Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10379 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 10379 Anno 2015
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 17999-2009 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
2015
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EMANUELE DE ROSE, ANTONIETTA CORETTI, PATRIZIA TADRIS,
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

FRACASSI MARCO C.F. FRCMRC70H23D8180, COMETTI MICHELE

Data pubblicazione: 20/05/2015

C.F. CMTMHL75H16D9180, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA RICASOLI 7, presso lo studio dell’avvocato
ROBERTO MUGGIA, che li rappresenta e difende giusta
delega in atti;
– controricorrenti

MAZZOLDI DORIANO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 185/2008 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 08/08/2008 r.g.n. 575/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/01/2015 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito l’Avvocato CORETTI ANTONIETTA;
udito l’Avvocato MUGGIA STEFANO per delega MUGGIA
ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

non chè contro

Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 12.10.07 Michele Cornetti, Marco Fracassi e
Donano Mazzoldi proponevano appello contro la sentenza n.257\07 del
Tribunale di Brescia, con la quale era stata respinta la loro domanda di
condanna dell’Inps a corrispondere il trattamento di cassa integrazione
straordinaria per i giorni antecedenti e successivi ai periodo di
occupazione degli stessi con contratti di lavoro a termine, per ciascuno

comunicazione all’Istituto dei contratti in questione ex art. 8 comma 5
d.l. n. 86\88.
Lamentavano gli appellanti l’erronea interpretazione ‘testuale e
teleologica’ della norma, anche con riferimento alla riforma della
analoga disciplina in materia di indennità di mobilità, avendo gli stessi
comunicato all’Inps i contratti all’atto stesso della stipulazione.
Si costituiva in giudizio l’Inps contestando in diritto gli argomenti svolti
a sostegno della impugnazione.
Con sentenza depositata l’8 agosto 2008, la Corte d’appello di Brescia,
in riforma della sentenza impugnata, condannava l’Inps al pagamento
della CIGS in favore di Michele Cornetti dal 23.10.04 al 17.1.05 e dalla
cessazione del rapporto di lavoro con la SIV spa al 22.10.05; di Marco
Fracassi dal 23.10.04 al 2.1.05, ed in favore di Donano Mazzoidi dal
23.10.04 al 31.12.04 e dalla cessazione del rapporto con la SIV s.p.a.
dal 22.10.05, oltre interessi di legge; compensava le spese di ambo i
gradi. Riteneva la Corte che l’art. 8, comma 5, del d.l. n. 86\88 non
potesse interpretarsi nel senso di imporre al lavoratore, a pena di
decadenza del trattamento di integrazione salariale, una comunicazione
preventiva e neppure contestuale dell’inizio di altra attività lavorativa,
essendo sufficiente, mutuando anche dalla disciplina in materia di
indennità di mobilità, una comunicazione tempestiva della circostanza,
come awenuto nella specie.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’INPS, affidato ad
unico motivo.
Resistono i lavoratori, ad eccezione del Mazzoldi rimasto intimato, con
controricorso, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione

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di essi indicati, avendo il giudice di primo grado ritenuto tardiva la

1.-L’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma
5, del di. 21 marzo 1988 n.86, convertito in L. 20 maggio 1988 n. 160
(art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Lamenta che nonostante il chiaro tenore letterale della norma (“Il
lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato
durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento
per le giornate di lavoro effettuate. “Il lavoratore decade dal diritto al

dare preventiva comunicazione alla sede provinciale dellT.N.P.S. dello
svolgimento della predetta attività”), la Corte di merito ritenne di poter
interpretare estensivamente tale disciplina, traendo erroneo conforto
analogico da quella vigente in materia di indennità di mobilità, che
prevede, al fine di evitare la decadenza dal trattamento di mobilità,
solo una comunicazione tempestiva (nel testo, poi abrogato, di cui
all’art. 4, comma 38, d.l. n. 510\96 convertito in L. n. 608\96, stabilito
in cinque giorni) e dunque non preventiva e tanto meno contestuale.
1.1.-Il ricorso è fondato,vessendo la sentenza impugnata in linea con il
consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n.3690\01, Cass. n.
5019\04, Cass. n. 11679\05, Cass. n. 173\06, Cass. n. 14196\10; da
ultimo cfr. Cass. n. 26520\13).
In tali pronunce si è affermato che la decadenza dal trattamento di
integrazione salariale prevista dall’art. 8, comma 5, del d.l. 21 marzo
1988 n.86, convertito in L. 20 maggio 1988 n. 160, risulta
espressamente comminata per l’omissione, da parte dei lavoratori
beneficiari del trattamento, della comunicazione preventiva, rispetto
allo svolginnentw di qualsiasi attività lavorativa(allo scopo di consentire
all’INPS la verifica circa la compatibilità dell’attività da svolgere con il
perdurare del rapporto di lavoro presupposto dell’integrazione salariale.
Si è anche chiarito (Cass. n. 5019\04) che l’art. 8 in questione impone
al beneficiario del trattamento di c.i.g. di dare all’INPS la preventiva
comunicazione dello svolgimento di attività lavorativa, ancorché
compatibile con detto trattamento, quale quella temporanea o
saltuaria, a pena di decadenza del lavoratore dal diritto a detto
trattamento, e che in difetto di lacune di regolamentazione da colmare,
non è applicabile in via analogica a detta fattispecie la meno rigorosa
regola dettata dall’art. 9, comma 1, lett. d), della legge 23 luglio 1991,

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trattamento di integrazione salariale nel caso non abbia provveduto a

n.223, poi modificata dal d.i. n. 510\96 convertito in L. n. 608\96, per il
diverso istituto della indennità di mobilità, che richiede una
comunicazione tempestiva, cioè effettuata in tempi ragionevoli, ma non
necessariamente precedente l’assunzione al lavoro.
Questa Corte ha anche affermato che la comunicazione preventiva
risulta coerente con la “ratio legis” della disposizione, volta ad
assicurare la massima efficacia ai controlli dell’INPS al fine di ridurre

disoccupati, delle risorse disponibili. Una diversa opzione interpretativa,
che limiti la decadenza dall’integrazione solo al periodo successivo
all’inizio dell’attività lavorativa da parte del cassintegrato,
comporterebbe la soppressione della sanzione prevista dalla norma e
finirebbe, ingiustamente, per equiparare i cassaintegrati che svolgono
un lavoro retribuito senza informarne l’INPS e quelli che, invece,
correttamente assolvono l’obbligo di comunicazione (Cass. n.
26520\13).
I dubbi di costituzionalità in materia sono già stati esclusi dalla C. Cost.,
sentenze n. 195\95 e n. 190\96.
Può qui aggiungersi che, pur potendosi ammettere che un contratto di
lavoro possa venire ad esistenza coevamente all’inizio della prestazione
lavorativa, posto che l’esecuzione della prestazione lavorativa deve
essere considerata come estrinsecazione di un rapporto di lavoro e
manifestazione legittima di consenso idoneo a costituire un valido
contratto (Cass. n. 1370\74, Cass. n. 807\73); pur considerato che
l’esecuzione di una prestazione lavorativa possa anche non essere
precedutq da trattative, con la conseguenza di impedire al lavoratore
una comunicazione preventiva, esponendolo alla decadenza dal
trattamento di integrazione salariale, deve replicarsi che è rimessa alla
libera valutazione del lavoratore decidere se dare immediata
esecuzione all’attività lavorativa oppure procedere alla comunicazione
preventiva all’INPS, valutando che la comunicazione deve essere solo
precedente l’inizio dell’attività lavorativa senza altre specificazioni
temporali.
2.-Non sussistendo infine dubbi di legittimità costituzionale della
disciplina di cui al citato art. 8, quinto comma, del di. n. 86 del 1988,
rispetto al differente caso dell’indennità di mobilità, non risultando

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l’area del lavoro nero e garantire l’effettiva destinazione, a sostegno dei

violato alcun principio di ragionevolezza e di uguaglianza, essendo
quest’ultima corrisposta a soggetti il cui rapporto di lavoro, a differenza
del cassaintegrato, è ormai cessato, il ricorso deve accogliersi, la
sentenza impugnata cassarsi e, non

essendo necessari ulteriori

accertamenti di fatto, la causa viene decisa nel merito direttamente da
questa Corte, con il rigetto delle originarie domande dei lavoratori.
Le alterne vicende della lite consigliano la compensazione delle spese

soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidend
nel merito, rigetta le originarie domande proposte tingli=eekeism
cormiimice~ Compensa le spese del giudizio di merito e condanna
questi ultimi al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.2.500,00 per
compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 gennaio 2015
Il Consigliere est.

Il Presidente

della fase di merito, mentre quelle di legittimità seguono la

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