retribuzione oltre che sancire il
divieto di demansionamento. Si sottolinea, quindi, la erroneità della
impugnata sentenza laddove aveva affermato l’applicazione della
contrattazione collettiva anche se violativa dei più elementari principi fissati
dalle norme a tutela dei lavoratori e dalla stessa Costituzione.
Il motivo continua evidenziando la violazione anche dell’art. 45 del d.Lgs. n.
165/2001 lì dove è detto che le Amministrazioni pubbliche garantiscono ai
propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e, comunque, trattamenti
non inferiori a quelli stabiliti dalla contrattazione collettiva.
Infine, dopo aver affermato la contrarietà della decisione al disposto degli
artt. 35 e 3 Cost., viene rimarcato che alcuni dei ricorrenti erano in possesso
della laurea e, dunque, dovevano essere ipso iure inquadrati nella categoria
D posizione economica D1 in quanto, in caso contrario, la disparità di
trattamento posta in essere dall’art. 74 CCNL cit. sarebbe stata ancor più
grave ed illegittima finendo con il discriminare i dipendenti che, pur in
possesso della laurea, erano stati inquadrati nella VII qualifica partecipando
ad un concorso per l’accesso al quale era richiesto solo il diploma di
istruzione secondaria o, tramite concorso interno.
3

Con il terzo motivo si deduce omessa e insufficiente motivazione circa un
fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte di appello motivato per
relationem riprendendo integralmente da un altro giudizio la motivazione
senza riportarla concretamente al caso di specie.
Con l’unico articolato motivo del ricorso proposto da Calì Franco + 3 viene
denunciata la nullità dell’art. 74, comma 4 0 , del CCNL Università del 9.8.2000
per contrarietà a norme imperative (artt. 3 e 97 Cost., 52 d.Lgs n. 16512001
previa declaratoria di incostituzionalità nella parte in cui non vieta il

demansionamento alle parti sociali in sede di contrattazione collettiva).
Si espongono una serie di argomentazioni a confutazione della motivazione
della decisione n. 16504/2008 di questa Corte asseritamente richiamata nella
impugnata sentenza ( che, in realtà, si fonda su altra pronuncia e
precisamente: Cass. n. 5726 del 10 marzo 2009).
Osserva il Collegio che il secondo motivo del ricorso Cannistrà + altri e
l’unico relativo al ricorso Calì + 3 vanno esaminati congiuntamente in quanto
logicamente connessi e sono entrambi infondati.
La motivazione della impugnata sentenza ha correttamente applicato un
principio già affermato da questa Corte nella decisione n. 5726/2009 ( cui è
seguita Cass. n. 12336/2009 del tutto conforme) e ne ha mutuato le
motivazioni rispetto alle quali non sono state addotte ragioni tali da
giustificare un discostamento dalle medesime.
Il Collegio, pertanto, condivide l’affermazione secondo cui l’art. 74, comma
4, del c.c.n.l. del comparto Università del 9 agosto 2000 consente
l’inquadramento nella nuova categoria D al solo personale dipendente già
inquadrato nella ex VII qualifica funzionale che sia stato assunto a seguito di
concorso pubblico per la partecipazione al quale era richiesto il diploma di
laurea, non potendosi considerare indifferente la modalità di accesso alla ex
VII qualifica (per concorso pubblico ovvero mediante concorso riservato
interno, che prescindeva dal possesso del titolo di studio) e trovando detta
soluzione conferma negli accordi di interpretazione autentica, intervenuti in
esito alla procedura prevista dall’art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001, del 22
maggio 2003 e del 13 gennaio 2005, che hanno riconosciuto solo l’anzidetto
personale come beneficiario di una progressione verticale. Nell’affermare
tale principio è stato anche precisato che il citato art. 74 non si pone in
contrasto con norme imperative né è affetto da altra causa di nullità, giacchè
nel settore pubblico le scelte della contrattazione collettiva in materia di
inquadramenti sono sottratte al sindacato giudiziale, ed il principio di non
4

discriminazione di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001 non costituisce
parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di
contratto collettivo.
In proposito è stato osservato ( Cass. n. 5726/2009) che nel sistema
speciale della disciplina del lavoro pubblico contrattuale (il tasso di specialità
è stato più volte posto in evidenza dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale: vedi in particolare, C. cost. nn. 313/1996; 309/1997, 89/2003,
199/2003), è proprio l’art. 2103 c.c., a non trovare applicazione nella parte in

cui attribuisce rilievo ai fini dell’inquadramento alle mansioni svolte, che, ai
sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 1, secondo periodo, non
possono avere effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o
dell’assegnazione di incarichi di direzione.
La giurisprudenza della Corte ha pure evidenziato che la disciplina prevista
nel lavoro privato in materia di categorie e qualifiche non è applicabile al
rapporto di lavoro privatizzato alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni, attesa la specialità del regime giuridico che lo caratterizza,
soprattutto con riferimento al sistema delle fonti quale emerge dal D.Lgs. n.
165 del 2001 (che costituisce lo statuto di tale rapporto di lavoro), il quale,
dettando regole peculiari solo per i dirigenti ed i vicedirigenti, attribuisce per il
restante personale piena delega alla contrattazione collettiva, che può
intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme
concernenti il lavoro subordinato privato (Cass. n. 16038/2010,Cass. 5 luglio
2005, n. 14193).
Più specificamente, per il personale “contrattualizzato”, il disegno di
delegificazione è stato attuato affidando allo speciale sistema di
contrattazione collettiva nel settore pubblico (vedi Corte Cost. n. 199 del
2003) anche la materia degli inquadramenti (in quanto non esclusa dalla
previsione di cui dell’art. 40, comma 1). E dunque, per il personale dei
comparti, sono stati i contratti collettivi (della seconda tornata contrattuale)
ad introdurre il sistema di classificazione per aree o categorie di
inquadramento, cui lo stesso testo del D.Lgs. n. 165 del 2001, come
successivamente modificato e integrato, si riferisce (art. 30, comma 2 bis,
quanto alla disciplina della mobilità; art. 34 bis, comma 1, quanto ai concorsi
per l’assunzione); di conseguenza, il sistema di inquadramento per aree
sostituisce quello per categorie, di cui all’art. 2095 c.c. (vedi Cass. S.u. 8
maggio 2006, n. 10419).
5

In siffatto nuovo sistema si è ritenuto: che le ex qualifiche funzionali sono
ormai divenute inapplicabili proprio a seguito della nuova classificazione per
categorie operata dal CCNL 9 agosto 2000, cosicché è improponibile il
raffronto delle loro declaratorie con quelle proprie del nuovo inquadramento,
che costituisce invece la fonte esclusiva per valutare se un dipendente abbia
subito o meno un demansionamento (cfr, per arg., Cass., n. 20079/2008);
che va escluso, come già rilevato, un sindacato giudiziale relativamente ai
criteri secondo cui le parti collettive hanno operato le distinzioni tra i vari tipi

di mansione ai fini dell’inquadramento contrattuale dei lavoratori, dato che è
proprio la contrattazione collettiva ad essere ritenuta dalla legge lo strumento
idoneo ad interpretare le esigenze dei vari settori produttivi ai fini in esame
(Cass. n. 19955/2009; Cass., n. 13601/1999); che, stante le differenziazioni
esistenti, sia in termini di autonomia che di responsabilità, secondo le
rispettive declaratorie generali, tra le ex 7^ e 8′ qualifica, non può
evidentemente ritenersi eccedente i limiti delle ragionevolezza il diverso
inquadramento categoriale del personale già appartenente a tali qualifiche
(Cass. n. 12336/2009) stabilito dal detto CCNL .
Con riferimento ad un contrasto della normativa contrattuale a principi
costituzionali la peculiarità del regime giuridico dei contratti collettivi nazionali
di lavoro dei dipendenti pubblici non ne ha alterato minimamente la natura
giuridica, che resta a tutti gli effetti quella di fonti negoziali (Cass. S.u. 8 luglio
2008, n. 18621) con la conseguente preclusione del controllo di validità per
violazione degli art. 3, 36 e 97 Cost., in forza del principio generale secondo
cui, nel rapporto di lavoro subordinato non opera il principio della parità di
trattamento, ne’ è possibile alcun controllo di ragionevolezza da parte del
giudice sugli atti di autonomia, sia collettiva che individuale, sotto il profilo del
rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, che non sono
invocabili in caso di eventuale diversità di trattamento non ricadente in
alcuna delle ipotesi legali (e tipizzate) di discriminazione vietate (vedi, in
particolare, Cass. S.u. 17 maggio 1996, n. 4570). Nè, in contrario, potrebbe
invocarsi utilmente il disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 2,
secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri
dipendenti parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non
inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi, norma che intende
proprio precludere la possibilità dei datori di lavoro pubblici di discostarsi
dalle previsioni dei contratti collettivi, ancorché in maniera più favorevole ai
lavoratori.

6

Nell’attività di diritto privato, infine, quale è quella di stipulazione dei contratti
collettivi di lavoro, non possono operare i precetti di imparzialità e buon
andamento cui all’art. 97 Cost..
Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo. In ossequio alla
funzione nomofilattica di questa Corte il giudice del merito ha applicato un
principio affermato in riferimento ad una fattispecie uguale a quella
sottoposta al suo esame. Né può parlarsi di motivazione per relationem in
argomentazioni contenute nella decisione di questa Corte posta a
fondamento della soluzione adottata.
Per quanto esposto i ricorsi vanno rigettati.

L’U

Le spese del presente

• er

,princi

della soccombenza, sono

poste a carico dei ricorrent e vengone iqui ate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi; condanna i ricorrenti alle spese
del presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro
4.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2013.

quanto l’impugnata sentenza ha riportato, facendole proprie, le

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